giovedì 16 agosto 2012

Atena Lucana tra storia e leggenda (metropolitana)


Le convinzioni profonde sono nemiche più pericolose
della verità, che non le menzogne (F. Nietsche)



Atena Lucana, "più o meno medioevo": Prima Edizione della manifestazione "I piatti poveri"




"E se non avessimo altro che la sola raccolta delle poco men, che innumerevoli iscrizioni che si leggean un tempo nei marmi, tra per l'incuria, il poco senno della gente ignorante rotti, e fracassati, e per la lunghezza del tempo corrosi forse molte cose sapremmo delle Atenesi antichitadi, che ignorate ci sono. Ma giacché nostro malgrado, ci siam imbattuti in tempi, in cui ci è di necessità camminar a tentoni...[...]
Troyli - Istoria Generale del Reame di Napoli, Tomo 1°, parte 2°, pag 163 (in Istoria di Atena Lucana" del Dottore Michele La Cava.

Leggendo querste poche righe ci si rende conto che già alla fine del 1800 si ritenne necessario sottolineare l'incuria e il disinteresse degli atinati per la loro stessa storia. Un tentativo di recupero di quanto non andato ancora perduto a causa di questa secolare incuria è quindi, oggi più di allora, impresa ardua. Gestire poi con faciloneria e senza competenza alcuna, notizie che affondano le loro origini si nella leggenda ma in quella metropolitana (cioè alla chiacchiere per sentito dire e senza alcun documento storico a supporto), induce inevitabilmente a formulare ipotesi a dir poco fantasiose, che sfociano in ricostruzioni improbabili e fuorvianti. 
Uno scambio di opinioni, a tratti anche un po' vivace, avuto in queste sere d'estate con una mia compaesana sulle supposte e reali origini del nomignolo di mangiasignori mi ha indotto, dopo anni di inutili tentativi di spiegare le ragioni dell'infondatezza di tale credenza popolare, a mettere per iscritto la mia opinione sulle sue origine e le motivazioni del mio convincimento che quanto noi atinati raccontiamo e ci raccontiamo da decenni, non senza un certo orgoglio (giustificato), non sia riportato con precisione di eventi e collocazione storica. 
Spero con questo breve scritto di contribuire a fare chiarezza su questa annosa vicenda. 



Iniziamo col dire che nei dizionari di lingua italiana, il termine “mangiasignori” non lo si trova.
Nondimeno esiste un termine simile che fa riferimento non ai nobili bensì ai prelati.
Il termine è “mangiapreti” e, a differenza del mangiasignori, lo si trova agevolmente nei suddetti dizionari. Per brevità riporto il significato del termine facendo riferimento soltanto a due tra i più autorevoli e cioè il Sabatini Coletti e lo Zanichelli.

Nel primo si legge:

mangiapreti
[man-gia-prè-ti] s.m. e f. inv.
    Persona intollerante e maldicente nei riguardi dei preti; anticlericale convinto e dichiarato
    a. 1881

Il secondo analogamente, riporta:

mangiapreti
[man-gia-prè-ti] aggettivo, nome maschile e nome femminile invariabile

si dice di chi non ama i preti e i religiosi in genere.




