sabato 20 giugno 2009

Atena Lucana Concorso d'idee per l'area del mercato comunale

POSTFAZIONE:

Poche ore!
Ancora poche ore ed avrei avuto la possibilità di consegnare in tempo la mia idea.
Peccato!
Peccato perché "Quarto Potere" è un progetto a cui tenevo molto, l’occasione attesa da tanto di poter dare il mio contributo professionale al recupero del patrimonio architettonico (e non solo) della parte più antica del Comune di Atena Lucana.
Quando una quindicina di giorni fa ho finalmente deciso di partecipare al bando, non l’ho fatto per i soldi del premio al vincitore, né con la certezza di avere la vittoria in tasca e tanto meno tutte le verità. L’ho fatto con l’unica certezza di avere buone idee maturate in anni di osservazioni, di riflessioni e di studio.
Prima che le buste degli altri partecipanti, da qui a qualche giorno, vengano aperte e senza alcuna pretesa o altro fine che non sia il piacere della loro condivisione, riverso le idee espresse nel mio progetto su questo blog e lo faccio perché peccato ancora più grave, peccato di superbia, sarebbe credere nelle proprie idee e non condividerle con chi ne potrebbe beneficiare in futuro; cosa che del resto ho sempre fatto, perdendone spesso il copyright. Del resto, quale migliore prova di aver avuto una buona idea, se non quella di vederla rivenduta da altri come propria?
Per amore di brevità e perché aspetti progettuali non affrontati dal sottoscritto, ometto tutta la parte riguardante gli argomenti di carattere strettamente economico e tecnologico che erano parte integrante ed essenziale della seguente relazione.
Colgo anche l’occasione per ringraziare l’amica e collega argentino Arch. Marisa Beatriz Escobar per aver tradotto i miei disegni al CAD in visioni fotorealistiche. Altro doveroso ringraziamento va all’amico Francesco Magnanti, laureando in Storia e Beni Culturali, per le preziose informazioni sui Palazzi Storici di Atena Lucana e per la sua disponibilità a condividerle con il sottoscritto.

Sieci (Fi) 20/06/2009
                                                                      Arch. Angelo Sangiovanni



           Comune di Atena Lucana
Bando di un concorso di idee per la riqualificazione Urbanistica, Paesaggistica ed Architettonica dell’area del mercato comunale  





Alcune doverose premesse:

La definizione di piazza più calzante ed esaustiva è sicuramente quella che la definisce un vuoto urbano, pausa nella condensazione dell'abitato che, contemporaneamente, appartiene ai fronti degli edifici che essa stessa separa. La piazza così come ci è stata tramandata è perciò, nel contempo, un “fatto” architettonico e urbanistico, in quanto la sua essenza travalica quel legame che essa stessa crea, divenendo “fatto” antropologico. Progettarla correttamente non può quindi prescindere dall'aver compreso non solo l'importanza storica e sociale che ha rivestito nello spazio e nel tempo ma ancor più l'essenza contenuta nella varietà delle sue forme e della sua funzione, pressoché immutato nei diversi luoghi e nelle diverse epoche storiche. La piazza, infatti, è da sempre il luogo deputato alla teatralizzazione di qualsiasi gesto o azione che la utilizzi come suo fondale, sia esso il comizio elettorale, il concerto improvvisato, il passeggio, il luogo d'incontro o del commercio ambulante. Quando così non è, la piazza smette di essere la pausa prima descritta e che è presenza fondamentale dell'identità urbana, scenografia degli eventi più importanti della vita sociale della comunità, fenomeno del Genius Loci, per ridursi a semplice assenza di pieni, amorfo vuoto inutilmente e costosamente arredato, soluzione di nessun problema, risposta progettuale errata a domanda mal posta. In sintesi: uno spazio inutile perché lontano dalle reali esigenze di una determinata comunità in un determinato luogo, in una determinata epoca.
Luoghi così malamente concepiti non saranno mai piazze, perché incapaci di vivere per quello che avrebbero voluto essere e cioè poli di attrazione degli essere umani e catalizzatori delle loro azioni più importanti.
Questo è accademia: uno spazio libero non diventa piazza, in senso architettonico, se non quando appare effettivamente chiuso, così che lo sguardo non possa fuoriuscire né dagli angoli, né lungo i lati. Un luogo interiorizzato oltre che fisico, in cui le strade devono diligentemente entrare negli angoli e mantenersi ai margini, così da non frammentarne lo spazio che si vuole creare e vanificare gli artifici scenici realizzati, come ben aveva osservato Le Corbusier e, ancora prima, Camillo Sitte.
La piazza, quella storica, aveva una funzione e questa funzione ha generato delle regole che a loro volta hanno generato un modello perpetuatosi nel tempo e che ritroviamo come matrice comune in ogni piazza anche se siamo portati a percepire ognuna di esse come un unicum, sia per la sua diversa identità, luogo ed esigenze che l’hanno generata.
Gli spazi impropriamente chiamati piazza disattendono queste regole mai scritte eppure chiaramente codificate e in primis lo fanno proprio perché realizzazioni di progetti non confacentisi dal contesto perché non dettati da reali bisogni della comunità del luogo ma imposti da chi ha potere di decidere anche su materia che ignora. Questi luoghi mal concepiti sono però destinati ad essere prima disertati e poi addirittura dimenticati da quegli stessi uomini che avrebbero dovuto attrarre insieme alle loro attività. Questo rifiuto da parte dei possibili fruitori porterà quegli stessi “géometrès” di Lecorbuseriana memoria che li hanno così fortemente voluti, ignari delle deleterie conseguenze che la loro infelice decisione avrebbe avuto sulla qualità dello spazio, vigliaccamente a disconoscerli.
Per questi luoghi dell'assenza, già al termine della loro realizzazione inizierà cioè il graduale ed inevitabile processo di distruzione fisica e mentale da parte di coloro che avrebbero dovuto viverli, di quelli che avrebbero dovuto riconoscervi il luogo del rito e avrebbero dovuto farne il luogo del mito. Il rifiuto del luogo prima e l’oblio dello stesso poi, opereranno la distruzione del “monumento alla vanagloria” e perpetreranno una violenza che non ha bisogno di toccare nulla per annientare il tutto e che si manifesta semplicemente attraverso il gesto dell'esilio e dell'abbandono dell'inutile luogo. La vita della città con il suo passeggio, il commercio, le feste, le celebrazioni civili e religiose si è concentrato altrove e la “piazza” mal concepita, l'inutile spianata costosamente arredata, si è trasformata nel suo esatto rovescio, un luogo anonimo che prima o poi sarà inevitabilmente oggetto di concorso di idee teso alla sua riqualificazione.