Mangiapreti sono ad esempio detti i Romagnoli ed i comunisti in genere.
Almeno quelli di una volta e non tutti ovviamente; si dice che i buongustai mangiassero solo i bambini.
Del resto, chi non ricorda le divertenti storie di Peppone e Don Camillo, i personaggi nati dalla penna di Guareschi e interpretati sullo schermo da Fernandel e Gino Cervi?
Entrambi i termini li troviamo insieme in questo passo di "Nuove storie d'ogni colore" di Emilio de Marchi "Quando si dicono le combinazioni! Rostagna era da cinque anni il tirannello del mandamento, un radicale rosso anche lui come il suo villano, un mangiapreti e un mangiasignori in insalata. Eletto coll'aiuto materiale e morale degli osti e dei mediatori di vitelli, spadroneggiava i comuni a dispetto dei padroni e delle autorità, che dovevano sopportare la sua prepotenza, voglio dire la sua influenza sui ministeri."
Quindi, nel nostro caso specifico, sostituendo il signore al prete, possiamo tranquillamente affermare che un mangiasignori è persona che non ama la nobiltà. Quindi per mangia signori non è necessariamente da intendersi uno che mangia letteralmente un altro essere umano, benché di nobili origini, ma anche e più realisticamente una persona che, più semplicemente e più realisticamente, non ama la nobiltà in genere e che in un determinato periodo storico o anche in più di uno, ha manifestato palesemente questa sua avversione verso la nobiltà del tempo, magari arrivando ad azioni non proprio eclatanti  e poco credibili come un atto di cannibalismo, ma una vera e propria rivolta, si. Azione che ragionevolmente sarebbe potuta bastare a far meritare ai nostri antenati il nomignolo.
L'accezione data al termine nella nostra lingua, unitamente al buon senso e ad un minimo di ricerca storica ispirata dall'interesse per il recupero della vera storia della nostra comunità, pone quindi sotto una luce diversa il soprannome affibbiato in passato agli atinati. Dare agli abitanti di un paese un soprannome era del resto prassi comune, così come testimoniato dal fatto che non solo gli atinati ma gli abitanti di tutti i paesi del Vallo di Diano nel passato hanno avuto un soprannome; gli abitanti di Teggiano, ad esempio, è noto che sono i "zomba fuossi ri Rianu".
Nel passato si è detto, ma con precisione quando?
Molti atinati (se non tutti) sono convinti che questo ingombrante nomignolo ci sia stato affibbiato addirittura nel medioevo, in un periodo non ben specificato, quando un non ben specificato signore avrebbe preteso di esercitare lo jus primae noctis ai danni di una non ben specificata fanciulla andata in sposa ad un non ben specificato giovane che riesce a sollevare l'intera popolazione contro questo nobile prepotente. Gli atinati raccontano che la popolazione in rivolta abbia avuto la meglio sugli armigeri del nobile e che questo alla fine sia stato non solo linciato dalla folla in delirio ma addirittura mangiato. Cotto o crudo la “leggenda” non lo dice.
A pensarci bene, non dice nemmeno perché i parenti del malcapitato non abbiano organizzato nessuna azione punitiva contro i rivoltosi e che si siano fatti sbranare un consanguineo senza battere ciglio (o almeno farsi dare la ricetta).
A pensarci meglio, non dice nemmeno perché in un'epoca dove si finiva sul rogo per molto meno, nemmeno la Chiesa abbia agito contro questi figli di Satana che si erano macchiati di un tale abominio.
Certo, a giustificazione di queste lacune nel racconto, si potrebbe asserire che si parla pur sempre di una leggenda e questa, in quanto tale, non può e non deve essere credibile, altrimenti finirebbe di essere leggenda per diventare storia. C'è anche da dire però che una vicenda troppo lacunosa e con troppe contraddizioni al suo interno, finisce per essere troppo poco credibile anche come leggenda, benché tanto lontana nel tempo perché "medievale". E si, perché sempre a voler fare una ricerca seria sul nostro passato e trovare le radici di questo racconto, si dovrebbe innanzitutto riflettere sul fatto che il medioevo è un periodo storico la cui individuazione temporale è piuttosto controversa e che ha un suo inizio e fine diverso da paese a paese e con riferimento a diversi eventi storici. Per alcuni ha inizio con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, quindi nel 476, per altri nell'anno 1000, ma per tutti finisce con l'età moderna e quindi o con la riconquista di Granada o con la scoperta dell'America o con il Rinascimento (e quindi, a Firenze ad esempio, in Architettura con Brunelleschi e in pittura con Masaccio e Donatello).
In sintesi, non tutti gli storici sono concordi nell'individuare con precisione l'evento storico che segna l'inizio e la fine del periodo detto dei secoli bui e ancor meno una data precisa, tanto è vero che l'anno 1000 per alcuni è solo un riferimento temporale per segnare il passaggio tra alto e basso medioevo. Potremmo dire, per non far torto a nessuno, che con medioevo si indica il periodo piuttosto lungo e che si protrae dal V al XV secolo dopo Cristo e che per comodità di studio questo periodo può essere diviso tra alto medioevo e basso medioevo, racchiudendo il primo periodo storico dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente all'anno 1000 e il secondo tra l'anno 1000 e il 1492, anno della scoperta dell'America.
Tornando a noi, cioè agli atinati, ad onor del vero dobbiamo dire anche che vari autori locali hanno scritto la nostra storia, autori i cui scritti godono ancora oggi di credibilità: il Dott. Michele La Cava che nel 1893 pubblicò un suo scritto dal titolo “Istoria di Atena Lucana”, l'Avv. Giovan Battista Curto che nel 1901 pubblicò il suo “Notizie storiche sulla distrutta città di Atinum Lucana dai tempi incerti fino al secolo XIX”, la Dott. Elena D'Alto che pubblicò nel 1985 il suo “Atena antica”. Insieme a questi anche altri hanno condotto ricerche e studi facendo sovente riferimento anche ad Atena Lucana. Uno fra tutti il Prof. Vittorio Bracco.
Grazie agli studi condotti dai citati illustri autori e di altri, sappiano alcune cose di Atena. Alcune più certe di altre. Del periodo medievale ad esempio sappiamo con certezza, grazie anche a 3 pergamene del tempo, conservate alla Badia di Cava e che risalgono una al 1100, un'altra al 1141 e la terza al 1231. Nella prima risulta Raone, signore del castrum di Athana, mentre dalla seconda si apprende che in età normanna feudataria è la contessa Giuliana, signora del castello di Atana. Siamo quindi nel periodo del Regno di Ruggiero di Altavilla. In una donazione del 1231, sotto il regno di Federico II e perciò in età sveva, feudatario è Filippo de Arcurio, signore del castello di Atina. Alla fine del 1200, col dominio angioino troviamo i De Rocca con Giovanni, poi , con il titolo di duca, Guglielmo il fratello e il figlio Guidone. Nel 1345 Atena passa sotto i principi Sanseverino di Salerno, nel 1339 a Luigi e poi da questi al figlio Roberto, il costruttore della leggendaria torre cilindrica del castello, dall'alto della quale si racconta si vedesse lo stesso Golfo di Salerno.
Tornando alla storia, nel 1474 è Antonello Sanseverino, principe di Salerno, promotore nel 1485 della congiura dei Baroni, feudatario di Atena e naturalmente anche Atena fu coinvolta in detta congiura. Atena rimase possedimento dei Sanseverino fino al 1507, quando a Ferrante furono confiscati tutti i beni e possedimenti per essere messi all'asta, dove furono acquistati dal principe di Stigliano.
Nel 1571 Ippolita Filomarino moglie di Marco Antonio Caracciolo, marchese di Brienza, acquistò Atena dal conte di Morcone ma solo alla morte dei coniugi il figlio Giovanni Caracciolo potè ricostituire il feudo nella sua integrità.
Giovanni governò Atena per molto tempo ma non lo fece in modo oculato, tanto nel curare i suoi stessi interessi quanto quelli dei suoi vassalli e fu proprio sotto il suo governo che gli abitanti di Atena iniziarono una serie di controversie che durarono a lungo. Il figlio ed erede Giacomo non riuscì a restituire alla madre Diana Caracciolo la dote e fu costretto a cedere a questa, in cambio della somma dovuta, la terra di Atena che fu poi ceduta al figlio Giuseppe che ricevette il titolo di principe sobra la tierra de Atina. I Caracciolo manterranno il titolo di principi di Atena fino all'abolizione della feudalità. L'ultima discendente, la principessa Giulia Caracciolo donerà al nipote Luigi Barraco il palazzo costruito dal suo avo Giambattista nel XVI secolo, anche con le pietre ricavate dalla demolizione della leggendaria torre cilindrica del castello fatta costruire da Roberto Sanseverino.
Ai fini del nostro lavoro, possiamo tranquillamente fermarci qui.
Il periodo storico velocemente ripercorso, compreso tra il 1000 e il 1639 e oltre è, come visto, ben documentato dagli autori del tempo, eppure nessuno di essi  o di epoche successive, fino ai giorni nostri e quindi compresi gli autori locali già citati, riporta un qualsiasi riferimento ad una ipotetica sommossa popolare legata a questioni d'onore con tanto di assalto al castello, espugnazione e all'annientamento della sua guarnigione, cattura del principe, linciaggio e “fiero pasto” finale. Questo silenzio di storici antichi e contemporanei sulla supposta rivolta in epoca medievale avrebbe dovuto essere in tutti questi anni un motivo di attenta riflessione per gli atinati o quanto meno avrebbe dovuto far balenare in loro un dubbio sulla fondatezza delle origini della leggenda e delle vere cause che gli ha fatto meritare l'appellativo di mangia signori. E invece no, a dispetto dell'assenza di ogni riscontro storico sul supposto linciaggio o sull'assalto al castello in epoca medievale, gli atinati si ostinano a raccontarsi questa storiella e molti con la convinzione incrollabile (da qui la citazione iniziale di Nietsche), che questa leggenda abbia un fondamento nella realtà, un episodio realmente accaduto nel medioevo, semmai un po' romanzato, ma sostanzialmente "vero".
In realtà, a mio modesto parere, niente è più falso e la leggenda è soltanto una leggenda metropolitana.