La piazza storica:

La nascita della piazza italiana viene fatta risalire al Medioevo, seguendo due matrici organizzative ben distinte e che ci restituiscono non solo progetti di spazi, quindi del contenitore, ma anche del suo contenuto, della gerarchia e delle proporzioni tra gli stessi oggetti e con l'osservatore, perchè oltre che di complessità figurative la piazza è anche luogo di strategie di sguardi e perciò di relazione umane ed urbane. Le dimensioni e la forma delle piazze sono cioè dettate in parte anche da quelle degli edifici dominanti (edifici specialistici), in un rapporto che è ben evidente, anche se non legato a rigide regole codificate.
  • La prima matrice è di carattere religioso ed è rappresentata dal sagrato della cattedrale, cioè da quello spazio antistante l’edificio religioso che è proiezione esterna delle attività in esso svolte;
  • La seconda matrice è rappresentata dal luogo connesso con le pratiche politico-amministrative, quindi situato nei pressi della sede dell'autorità civile.
  • Connessa più a questa che all'altra, la piazza economica, sede del mercato.
In sintesi, le tre matrici identificano i luoghi del potere Spirituale, Temporale ed Economico e nella loro organizzazione si esprimeva la distinzione tra potere spirituale e temporale. Nascono così i tre modelli originali, di cui il primo conteneva la cattedrale, il campanile, il battistero ed il palazzo vescovile, il secondo conteneva il palazzo della Signoria, in quanto piazza civica principale. Questo secondo tipo di piazza aveva dimensioni più grandi di quella religiosa, in quanto le azioni che si svolgevano in essa erano dettate da bisogni terreni e quindi concreti, ben diversi dagli atti di natura simbolica e rituale che si svolgevano nella prima. Distinta dalle due e senza modelli altrettanto facilmente riconoscibili, la piazza del mercato.
Dove questi luoghi hanno mantenuto la loro funzione ed identità, la vita pubblica continua a svolgersi in queste tre piazze ancora oggi ma, che sia piazza commerciale, religiosa o amministrativa, questa deve essere in ogni caso uno spazio urbano che appaia agli occhi dell’osservatore come “quadro chiuso e di bella unita”, così come configurata da C. Sitte negli aspetti che possono chiaramente identificarla e qualificarla. L'altezza degli edifici, l'innesto delle strade, la disposizione dei monumenti, la collocazione delle fontane o altri elementi di arredo, l'isolamento della cattedrale o la vicinanza di alcuni palazzi, la loro altezza e tutto il resto, fin nel minimo e all'apparenza più insignificante elemento, deve essere pensato in relazione con la piazza che identificano e qualificano e che, nel contempo, li contiene.
“Siamo organizzatori di spazi, non artisti da tavolo da disegno”, ripeteva Lecorbusier e c'è un'arte dello spazio dove tutto dipende dalle proporzioni relative e in cui quelle assolute hanno invece, poca importanza. La piazza, come ogni architettura e forse per le sue dimensioni e la sua importanza, più di ogni altra architettura, va pensata in prospettiva nello spazio e nel tempo perché così sarà vissuta.



Analisi di Piazza Vittorio Emanuele e della relazione con il Decumano:

E' sufficiente questa breve analisi per poter affermare che la piazza costituisce di per sé il luogo della rappresentazione della presenza e della centralità delle pubbliche istituzioni civili e religiose, presenza testimoniata da edifici specialistici, costruzioni (il palazzo della signoria, la torre, la cattedrale, il campanile), che con la loro imponenza sovrastano ogni altra presenza e appaiono dominanti sul contesto. La possibilità di aggregarsi e di sostare in un luogo dichiaratamente pubblico è poi garantita da logge e porticati, modelli che affondano le radici nelle innovazioni urbanistiche dell’età di Pericle, quando le Agorà (in greco γορά, da γω= 1.conduco, 2.governo), termine con il quale nella Grecia antica si indicava la piazza principale della polis, vennero delimitate da portici (stoài), talvolta su più piani e a delimitare terrazzamenti.
Nella piazza di modello medievale gli edifici specialisti, simbolo del potere, dovevano apparire magnifici al viandante in visita, cittadino o forestiero, villico o notabile che fosse, perché erano il simbolo del potere che rappresentavano e la loro grandezza, di riflesso, facevano grande il Principe o il Vescovo. Questo il motivo per cui i palazzi, come le cattedrali, erano spesso costruiti utilizzando artifici scenici che li aiutassero a dominare la piazza. Tra questi la loro sopraelevazione su gradinate o rilievi naturali del terreno, l'attenzione all'altezza degli edifici circostanti perché mantenessero il giusto rapporto e dell'innesto delle strade in una determinata prospettiva che ne amplificasse lo spazio ed esaltasse le altezze, la disposizione delle fontane e dei monumenti. Tutte trovate sceniche per rendere ancora più magnifico il simbolo del potere, perché era il contenuto a dare forma e valenza al contenitore, generando un rapporto così intimo che l'insieme diventava un tutt’uno e a sua volta “monumento”.
Questa l'arte del progettare lo spazio a cui si accennava prima e che dona vita alla cosiddetta piazza di stratificazione, un luogo che storicamente nasce con la collocazione di un elemento fortemente caratterizzato, appunto l'edificio specialistico (Palazzo del Principe, Cattedrale, Convento Palazzo Civico, Chiostro), in un luogo urbano cruciale e strategico, in genere sito con presenza di ruderi archeologici e comunque luogo importante del passato ma che, avendo perso la sua funzione, risultava anche “senza forma”. Il posizionamento di questo oggetto viene attentamente studiato e calibrato, piegato ed adattato ai caratteri del luogo, relazionato agli elementi preesistenti tramite accorgimenti ottici, soluzioni funzionali e scenografiche varie che potevano essere anche connessioni fisiche, come porticati o, al contrario il volontario isolamento dell'oggetto così che nulla possa entrare in relazione e quindi possibile competizione. Il modello, per la sua importanza, a sua volta condizionava il luogo imponendo nuove condizioni agli interventi successivi, comprese le operazioni di arredo e corredo delle aree rimaste libere.
Quanto descritto e che è valido in generale, ad Atena Lucana accadde nel 1581, quando la nobile famiglia Caracciolo costruì il proprio Palazzo, il più antico fuori le mura e lo fece dimostrando estrema padronanza del luogo e delle regole alla base della costruzione di una piazza. Il fronte principale è infatti rivolto all'area archeologica, l'attuale Piazza Vittorio Emanuele ed il prospetto meno nobile perché ospitante l'accesso ai magazzini, sulla via che collega la valle al paese.
Con il fronte principale del Palazzo rivolto all'area archeologica, sacrificando al simbolismo la migliore esposizione verso la valle, i Caracciolo mantengono anche l'ingresso sull'asse viario più importante: l'attuale Via Borgo-Braida, antico Decumano della città romana e poi asse di collegamento tra la parte di Borgo Medievale intra ed extra moenia.
Palazzo Caracciolo e il tratto ad est-della cinta muraria poi occupato da uno degli ingressi di Palazzo De Benedictis, identificano così i primi 2 lati della Piazza sede del potere temporale. Concorreranno negli anni successivi a chiudere gli altri due lati, Palazzo Caporale e Palazzo D'alto. Concorrerà a meglio identificare lo spazio, la diligente scelta della famiglia Spagna, che costruirà nel primo decennio del 1800, il suo palazzo con l'ingresso principale sull’attuale Largo Garibaldi, quindi anch’esso rivolto verso la nascente piazza.
La piazza religiosa troverà la sua sede naturale nello spazio antistante la Chiesa Madre di Santa Maria, in origine sede di un antico tempio pagano sorto all'interno degli spazi poi racchiusi della cinta muraria medievale e su cui viene eretta la Cattedrale in epoca cristiana.
La storia della relazione tra le piazze all'interno dello stesso nucleo urbano è sempre anche la storia di una complessa partita di rapporti politici tra il potere religioso e il potere civile, il potere temporale e il potere popolare e di invidie e gare tra diverse famiglie di nobili e notabili del luogo. L'analisi della nascita e dell'evoluzione del nucleo urbano extra moenia relativamente ad una delle aree oggetto di recupero previsto dal concorso d'idee, non restituisce l'idea di una precisa volontà dei Caracciolo a promuovere un piano urbanistico teso alla ristrutturazione e pianificazione dell'abitato. Forse il ritenere questi luoghi non particolarmente importanti per questi nobili napoletani principi di Atena e marchesi di Brienza ed altro ancora, che spinse i Marino prima del 1780 e quindi prima della realizzazione dei palazzi che chiuderanno con palazzo Caracciolo la piazza principale, a costruire la loro residenza in un altro luogo archeologico importante. Il luogo scelto per palazzo Marino e di tutti gli altri palazzi che verranno costruiti in seguito, è ancora il Decumano, di cui questo occuperò una parte soprelevata nel luogo indicato dalla letteratura del passato come il sito dell'anfiteatro romano.
Tra un palazzo e l'altro che man mano si vanno a posizionare lungo il decumano, l'edilizia minore, che muove da palazzo Caracciolo a partire dalla Taverna del Principe e si snoda lungo il lato valle del Decumano per agganciarsi al secondo palazzo Pessolano-Filos (attuale sede del Convento delle Ancelle Dell'Immacolata) e attraverso questo al Marino. La seconda schiera che muoverà dal lato monte del Decumano in seguito alla realizzazione di Palazzo Curto, si aggancerà al primo palazzo Pessolano-Filos e poi al Mango e ripartiranno da queste per terminare in “piazza” Europa. Queste schiere che si snodano sue due lati del Decumano e riempiono i vuoti opportunamente lasciati tra i palazzi, costituiscono insieme a questi la prima parte dell'insediamento medievale fuori le mura. Oltre lo slargo sede dell'anfiteatro (oppure teatro, versione per la quale propendo) non saranno edificati altri palazzi e saranno solo le case artigiane e contadine, con tanto di orto di pertinenza sul retro, a risalire il decumano, oltrepassare lo slargo impropriamente detto Piazza Europa e cingere il promontorio della Braida ritornando così ai luoghi occupati in epoca romana. Braida è infatti un toponimo che deriva dal longobardo "breit", ovvero "largo" o anche "campagna presso la città" ed è perciò lecito supporre che il toponimo Braida compaia ad Atena Lucana non prima del 570 D. C.