Prima di entrare nel vivo del fatto storico, è necessario aprire ancora una breve parentesi per tracciare la netta e importante linea di confine che esiste tra leggenda in senso stretto e leggenda metropolitana, tralasciando per ora la più complessa differenza tra leggenda, leggenda metropolitana e mito. In parole semplici, la leggenda è un tipo di racconto che fa parte del patrimonio culturale di tutti i popoli, appartiene alla tradizione orale e mescola elementi reali ed elementi di pura fantasia. Di contro la leggenda metropolitana è un genere di racconto contemporaneo, che consiste in storie insolite o incredibili tramandate oralmente che acquisiscono una certa ed usurpata credibilità a causa della loro veloce diffusione dovuta solo ad una cassa di risonanza molto potente fatta di gente credulona e priva di ogni senso critico e che può variare dal gruppetto davanti al bar al link su internet, ad esempio. Diventa vera perché qualcuno lo ha detto ma non si ricorda più chi, quindi niente si può dire sull'attendibilità della fonte ma se tanti la ripetono, allora deve essere per forza vera, perché vox populi. Questo, sempre a mio modesto parere, è quanto è successo ad Atena Lucana non nel medioevo ma molto più realisticamente sul finire degli anni '70, quando un gruppo di giovani di allora, tra cui la già citata Dottoressa Elena D'Alto, un po' per gioco, un po' per amore verso il teatro, un po' perché allora i ragazzi si riunivano anche per fare cultura e non solo per giocare a pallone o a carte, mise in scena nella piazza del paese un simpatico spettacolo che tra gags e canzoni più o meno tradizionali, operò una ricostruzione, a tratti fantasiosa, della storia di Atena Lucana. La parte più fantasiosa ebbe il pregio o la colpa di creare una storiella che prendeva spunto da un fatto realmente accaduto e cioè una non ben definita rivolta popolare degli atinati verso un signorotto locale. Questa storia si tramandava oralmente tra gli abitanti da generazioni e si credeva antichissima. Ancora oggi, altrettanto erroneamente, si crede alle sue origini medievali ma, come vedremo in seguito, in realtà è molto meno antica  di quanto si è creduto si creda ancora. E' probabile che questi volenterosi ragazzi, non avendo notizie certe sul motivo e la datazione dell'evento o forse anche per ragioni squisitamente teatrali, romanzarono l'evento forse anche nell'intento di renderlo più accattivante e, arbitrariamente l'ambientarono nel medioevo confezionandoci intorno anche una causa scatenante "storicamente plausibile", lo jus primae noctis, appunto.
Premesso che la rivolta a cui gli atinati fanno vagamente riferimento nella loro leggenda c'è veramente stata e che è anche ben documentata, come dirò in seguito, tralasciamo ancora per un po' la sua narrazione, perché  al momento si rende necessaria un'ulteriore breve quanto istruttiva divagazione su cosa sia stato lo jus primae noctis e se quanto detto intorno a questo sia attendibile o meno. Ancora una volta per far luce sulla situazione occorre fare una ricerca. Una ricerca su internet è sufficiente a documentarsi su tale supposta pratica medievale e a chiarirsi le idee su di essa ed il suo supposto uso. Innanzitutto cominciamo col dire che l'espressione jus primae noctis viene dal latino e che letteralmente significa diritto della prima notte. Il diritto di cui sopra avrebbe indicato la libera facoltà del signore feudale di trascorrere, in occasione del matrimonio dei suoi servi, la prima notte di nozze con la sposa. In realtà dalla ricerca risulta chiaro che non esistono testimonianze della diffusione di questo diritto nel medioevo, in tutta l'area europea. I documenti del passato pervenutici e debitamente studiati da storici ed antropologi ci ha permesso di conoscere in modo approfondito la legislazione dei Regni di allora ed in nessuno di essi vi è traccia dello jus primae noctis, né vi è alcun riferimento nella legislazione longobarda a qualcosa di somigliante a questo. Lo stesso dicasi per la legislazione carolingia e dei regni successivi e per quella del Sacro Romano Impero e dei Comuni. In conclusione nelle fonti storiche non ne sono rintracciabili direttive né da parte delle autorità laiche, né da parte di quelle ecclesiastiche e questa assenza di seppur minimi riferimenti ha portato a concludere la maggior parte degli storici contemporanei che lo jus primae noctis sia una leggenda sviluppatosi a partire dall'illuminismo. In ogni caso e questo chiude definitivamente la questione, oltre all'assenza di riferimenti legislativi ufficiali civili o ecclesiastici, nel medioevo vi furono talvolta rivolte dei contadini in occasione delle quali venivano redatte in forma scritta richieste e lamentele dei rivoltosi e in nessuno di questi testi risulta che siano mai state trovati accenni allo jus primae noctis, né a soprusi sessuali d'altro genere. Questo ci porta a fare ancora un piccolo passo avanti nella nostra ricostruzione e cioè che è opinione della maggior parte degli studiosi che lo jus primae noctis non sia mai esistito e che si sia semplicemente scambiato il maritagium per un riscatto di un antico diritto reale del signore sugli sponsali mentre in realtà si trattava di un diritto che gravava sui beni, non sulle persone. In campo religioso, lo jus suddetto deve essere identificato poi con la pratica degli sponsali, al termine della cerimonia laica, di farsi dare una benedizione speciale dal sacerdote e nell'astenersi la prima notte di nozze da rapporti sessuali, in rispetto di essa. E con questo, anche quanto detto sullo jus primae noctis ai fini dei questa breve disquisizione, può bastare e possiamo finalmente riportare l'evento a cui la leggenda fa realmente riferimento, la rivolta del 1647-48.
Per un'esposizione più chiara e per una maggiore fedeltà storica all'evento, trascrivo pari pari quanto riportato da Francesco Paternoster nel suo “I feudatari di Brienza”.
La crisi economica e la rivoluzione del 1647-48 si risentirono e ripercossero vivamente anche a Brienza, Pietrafesa, Atena e Sasso, nei paesi cioè facenti parte del Feudo Caracciolo, dove le misere popolazioni di pastori, fittaiuoli, braccianti e modesti contadini gravati da censi e tributi vari, divenute ormai più intolleranti, irrequiete e ribelli, insorsero, tentando per la prima volta di spezzare il giogo cui da tanti secoli erano sottomesse di reclamare diritti mai loro riconosciuti e concessi, di liberarsi del gravoso peso di tanti tributi, vincoli e divieti che le costringeva ad una vita priva di libertà, misera, piena di ingiustizie. E non solo il popolo si sollevò, bensì anche l'università e il clero, l'una per riottenere il demanio dell'università usurpato, l'altro per difendere il patrimonio delle Cappelle e dei monti di pietà.
E le popolazioni di Atena, Brienza, Pietrafesa e Sasso parteciparono sì apertamente e attivamente ai moti popolari, da far fallire completamente il tentsativo del duca di Martina di creare un centro controrivoluzionario proprio attorno al feudo dei Caracciolo di Brienza, nel territorio di Marsicovetere, ove crollava anche la resistenza del Principe Salvatore Caracciolo, permettendo agli insorti di unirsi a quelli di Marsiconuovo, che era insorta ai primi di Agosto, accogliendo le forze popolari guidate da Vincenzo Pastena.
Da Atena partì pure per Napoli una delegazione di undici persone per presentare 43 <<capi di gravame>> contro il barone; ma non riuscì ad entrare nella città.
I cittadini intanto si rifiutarono di pagare i canoni e assalirono finanche il palazzo del feudatario di Atena.
Ma anche a Brienza, Pietrafesa e Sasso i rivoltosi <<durarono ostinatamente nella loro perfidia>>, e fino a quando nel maggio 1648 non tornò nel feudo con quattrocento soldati Giuseppe Caracciolo, principe di Atena, che, <<tenendo vassalli sotto il terrore per 18 giorni>> rimise l'ordine nelle sue terre, <<con dare aspro castigamento a coloro che avevano fallato>>
Ma questa dura rappresaglia non impedì tuttavia ai ribelli dell'autorità regia del feudo, qualificati <<briganti>>, capeggiati da G.B. Di S. Arsiero e certo notaio Fabio Pessolano di Atena, di riunirsi alle bande del famoso Tittariello che nell'agosto 1648 entrarono in Sala e i <<massacrarono parecchi cittadini fedeli a Spagna>>, e successivamente, il 15 agosto, si scontrarono ad Atena colle truppe inviate dal Vicerè sotto il comando di Scipione Monforte e dell'Uditore di Salerno Giovenco”
La rivolta capeggiata a Napoli da Tommaso Aniello (conosciuto poi come Masaniello), nel principato fu invece capeggiata da Ippolito di Pastina (il masaniello napoletano), mentre il fratello Vincenzo capeggiò quella nel Vallo di Diano. Ebner racconta di palazzi assaltati, portoni divelti e sgherri uccisi con la testa mozzata, come quelli del signore di Camerota, a cui fu inviato anche il macabro trofeo a Napoli, dove si era rifuggiato. Sempre Ebner narra della sorte toccata al sanguinario barone di Casalicchio, (l'antico nome di Casalvelino) Giovan Battista Bonito che il 23 luglio 1647 fu squartato e fastto a pezzi su un ceppo da macellaio, da parte della folla inferocita. 
Anche in questo caso però non c'è notizia di "fiero pasto".
Quello che invece si sa è che Vincenzo non riuscì a sobillare le popolazioni del Vallo di Diano e che solo la popolazione di Atena ebbe l'ardire di pretendere il ridimensionamento delle esose prerogative arrogatesi dal principe Caracciolo. 
Riporto fedelmente quanto contenuto nel libro di Ebner: " L'universitù chiese, segnala il Cassandro, << che il feudatario paghi, come non ha mai fatto, la bonatenenza per la quale deve 15000 ducati; lasci la portulania che ha usurpato da anni; non pretenda di riscuotere un fitto annuo di 50 ducati per la scafa che possiede sul fiume pubblico (Chiarisce V. Bracco che in qual tempo non vi era il ponte sul Tanagro che <<da sotto Atena taglia il Vallo e sbocca a San Marzano, per cui si era obbligati a servirsi della "scafa" del principe su cui si pagava il pedaggio, per cui "si aveva un ponte in meno e una speculazione in più>>); cessi di arrogarsi il dominio della bagliva; restituisca all'università i territori demaniali usurpati; non faccia pascolare nel demanio le sue bestie; che vieti che i provati difendano le loro terre demaniali dissodate e coltivate dai cittadini. Il 16 dicembre le predette richieste all'università vennero accolte e il principe promise allo stesso vicerè di attenervisi. Ma rientrato ad Atena, alla testa di 400 sgherri, dopo aver ascoltato, compunto, persino il Te Deum nella chiesa, sguinzagliò la soldatesca avida di bottino sugli inermi abitanti che il feudatario marchiò come "ribelli cani". Né il furore vendicativo del principe si attenuò per l'intercessione di pd Ambrogio Pantoliano, il quale da Polla, si era recato appositamente ad Atena. Il povero frate venne svilaneggiato e deriso dal principe e dai suoi, come ricorda il Capecelatro. [...] Il 20 Giugno 1656 scoppiò la peste[...]Il principato che, come si è detto era molto più vasto dell'odierna provincia di Salerno, fu decimato [...] V. Bracco ricorda la morte a Napoli per peste (26 agosto 1656) del crudele Giuseppe Caracciolo, creato principe di Atena (v.) l'8 ottobre 1636, il quale nel 1651 aveva ereditasto dal fratello il marchesato di Brienza e feudi minori e anche Sasso e Pietrafesa [...].
Che cosa si apprende d'interessante da questo scritto del Paternoster (confermate da quello di Ebner)