E' evidente quindi che la disposizione degli altri edifici dei nobili e dei notabili di Atena che costruirono fuori le mura predilige l'affaccio su via Borgo-Braida. I Mango, disponendosi di fronte ai Marino, sullo slargo che questi avevano creato arretrando dalla via del borgo il loro palazzo, meglio lo identificano, insieme alla piccola ed antica chiesa dedicata prima a S. Sofia e solo molto più tardi alle Anime del Purgatorio. Nella stessa area anche un ospedale di cui però rimane memoria solo negli antichi documenti. La sua imprecisata posizione e la data 1760 del portale di quello che ora è conosciuto come palazzo Mango, famiglia non di nobili origini e di cui si ha notizia solo a partire dall'ottocento inoltrato, spingerebbero a tirare somme di una deduzione logicamente valida ma, al momento, senza alcun supporto storico. Chiudiamo il discorso su questo slargo osservando che paradossalmente, pur avendo il luogo “tutte le carte in regola” per essere definito piazza, non verrà mai identificato come tale mentre lo stesso attributo è stato dato tanto impropriamente quanto pomposamente allo slargo poco distante, Piazza Europa appunto, che invece non ha nemmeno uno dei caratteri canonici identificanti una piazza.
Tornando a Piazza Vittorio Emanuele quello che attualmente e nonostante tutto è ancora l'unico luogo che può essere definito piazza, il lato di fronte alla cinta muraria, sarà chiuso con la realizzazione dell'ampliamento da parte dei D'Alto, nei primi del novecento, di palazzo Curto, di cui conserveranno l'ingresso. E' facile infatti osservare come questo complesso si presenti chiaramente come frutto dell'unione di due corpi di fabbrica di epoche diverse. Palazzo Curto, l'ala più vecchia, risalente alla metà dell'ottocento ha come tutti gli altri palazzi coevi o precedenti, l'affaccio principale sul Decumano e il costruttore di palazzo D'Alto non creerà un secondo ingresso al piano nobile sulla piazza ma riterrà più opportuno lasciare come ingresso principale quello sul Decumano. Nel contempo però, riconoscerà alla largura antistante il palazzo del Principe il suo grande valore di luogo di aggregazione sociale e dei più importanti eventi della vita sociale della comunità e realizzerà il suo privato “palco a teatro”, rappresentato da tre balconcini. I tre “palchetti” sovrastano gli ingressi di tre magazzini e palazzo Caporale, l'altro elemento di chiusura della piazza risalente al 1866 e che si posizionerà sull'ultimo lato ancora aperto, quello di fronte al palazzo del Principe, entrerà in essa in modo analogo e cioè con l'ingresso principale sovrastato al piano nobile da un balconcino e con due ingressi più piccoli e meno sontuosi, quelli dei magazzini, posti simmetricamente ai due lati del portale. Lo stesso modello lo ritroviamo già nella facciata dell'altro ingresso di Palazzo De Benedictis, quello all'inizio dell'attuale Via Santa Maria, cioè quel tratto di Decumano che risaliva il promontorio cinto dalle mura del XII secolo e che collegava la piazza amministrativa a quella religiosa della Cattedrale. Tornando a palazzo D'Alto, un'ampia balconata e l'ingresso alla rimessa del calesse, risalente ai primi del 900, affacceranno sulla SS 95 (ricalcata nel tratto Piazza Vittorio Emanuele-Piazza Europa dall'attuale Via di Roma), arteria terminata dopo varie peripezie nel 1877. Questa via di comunicazione, una volta di grande importanza e la cui funzione ora si limita allo smistamento del traffico verso valle, essendo stata sostituita negli anni '70 dalla SS598 Fondovalle Val D'Agri, è parallela al Decumano ma, a differenza di questo che probabilmente deve la pronunciata pendenza alla presenza dei ruderi dell’antico anfiteatro, ha un percorso in piano e quindi più adatto per farne una rotabile. I D'Alto, utilizzando l'ingresso principale del precedente Palazzo Curto sul Decumano e ubicando sull'importante arteria rotabile l'ingresso della rimessa entrarono nella piazza storica con il prospetto architettonicamente più debole, nonostante la presenza dei balconcini menzionati, quello cioè con i piccoli ingressi dei depositi. L'assenza di un prospetto con segni forti e perciò senza l'autorevolezza necessaria per incutere timore reverenziale alle generazioni successive e scongiurare gli sciagurati interventi che a partire dagli anni 70 stanno privando la piazza della sua immagine e funzione. Assenza architettonica che ritengo ne abbia fatto negli anni a venire il punto debole di una largura fortemente penalizzata dalla confluenza e dall'attraversamento di più strade. Il lato con i negozi di Palazzo D'Alto, nei primi anni 80 è stato così vittima della rimozione di uno dei tre portali in pietra dei negozi, menomazione che ha compromesso l'equilibrio estetico del prospetto e l'eleganza data dalla simmetria degli elementi. Successivi interventi di arredo urbano hanno quanto mai inopportunamente sollevato una parte della pavimentazione della piazza per creare un'improbabile isola pedonale con la quale si è ottenuto il solo risultato di frammentare ancora di più uno spazio già tanto compromesso, materializzando di fatto un ideale spartitraffico tra Via Roma e Via Borgo Braida.
Alle antiche cause che hanno impedito a questa piazza di rivestire il ruolo che le compete e per il quale era stata pensata altre si sono aggiunte nel passato più recente rappresentate da scelte politiche ed architettoniche quanto mai inopportune. Il fronte debole del Palazzo D'Alto con la rimozione di uno dei tre portali in pietra dei negozi perde la sua integrità negli anni immediatamente successivi al sisma del 1980 ma ancora prima, negli anni 70, l'angolo del Palazzo Caracciolo tra Piazza Vittorio Emanuele e Largo Garibaldi aveva barattato senza mediazione alcuna il suo sobrio stile rinascimentale con un razionalismo del tutto fuori scala che portava con sé balconcini e sopraelevazioni. In successione il proliferare degli orrendi balconi in cemento armato sulle antiche facciate dei Palazzi De Benedictis e Caporale, con conseguente rimozione (e perdita) degli stemmi e schiacciamento visivo dei portali. Fuori ogni luogo e logica anche il rivestimento della gradinata in pietra di Padula di Palazzo Spagna, con la compromissione del ricercato effetto prospettico culminante nell'elegante eclettismo Neoclassico del pregevole portale d'identico materiale.
Scelte architettoniche infelici dicevo ma anche scelte politiche, come il cambio di sede del Palazzo Comunale che ha abbandonato quella vecchia a cerniera tra l'abitato intra ed extra moenia, tra la piazza religiosa e quella amministrativa, per occuparne una nuova in un'amorfa architettura anni 70 posta in un luogo senza alcuna valenza, ai margini della SS95. In questo luogo, tanto anonimo quanto (allora più di ora) periferico, ha l'ingresso principale che cerca inutilmente una sua dignità attraverso l'infelice scelta architettonica di un porticato sul fronte nord, su quella Strada Statale anzidetta che un tempo collegava Atena a Brienza. Di fronte ad un'edilizia abitativa anni 70, altrettanto priva di “carattere”, porge il fianco (anche qui la facciata con l'accesso ai depositi) a “Piazza Europa”, l'unico slargo che avrebbe potuto garantirgli una vista prospettica su di un ingresso principale chiaramente definito e che, per un ovvio rimando, avrebbe contribuito a divenire veramente piazza
In piazza infatti, con gli edifici si entra di testa, non di lato. Ma anche questo è accademia.