  1. che prima del 1648 non ci sono rivolte documentate degli atinati contro nobili del posto.  
  2. che la rivolta nasce per ingiustizie che poco hanno a che fare con questioni di camere da letto ma molto di più per questioni di sale da pranzo 
  3. che, epilogo scontato, il nobile di turno sopravvissuto alla cittadinanza in rivolta, ovviamente torna con un numero adeguato di sgherri per punire i rivoltosi. Se non fosse sopravvissuto, è logico supporre che sarebbero stati sicuramente i suoi parenti a farlo ed in modo molto più duro. 
A maggiore conferma di quanto asserito al punto 1,  riporto testualmente anche quanto scritto nel libro "Il viceregno di Napoli nel sec: XVII" di Giuseppe Coniglio. A pag. 19 del suddetto testo, si legge: " Non bisogna però dedurre che tutti i nobili fossero manutengoli dei banditi e depredassero i cittadini, vessandoli in tutti i modi. Certo vi furono soprusi ed abusi vari, ma probabilmente né più né meno di quanto avviene ovunque l'autorità centrale non sia forte. Valga l'esempio di Atena Lucana ove, in alcuni secoli di feudalesimo, il dominio di un solo feudatario può essere giudicato una <<triste parentesi>>, quello di Giuseppe Caracciolo, mentre con i suoi predecessori e successori i rapporti si mantennero su <<un terreno meramente patrimoniale>> (nota 26 che rimanda a  - Cassandro, Storia di una terra cit. pag. 92)  

Soprattutto però si evince che l'antica leggenda non è poi così antica e che a renderla tale è stata il disinteresse per la ricerca delle sue vere origini e ragioni, cosa che l'ha trasformata in leggenda metropolitana, più che in leggenda in senso stretto. Interessante notare come un episodio simile a quello che la leggenda (ormai acclarata come metropolitana) vuole accaduto ad Atena a danno del suo principe, in realtà pare accaduto realmente a Casalvelino a danno del principe di quella terra, Giovan Battista Bonito, ma ancora una volta durante i moti del 1648 e non in epoca medievale e, cosa fondamentale, senza atti di cannibalismo.
Del resto, come ho avuto modo di dire in più occasioni, se proprio vogliamo trovare per forza una collocazione antica e una ragione fantastica all'ingombrante nomignolo, perché non rifarci addirittura ad un eroe mitologico? Abbiamo un legame "storico", sebbene anch'esso molto controverso e sotto alcuni aspetti discutibile, con Atteone, tanto che sullo stemma del comune questi compare come cervo sbranato dai cani, così come racconta la leggenda, poi ripresa anche da "Le metamorfosi" di Ovidio. Bene, allora partiamo da questo e "ricamiamoci" sopra. Vi assicuro che Atteone sbranato dai cani è una leggenda molto più "credibile" di quella del signorotto sbranato dalla popolazione e spero di trovare presto il tempo e la concentrazione necessaria per poterne scrivere. 