Lo strappo :

La piazza costituisce di per sé il luogo della rappresentazione della centralità, lo abbiamo già detto. L'eroe vuole il suo pubblico così come l'azione vuole il coro che la racconti. E quale miglior luogo di una piazza per la teatralizzazione di qualsiasi gesto o azione?
Il “principe” però non abita più in piazza da secoli e da tanto non abita nemmeno nei suoi immediati pressi. Andando via con i suoi uffici e i suoi impiegati, si è portato via il movimento locale e dei forestieri e, di conseguenze, l'economia locale. Man mano che il tempo passa, nemmeno gli Atinati abitano ed animano più non solo la piazza ma anche il centro storico e ancor meno nell’antico insediamento dentro le mura, a parte qualche anziano restio ad andar via per questioni economiche ed affettive, più che per condizioni di vita accettabile. Qualcuno, sempre meno, abita ancora nei suoi pressi ma la tendenza è di spostarsi nell'insediamento a valle o nelle case sparse costruite nella periferia nata in seguito al sisma, in agglomerati senza alcuna logica se non quella dell'occupazione di un suolo di proprietà o dell'edificazione di un impianto produttivo agricolo. E' infatti a partire dalla data del sisma che è cominciato il progressivo abbandono non solo degli edifici del nucleo dentro le mura ma anche di quelli che circondano la piazza principale, il luogo che dovrebbe essere il cuore pulsante di ogni paese. Atena è un piccolo centro e quella che un tempo è stata la sua fortuna, cioè la collocazione su di un colle esposto in maniera ottimale e lontano dalla palude malarica, nell'epoca moderna ne ha dichiarato il suo repentino decadimento, perché stare in alto significa anche stare lontano dalle principali vie di comunicazioni: Ferrovia (ora inesistente), Autostrada, Statale. Qui sulla collina ci vieni solo se ci abiti. Anche la strada per Brienza, che tanto ha influito sul destino della sua urbanistica, con la realizzazione nei primi anni 70 della SS 598 Fondovalle D'Agri è diventata obsoleta. L'assenza nel dopo terremoto di una politica lungimirante che potesse trasformare almeno parzialmente il disastro dell'evento sismico in un'occasione per ricominciare dando nuovo impulso alla vita nel centro antico, ha prima messo la lapide su una tomba scavata dagli altri eventi già descritti e poi dimenticato del caro estinto. Il progetto di riqualificazione allora parte dalla speranza, più che dalla considerazione, che non tutto è perduto e che non lo si perderà se si eviterà di perseverare in scelte politicamente ed urbanisticamente infelici. Come farebbe un bravo giocatore di scacchi per tentare di risollevare le sorti di una partita fortemente compromessa ma non ancora persa, si ricorre all'arrocco. Si assume cioè una posizione difensiva che permetta di guadagnare tempo per pensare e cercare nuove idee e strategie che possano scongiurare la resa incondizionata. L'arrocco in questione è riportare il principe in piazza per ridarle la possibilità di ritrovare, anche attraverso la sua identità formale, quella funzione progressivamente perduta.
Abbiamo detto che gran parte degli edifici che affacciano sulla piazza sono disabitati e prima o poi lo saranno anche altri visto che gli eredi degli attuali proprietari ancora in vita, risiedono da sempre altrove.
Disabitata da tempo è la cortina dell'edilizia a schiera al di sotto della cinta muraria, tra la torre e l'ingresso ad est di palazzo De Benedictis, quasi disabitata anche la cortina tra Palazzo Caracciolo e la Taverna del Principe disabitati sono anche i Palazzi Caporale e D'alto. Disabitata da lungo tempo la parte del Palazzo Pessolano Filos prospiciente l'area del mercato coperto e di cui le direttive di questo concorso hanno proposto il recupero. Se mettiamo insieme tutti questi elementi ci rendiamo conto che tutti i lati della piazza sono costituiti da edifici disabitati o destinati ad esserlo a breve e che presto, per questo abbandono, diventeranno fatiscenti. A quel punto potranno solo essere acquisiti da parte del Comune per salvarli oppure essere abbattuti, come già successo per altri nel centro antico.
In avanzato stato di degrado sono anche la Chiesa delle Anime del Purgatorio (l'antica Santa Sofia poi cappella della famiglia Mango) e alcuni edifici abbandonati o utilizzati solo per brevi periodi all’anno, nella piazzetta di fronte al Palazzo Marino. Il recupero degli edifici storici, così come delle piazze e di tutto il patrimonio storico, per quanto auspicabile e da perseguire, non può essere però visto come il recupero fine a se stesso di un “monumento” da consegnare imbalsamato ai posteri.
Atena non è Firenze, Roma, Urbino, Siena.
Atena è sempre il piccolo centro lontano dalle principali vie di comunicazione prima descritto e non avremo mai un numero di visitatori paganti che possa farci recuperare i soldi spesi per il suo recupero. Lo abbiamo visto già con il Museo, perennemente chiuso perché deserto. Il recupero dell'edificio deve perciò essere finalizzato a che l'oggetto riprenda a vivere e paghi (almeno in parte) il costo del suo stesso recupero. Il recupero dell'edificio non deve quindi rappresentare una continua fonte di spesa per la sua manutenzione ma l'occasione per essere riportato a nuova vita, ridandogli insieme alla stabilità, una funzione e quindi una dignità. Questo detto sulla funzionalità e dignità è valido per i vecchi edifici come per i nuovi, costruiti spesso non perché il territorio ne abbia veramente bisogno ma troppo spesso solo perché un progettista attento ai vari finanziamenti regionali e a caccia d'incarichi ha trovato quello “giusto” e il politico di turno, a caccia di voti, accetta di realizzare questa nuova “cattedrale” che troppo spesso si rivela nel tempo come una nuova cambiale spacciata per assegno agli elettori/contribuenti. Tornando al recupero dell'esistente, tutto questo può essere ottenuto con una programmazione sensibile ed intelligente che preveda anche il coinvolgimento di altri Enti (Provincia, Regione, ecc.) che talvolta hanno dimostrato di aver compreso l'importanza di un serio impegno verso il recupero degli antichi centri stanziando anche fondi a tal fine. Una vera sensibilità politica locale potrebbe cercare la strada per l'acquisto di questi edifici storici da parte del Comune e operare il loro recupero quando il loro stato di degrado è ancora reversibile e prima che la spesa per tale operazione diventi improponibile. Parallelamente l'utilizzo sensato degli spazi ottenuti dalla demolizione di quelli che non si possano più recuperare, evitando soprattutto di partorire altre idee “geniali” come quelle del passato.



La nuova vecchia piazza:

Qualcuno ha detto che se è vero che l'abito non fa il monaco, è altrettanto certo che nulla contribuisce tanto a fare il monaco quanto l'abito perché se parere non è essere, è innegabile che per essere qualcosa, bisogna almeno sembrare quel qualcosa.
Strada e piazza sono complementari, maschio e femmina. La strada invita al movimento ed è perciò assimilabile ad una linea, la piazza invita alla sosta ed è perciò un punto.
Le componenti la piazza storica, in un gioco di rimandi sostenuto anche dagli elementi di arredo, si caricano e la caricano a loro volta di significato e valore. Per questo motivo, nel recupero di Piazza Vittorio Emanuele, la prima mossa è stata la ricerca di un elemento di arredo dall’alto valore simbolico, che fosse in grado di ridarle la centralità perduta. Il Monumento ai Caduti, elemento attualmente relegato in un area senza personalità, rimosso dalla sua attuale sede e riposizionato nel centro focale della piazza in asse con il Decumano prima descritto, nel canale ottico privilegiato che collega l'insediamento intra moenia con quello extra moenia, potrebbe raggiungere lo scopo. Anche riportare la piazza alla sua unica quota originaria è un intervento necessario per ridarle maggiore ampiezza ed unità spaziale, così come la rimozione degli ingombranti lampioni ed il posizionamento di fari a luce calda sulla parte alta delle facciate degli edifici, quasi a ridosso degli aggetti di copertura, per ottenere il duplice scopo di un suggestivo gioco di luci ed ombre ed evitare nel contempo i possibili rischi di un'illuminazione diretta e abbagliante troppo vicina al suolo.
Quindi, la ricostruzione della piazza si identifica innanzitutto nella rimozione del piano rialzato che, diventando spartitraffico ha trasforma il punto in linea e rafforzamento della sua centralità con un elemento puntuale e di alto contenuto simbolico, valorizzato da ogni possibile prospettiva.
Per rafforzare però di più questo senso di spazio unico dove lo sguardo non possa fuoriuscire, né dagli angoli, né lungo i lati, l'inserimento di elementi architettonici che l’avvolgano ma che siano nel contempo trasparenti, capaci cioè di ricostruire quelle quinte da sempre mancanti ma con discrezione, senza diventare scenografia troppo invadente.
L'oggetto scelto per ritentare detta unità è il simbolo dell'aggregazione umana per antonomasia, il colonnato dell'agòrà, che nello scenario di Atena Lucana, riprendendo un segno locale spesso presente nell'edilizia specialistica (porticati di palazzi e chiese), così come in quella minore (gli accessi ai locali per il ricovero degli animali posti al piano terra dell'abitazione), diventano all'occorrenza porticato.
La rimozione delle due case a schiera sorte probabilmente agli inizi del novecento ai piedi del prospetto est di Palazzo De Benedictis, farebbero posto ad una cortina di arcate con due ordini sovrapposti, di cui quella al suolo con un'ampiezza maggiore, diventerebbe un porticato e quella al primo piano fuorio terra, dall'ampiezza minore, identificherebbe invece un loggiato. Le arcate al piano terra saranno quindi portico antistante le attività commerciali riportate nella piazza anche in seguito al recupero dell’ex mercato coperto alla sua nuova funzione. Quelle al piano superiore, più esili, daranno invece vita ad un ampliamento sopraelevato della piazza, una sorta di belvedere da cui si potrà assistere, come da un loggione a teatro, alle varie attività e manifestazioni che nella piazza stessa saranno svolte. Da questa piazza sopraelevata, sede di una piastra di servizi in cui, nei locali del vecchio frantoio ed in quelli contigui troveranno la loro nuova sede l'ufficio postale, la farmacia e il poliambulatorio, si potrà poi accedere al primo anello del centro storico attraverso l'ingresso monumentale di Palazzo De Benedictis posto su quello che una volta era il terrapieno facente parte dell'assetto difensivo del XII secolo, anch'esso da tempo immemore disabitato. Questo ulteriore accesso al centro storico dovrà essere reso accessibile a tutti mediante una scala e un ascensore per disabili che dalla quota della piazza sotto il porticato, passando all'interno di Palazzo De Benedictis, raggiunge il secondo anello dell'insediamento intra moenia, in prossimità della Chiesa di San Nicola. Si pensi solo alla comodità per gli abitanti del centro antico, anziani o meno, nel raggiungere l’area commerciale e la piastra dei servizi.
Lo scenario dietro le quinte sarebbe impreziosito e reso ancor più suggestivo proprio dall’affaccio sul loggiato di questi antichi vani voltati scavati nella roccia, architetture d'interesse storico maggiore dell’attuale cortina formata della schiera della più recente edilizia minore e dall'effetto scenografico della giusta illuminazione sugli edifici e sul loggiato.
L'ultima considerazione prima di chiudere con l'intervento in Piazza Vittorio Emanuele riguarda l'area antistante palazzo Spagna ed in prospetto a sud di Palazzo De Benedictis, quello con l'ingresso tra la torre in piazza e l'abitato del centro antico lungo il Decumano. Questo slargo, luogo di aggregazione spontanea già in tempi remoti, deve essere recuperato alla sua vecchia funzione di sosta per gli uomini, al fresco degli ippocastani anche mediante il recupero della pavimentazione, della gradinata e della parete, operazione che riporta tutto il contesto al suo originario equilibrio.
Le auto in sosta perenne in questo spazio nato per altre funzioni, potranno trovare comoda sistemazione in un parcheggio da farsi nei pressi della scuola, in gran parte sottratto alla mai correttamente utilizzata e ormai fatiscente architettura che doveva svolgere la funzione di bagni pubblici, e che troverà una nuova e più adeguata collocazione in luogo più agevolmente raggiungibile da anziani e disabili. Il parcheggio a cui si avrebbe veloce e sicuro acceso proprio grazie alla rimozione del Monumento ai Caduti dalla sua attuale sede, sarebbe non solo ben ubicato perché all'ingresso lato valle del paese e vicino alla piazza e alle sue attività ma comodo in particolare la mattina per le mamme che accompagnano i figli a scuola in auto e che attualmente parcheggiano lungo la statale, in curva, invadendone pericolosamente la carreggiata contro mano.



Quarto potere:

Un mercato (coperto o scoperto che sia), senza parcheggi per l'utenza e senza spazi pensati per un agevole carico-scarico merci, non funziona.
Un mercato coperto o qualsiasi altro edificio che entri in una piazza di lato e addirittura con un lato cieco e che offra solo la metà del suo fronte più lungo alla strada principale per poi cambiare direzione e rivolgersi al nulla, urbanisticamente e compositivamente è sbagliato.
Un edificio, qualsiasi sia la sua destinazione, che ha un'altezza tanto ingiustificata per la sua funzione da richiedere un successivo intervento di compensazione con volumi più piccoli all'interno del volume principale innescando così una specie di effetto “scatole cinesi” o, se si preferisce, “matrioska”, è una un edificio destinato a diventare, prima o poi, oggetto di un concorso di idee teso al recupero di un'area malamente occupata.
Ho paragonato l'idea progettuale ad un arrocco, un movimento difensivo che tende al recupero di un'area nel cuore del paese e che finisce con un recupero ben più vasto ed importante, quello ottenuto inizialmente mediante il ritorno del “Principe” nella piazza e perciò nelle vicinanze del centro antico, così che la sua area d'influenza (l'effetto delle sue azioni in quei luoghi ed il movimento anche economico legato alla presenza di uffici e all'inevitabile ritorno delle attività commerciali), possa ridargli vita. Il costo di questo nuovo cambio di sede del Comune nei palazzi storici da adeguare alle nuove funzioni, sarebbe tranquillamente coperto dalla trasformazione dell'attuale sede in un edificio a scopo residenziale, da alienare a privati. Nell'attesa di questo ritorno del “principe”, l'edificio dell'attuale mercato coperto verrebbe abbattuto e ricostruito su 3 livelli, di cui uno seminterrato con accesso su via Vicinale di Roma e destinato in parte a nuova sede dei bagni pubblici e per la restante parte ad archivio comunale (da cui si accederebbe solo dall'interno degli nuova sede comunale) e negli altri due livelli a sede di attività informative e culturali. La struttura è stata pensata come luogo dell'aggregazione umana al coperto ma, nel contempo, luogo mai completamente chiuso. Ancora una volta si riprende l'idea dell'agorà e i suoi colonnati su più livelli, scelta formale che, reiterata, contribuisce a dare il senso di unità delle varie aree adiacenti Piazza Vittorio Emanuele e perciò interessate dal concorso d’idee.
Anche prima del nuovo cambio di sede del Palazzo Comunale, al piano terra questa struttura potrebbe già fungere da sala consiliare, destinazione che riporterebbe la politica nel luogo che le spetta, la piazza appunto e con essa la gente, di conseguenza l'economia e quindi: la vita.
Sala Consiliare quando occorre o altrimenti sede per le riunioni di varie associazioni (Pro Loco, Comitato feste, Associazioni Giovanili, dei Commercianti, degli Industriali, Circoli Culturali, Sportivi, ecc.), sede di Mostre itineranti, anche di artisti locali, Cinema e Teatro all'aperto e al chiuso e altro ancora. Edificio realmente polifunzionale, sede di attività che ne garantiscano la vita tutti i giorni, fino a tarda sera.
Al seminterrato, come già accennato, servizi igienici pubblici, depositi annessi alle attività svolte nel resto dell’edificio e gli archivi del Comune, dislocato nel prospiciente Palazzo Pessolano-Filos, recuperato alla vita dopo tanti anni di abbandono. L’auspicio è che anche confinante Palazzo D’Alto sia successivamente annesso a tale struttura, per un suo recupero e per un necessario ampliamento della sede del Municipio che darebbe così al “principe”, attraverso i suddetti balconcini, il suo affaccio in piazza. Un collegamento sotto strada, unirebbe fisicamente il Palazzo Comunale ai suoi archivi e, evitando l'attraversamento della strada, anche alla sua sala consiliare.
Stessa funzione di spazio aggregante ma all’aperto l'avrebbe l’area con portico al piano superiore, raggiungibile con una scala esterna ed un ascensore per disabili a ridosso di una torre. Si ripropone così lo scenario prima descritto ma al lato esattamente opposto della piazza. La stradina tra questo nuovo edificio e quello alle sue spalle e che collega all'inizio della schiera Via Roma e Via Vicinale di Roma, diventerebbe la rampa di accesso ai necessari parcheggi mai previsti in quell'area. Via Vicinale di Roma sarebbe invece la rampa di immissione del traffico meccanizzato dal parcheggio su Via Vicinale di Roma, su Via Roma.
Temendo l'impatto visivo dell'integrazione tra ingombranti pannelli fotovoltaici ed edilizia storica ma ritenendo altresì impossibile non guardare al futuro con soluzioni ecologicamente valide, penso che una buona soluzione sia la realizzazione di parcheggi coperti con tettoie fotovoltaiche nascoste alla vista dal piano strada da una cortina di alberi. Soluzione analoga anche per gli altrettanto vitali parcheggi previsti in prossimità delle scuole.
Tornando all'edificio pensato per il recupero dell'area occupata attualmente dal mercato coperto, la scelta della torre ha la duplice funzione di permettere allo stesso di partecipare alla piazza, entrandovi nel modo corretto e con un segno forte, immediatamente riconoscibile e che aiuti ad interiorizzare lo spazio. Una torre apre la piazza, l'altra torre la chiude ed adiacenti ad entrambe, ad unire il vecchio al nuovo, il loggiato.
Ultima funzione ma non in ordine d’importanza, quella di interrompere, insieme ai colonnati del piano alto, la prospettiva verso l’anonima quanto invadente facciata dell’edificio a tre piani in testa alla schiera di Via Roma, costruzione del tutto fuori scala che sovrasta l'area del mercato coperto e che fu anch'essa autorizzata negli anni 70 senza porsi minimamente il problema dell'impatto sul contesto che un tale volume avrebbe avuto nel compromettere la coerenza della schiera storica di soli 2 piani. Non ci si pose nemmeno il problema e che questo edificio fuori scala sarebbe stato il primo elemento contro cui s’infrange lo sguardo dell'osservatore che proviene dalla valle o che percorre il Decumano partendo dall'insediamento dentro le mura.
Questo progetto in sintesi, non si limita al solo recupero dell'esiguo spazio occupato dal mercato coperto ma vuole cogliere questa occasione irripetibile per ridare finalmente ordine e vita ad uno dei luoghi più importanti del paese e la soluzione proposta consiste nell'accostare alle tre tipologie di piazza storica una quarta, sede dell’informazione: il"quarto potere".


La piazza del mercato:

Lasciando le piazze religiose nei loro luoghi storici e riportando in piazza quella amministrativa, a stretto contatto con quella culturale e dell'informazione, manca solo di descrivere il luogo scelto come sede della piazza del mercato. Attualmente questo, come tutte le attività economiche, si svolgono sulla suddetta (ed ormai obsoleta) SS 95, nel tratto tra Piazza Vittorio Emanuele e “Piazza” Europa. Di conseguenza, le già poche attività commerciali su via Borgo-Braida, arteria vitale fino all'evento sismico del novembre 1980, hanno chiuso e mai è stato tentato un recupero di questa area e dei suoi edifici da tempo abbandonati e perciò fatiscenti. Invece di lasciare il percorso meccanizzato sull’arteria nata per ospitarlo e individuare l'area del mercato settimanale sulla poco trafficata via Borgo ed evitare così il suo progressivo declino, paradossalmente da anni si allestisce il mercato settimanale sulla principale via di traffico meccanizzato, che conseguentemente si devia su via Borgo-Braida.


Il suo recupero prevede innanzitutto di amplificare lo spazio dell'attuale piazzeta-parcheggio con l'abbattimento di casa Pessolano in gran parte fatiscente e della Chiesa Delle Anime del Purgatorio, di cui si lascerebbe in piedi, come memoria storica, il solo portale. L'ampio spazio così ottenuto sarebbe utilizzato come sede del mercato settimanale e luogo di sosta del commercio ambulante giornaliero. Quest'area, ampliata di quasi il doppio, potrebbe essere inoltre utilizzata tutti i giorni per la sosta delle auto e, all'occasione, come luogo per manifestazioni o feste popolari, quando le bancarelle della festa sostituirebbero quelle del mercato. L’illuminazione e la pavimentazione identica a quella di Piazza Vittorio Emanuele ne accrescerebbe l’effetto scenografico, facendone un percorso turistico suggestivo che giunge fin dentro le antiche mura.



Filosofia progettuale:

Come è chiaro dagli elaborati della fase metaprogettuale, il Decumano è l'asse principale lungo cui si snoda il progetto, mentre la matrice è la torre in piazza e facente parte dell’originaria cinta muraria. Dall'asse ideale che collega il centro di questa torre con il prolungamento delle facciate di palazzo D'Alto su via Borgo e via Roma, si individua il luogo della nuova collocazione del Monumento ai Caduti e il canale ottico che si forma tra questi 2 elementi, individua la posizione della torre, elemento di testa, del centro polifunzionale progettato nell'area dell'ex mercato coperto.
Sempre seguendo queste direttrici e utilizzando la base della torre come matrice, si individuano altri due punti: il primo nello slargo in via Borgo, e un secondo in “piazza” Europa. In questi punti nuovamente la presenza della torre, non perché oggetto esteticamente piacevole posizionato a caso ma come punto di riferimento prospettico ottenuto con la reiterazione di un segno ormai familiare.
Nel caso dell'area di “piazza” Europa questo, continuando così una tradizione ormai consolidatasi di luogo di aggregazione spontanea, è un elemento di arredo urbano con funzione di seduta e di illuminazione di un'area che è incrocio di più strade di diversa importanza. Nell'area dell'anfiteatro, la torre non ha alcuna fisicità, così da non frammentare inutilmente uno spazio utile per i già descritti scopi, ma è solo un segno a terra ottenuto con una diversa pavimentazione.
Ultimo espediente per dare l'idea di unità di tutta l'area oggetto di recupero, la scelta di utilizzare l'ingresso del Palazzo Pessolano-Filos limitatamente alla parte interessata dal progetto, come collegamento attraverso lo spazio antistante la nuova sede comunale la sede comunale, tra l'aerea della nuova sala consiliare e quella del nuovo mercato. Mediante il ripristino dell’originaria facciata, soprattutto (ma non solo) attraverso la rimozione del terribile balcone che la deturpa,nasce dalla considerazione che anche l'assenza di percorsi di attraversamento tra Via Borgo-Braida e Via Roma, ha contribuito a creare una realtà così diversa tra le due vie. La porta e la sua sintesi rappresentata dall'arco, sono l'altro elemento fortemente connotativo del nostro progetto. La sua ripetizione diventa, per successiva aggregazione, prima porticato e poi agorà, una trovata scenica che racchiude senza chiudere, identifica senza mai delimitare in modo rigido e perentorio. 
I materiali previsti sono molteplici e non è questa la sede in cui analizzare nel dettaglio le soluzioni tecnologiche proposte ma una cosa si può tranquillamente anticipare e cioè che la scena sarà dominata dal pieno della pietra dei nuovi edifici e della torre e della pavimentazione identica a quella originaria del centro antico e ancora presente in alcuni tratti su via Santa Maria. La scelta di una pavimentazione unica che si rifaccia idealmente a quella originaria è ancora un modo per contribuire al recupero dell’unità e dell’identità dei luoghi oggetto del concorso, riavvicinandoli anche come immagine a quelli del centro antico. Insieme alla pietra il vetro e il suo potere di darsi all’osservatore come vuoto apparente, utilizzato per quegli scenari dove, attraverso l’uso di grandi vetrate, si è voluto dare il senso di sfondamento della quinta, anche quando c’era necessità di spazi chiusi, come nel caso della sala consiliare al piano terra del centro polifunzionale.
Quindi la pietra per dare il senso di unità e di ritrovata identità dei luoghi oggetto del concorso e favorire la loro ricucitura attraverso un elemento forte e prevalente nel centro antico. Unito a questo materiale che allude alla fisicità, la trasparenza e la componente eterea del vetro, perché lo sguardo possa andare oltre l’oggetto e la sua fisicità. Infine l'aria che si fa immagine nuova e colore cangiante man mano che l’osservatore decide di fare delle arcate la cornice di quadri da lui stesso “dipinti”; cornici per quadri dinamici che hanno volta per volta come soggetto le nuvole, il santuario della Colomba, la notte stellata, le esplosioni di colore dei fuochi d’artificio durante le feste religiose,le azioni del "principe" e le manifestazioni in piazza.
Altro aspetto che non si può trascurare a questa scala, è il colore, elemento tanto più importante quanto più non deciso mediante un giudizio estetico soggettivo ma vuole essere identificativo e rappresentativo di una realtà precisa. Tralasciamo tutta la filippica sull’ottenimento dei colori in passato e come e perché alcuni di questi siano diventati tradizione in determinati luoghi e non in altri e concentriamoci sull'aspetto più imnportante e cioè che c’è una tradizione nei colori e questi fanno parte del Genius Loci del luogo. Il progetto, che è stato visto come il primo tassello di un progetto di recupero globale dell'intero centro, intende non lasciare al caso alcun aspetto; i colori proposti sono fortemente connaturati con la realtà locale, proprio perché fanno parte del suo scenario e sono visibili sulle rocce della Serra d’Atena, generati dalla presenza dei vari ossidi; quindi oltre il grigio della pietra locale, i colori previsti sono tutti quelli della gamma che va dal giallo al rosso, nelle sfumature presenti ed osservabili in questa realtà naturale.



La presente versione della realzione esplicativa allegata al progetto, sebbene conservi totalmente lo spirito della sua stesura originale e del suo contenuto, non è quella pubblicata il 19 giugno ma una successiva in cui si riportano con maggiore chiarezza di linguaggio e precisione storica, alcuni passaggi di un testo scritto di getto nell'intento di pubblicare il post, per correttezza, prima dell'apertura delle buste degli altri concorrenti che invece avevano rispettato i tempi della consegna.

Tradizione e tecnologia, le soluzioni e i costi di realizzazione:
[omissis]

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