PS

Aggiungo a quanto detto, altre 2 postille: la prima riguarda strettamente il nostro passato ed è perciò di fondamentale importanza per la sua corretta ricostruzione, la seconda è, invece, una precisazione storica di carattere culinario il cui valore non è legato al solo territorio atinate.

  • Qualcuno ha letto dell'esistenza nei tempi passati dell'università di Atena e si è convinto che ad Atena esistesse un' Università degli Studi, cioè l'Università così come comunemente s'intende oggi quando si parla della Federico II di Napoli o di quella di Fisciano piuttosto che di quella di Firenze o del Politecnico di Milano, ecc. 

Anche questa è palesemente una falsità, oltre ad un'assurdità. 
Ad Atena Lucana, infatti, non c'è mai stata un'università in quel senso e quindi la notizia, assimilata senza discernimento, andava interpretata in modo diverso e corretto. 
Se risaliamo all'etimologia del termine univerità, infatti, troviamo tra le varie accezioni quello che più si adatta al nostro caso: "il Comune o Tutto il popolo di una città". Cioè chi ha scritto "università di Atena Lucana",  intendeva indicare tutta la sua cittadinanza e certo non un polo universitario.

Infatti facendo una breve ricerca si scopre che le università o universitates o anche università del Regno, erano nient'altro che i comuni dell'Italia meridionale sorti già ai tempi dei Longobardi ed in seguito resi feudi con l'avvento dei Normanni. 
Sembra che questo nome lo si debba a Carlo I D'Angiò che preferì il termine universitas, derivante da "universi cives", cioè: "unione di tutti i cittadini", a "comune", termine usato ai tempi di Federico II di Svevia.
Sempre dovuto al suddetto D'Angiò anche la distruzione dei sigilli comunali. 
Le universitas terminarono la loro esistenza soltanto con l'abolizione del feudalesimo, avvenuta per volere di Giuseppe Bonaparte e sancita con il decreto del 2 Agosto dell'anno 1806.
Altra cosa importante da dire sulle universitas è che si distinguevano in Universitas feudali e Universitas demaniali
Le prima si tramandavano da castellano a castellano in quanto proprietà di un feudatario come merce qualsiasi e quindi la stessa sorte toccava contemporaneamente non solo ai terreni, ma anche bestie e addirittura agli esseri umani ad esse legate. Le universitas demaniali, invece, di numero molto inferiore alle prime, dipendevano dalla Corona e godevano di maggiori libertà e privilegi, tra cui il diritto di ricorrere alle autorità superiori in caso si fosse ravvisato un abuso da parte dell'amministratore locale.
Inutile dire che esiste una bibliografia su quanto appena detto e che molte notizie sono reperibili con non molta fatica, anche in rete 
Riporto sempre per amore di brevità e verità storica, il seguente passo, reperito appunto su internet: 
"A cavallo della dominazione normanno-sveva molti Casales furono uniti, dando così origine alle Universitas che resero fine alle leggi eversive della feudalità emanate dai Napoleonidi nel 1806. Così verso la meta del XIII secolo la contea giffonese si divise in tre Università: Valle e Piano, Sei Casali e Gauro. L’Universitas Sex Casalium riuniva sei Casali: Ausa, Belvedere, Bissido, Capitignano, Prepezzano e Sieti. Gli abitanti di ogni centro vennero allora retti da leggi emesse, in armonia con le leggi del Regno, da un potere centrale costituito da amministratori eletti da ogni Università e riuniti in Reggimento (Consiglio comunale) con una propria Cancelleria (Municipio).

A prescindere da quanto riportato a conferma, quando leggiamo un documento storico cerchiamo quantomeno di non travisarne il contenuto commettendo l'ingenuità di prendere alla lettera determinate espressioni, invece di cercare di capirne il senso.

Se non altro per evitare di passare per cannibali laureati.  
Credere all'esistenza di università nell'allora territorio di Atena Lucana, equivale infatti a credere, secondo quanto riportato anche dallo stesso Paternoster ad esempio, che a quei tempi (cioè sempre "più o meno nel medioevo" ) avremmo avuto contemporaneamente, così come riportato in un documento del 1809, un'università a Sasso, una a Pietrafesa, una a Brienza ed una ad Atena, cioè un polo di enormi dimensioni, tale  da far impallidire l'attuale Federico II e Fisciano messe insieme. 

  • La seconda precisazione riguarda invece la cucina, come già anticipato. Cito testualmente, come sempre per  amore di precisione e per brevità:: 

"Il pomodoro è una pianta orticola della famiglia delle solanacee (Lycopersicon esculentum). Raggiunge a volte l’altezza di 2 metri e necessita di un sostegno. Le sue foglie sono lunghe e con un lembo profondamente inciso; i fiori si presentano a grappoli e sono distribuiti lungo il fusto e le ramificazioni. Il suo frutto, anch’esso denominato pomodoro, è una bacca rossa di forme e dimensioni diverse a seconda della varietà, con una polpa dal sapore dolce-acidulo ricca di vitamine (A, C, B1, B2, K, P e PP).
  La pianta è originaria del Cile e dell’Ecuador, dove per effetto del clima tropicale offre i suoi frutti tutto l’anno, mentre nelle nostre regioni ha un ciclo annuale limitato all’estate, se coltivata all’aperto. 
Dominatore della gastronomia napoletana e largamente diffuso in tutto il mondo per il suo gusto oltre che per le sue importanti proprietà dietetiche, il pomodoro ha tuttavia raggiunto le cucine europee in tempi relativamente recenti e, sebbene importato già nel Cinquecento, soltanto due secoli dopo è stato impiegato nell’alimentazione."

In sintesi: il pomodoro è arrivato ad Atena Lucana soltanto dopo la scoperta delle Americhe e cioè dopo l'ottobre del 1492 (evento che secondo alcuni, come già detto, segna la fine del medioevo) e quindi ha poco a che fare con i "piatti medievali".

Questo è il quanto, con la speranza di essere stato utile all'università di Atena Lucana.

© Arch. Angelo Sangiovanni
Vietata la riproduzione totale o parziale di immagini e testo contenute in questo post.
 Tutti i diritti riservati