POSTFAZIONE:
Poche ore!
Ancora poche ore ed avrei avuto la possibilità di consegnare in tempo la mia idea.
Peccato!
Peccato perché "Quarto Potere" è un progetto a cui tenevo molto, l’occasione attesa da tanto di poter dare il mio contributo professionale al recupero del patrimonio architettonico (e non solo) della parte più antica del Comune di Atena Lucana.
Quando una quindicina di giorni fa ho finalmente deciso di partecipare al bando, non l’ho fatto per i soldi del premio al vincitore, né con la certezza di avere la vittoria in tasca e tanto meno tutte le verità. L’ho fatto con l’unica certezza di avere buone idee maturate in anni di osservazioni, di riflessioni e di studio.
Prima che le buste degli altri partecipanti, da qui a qualche giorno, vengano aperte e senza alcuna pretesa o altro fine che non sia il piacere della loro condivisione, riverso le idee espresse nel mio progetto su questo blog e lo faccio perché peccato ancora più grave, peccato di superbia, sarebbe credere nelle proprie idee e non condividerle con chi ne potrebbe beneficiare in futuro; cosa che del resto ho sempre fatto, perdendone spesso il copyright. Del resto, quale migliore prova di aver avuto una buona idea, se non quella di vederla rivenduta da altri come propria?
Per amore di brevità e perché aspetti progettuali non affrontati dal sottoscritto, ometto tutta la parte riguardante gli argomenti di carattere strettamente economico e tecnologico che erano parte integrante ed essenziale della seguente relazione.
Colgo anche l’occasione per ringraziare l’amica e collega argentino Arch. Marisa Beatriz Escobar per aver tradotto i miei disegni al CAD in visioni fotorealistiche. Altro doveroso ringraziamento va all’amico Francesco Magnanti, laureando in Storia e Beni Culturali, per le preziose informazioni sui Palazzi Storici di Atena Lucana e per la sua disponibilità a condividerle con il sottoscritto.
Sieci (Fi) 20/06/2009
Arch. Angelo Sangiovanni
Comune di Atena Lucana
Bando di un concorso di idee per la riqualificazione Urbanistica, Paesaggistica ed Architettonica dell’area del mercato comunale
Bando di un concorso di idee per la riqualificazione Urbanistica, Paesaggistica ed Architettonica dell’area del mercato comunale
Alcune doverose premesse:
La
definizione di piazza più calzante ed esaustiva è sicuramente
quella che la definisce un vuoto urbano, pausa nella condensazione
dell'abitato che, contemporaneamente, appartiene ai fronti degli
edifici che essa stessa separa. La piazza così come ci è stata
tramandata è perciò, nel contempo, un “fatto” architettonico e
urbanistico, in quanto la sua essenza travalica quel legame che essa
stessa crea, divenendo “fatto” antropologico. Progettarla
correttamente non può quindi prescindere dall'aver compreso non solo
l'importanza storica e sociale che ha rivestito nello spazio e nel
tempo ma ancor più l'essenza contenuta nella varietà delle sue
forme e della sua funzione, pressoché immutato nei diversi luoghi e
nelle diverse epoche storiche. La
piazza, infatti, è da sempre il luogo deputato alla teatralizzazione
di qualsiasi gesto o azione che la utilizzi come suo fondale, sia
esso il comizio elettorale, il concerto improvvisato, il passeggio,
il luogo d'incontro o del commercio ambulante. Quando così non è,
la piazza smette di essere la pausa prima descritta e che è presenza
fondamentale dell'identità urbana, scenografia degli eventi più
importanti della vita sociale della comunità, fenomeno del Genius
Loci, per ridursi a semplice assenza di pieni, amorfo vuoto
inutilmente e costosamente arredato, soluzione di nessun problema,
risposta progettuale errata a domanda mal posta. In sintesi: uno
spazio inutile perché lontano dalle reali esigenze di una
determinata comunità in un determinato luogo, in una determinata
epoca.
Luoghi
così malamente concepiti non saranno mai piazze, perché incapaci di
vivere per quello che avrebbero voluto essere e cioè poli di
attrazione degli essere umani e catalizzatori delle loro azioni più
importanti.
Questo
è accademia: uno spazio libero non diventa piazza, in senso
architettonico, se non quando appare effettivamente chiuso, così che
lo sguardo non possa fuoriuscire né dagli angoli, né lungo i lati.
Un luogo interiorizzato oltre che fisico, in cui le strade devono
diligentemente entrare negli angoli e mantenersi ai margini, così da
non frammentarne lo spazio che si vuole creare e vanificare gli
artifici scenici realizzati, come ben aveva osservato Le Corbusier e,
ancora prima, Camillo Sitte.
La
piazza, quella storica, aveva una funzione e questa funzione ha
generato delle regole che a loro volta hanno generato un modello
perpetuatosi nel tempo e che ritroviamo come matrice comune in ogni
piazza anche se siamo portati a percepire ognuna di esse come un
unicum, sia per la sua diversa identità, luogo ed esigenze che
l’hanno generata.
Gli
spazi impropriamente chiamati piazza disattendono queste regole mai
scritte eppure chiaramente codificate e in primis lo fanno proprio
perché realizzazioni di progetti non confacentisi dal contesto
perché non dettati da reali bisogni della comunità del luogo ma
imposti da chi ha potere di decidere anche su materia che ignora.
Questi luoghi mal concepiti sono però destinati ad essere prima
disertati e poi addirittura dimenticati da quegli stessi uomini che
avrebbero dovuto attrarre insieme alle loro attività. Questo rifiuto
da parte dei possibili fruitori porterà quegli stessi “géometrès”
di Lecorbuseriana memoria che li hanno così fortemente voluti,
ignari delle deleterie conseguenze che la loro infelice decisione
avrebbe avuto sulla qualità dello spazio, vigliaccamente a
disconoscerli.
Per
questi luoghi dell'assenza, già al termine della loro realizzazione
inizierà cioè il graduale ed inevitabile processo di distruzione
fisica e mentale da parte di coloro che avrebbero dovuto viverli, di
quelli che avrebbero dovuto riconoscervi il luogo del rito e
avrebbero dovuto farne il luogo del mito. Il rifiuto del luogo prima
e l’oblio dello stesso poi, opereranno la distruzione del
“monumento alla vanagloria” e perpetreranno una violenza che non
ha bisogno di toccare nulla per annientare il tutto e che si
manifesta semplicemente attraverso il gesto dell'esilio e
dell'abbandono dell'inutile luogo. La vita della città con il suo
passeggio, il commercio, le feste, le celebrazioni civili e religiose
si è concentrato altrove e la “piazza” mal concepita, l'inutile
spianata costosamente arredata, si è trasformata nel suo esatto
rovescio, un luogo anonimo che prima o poi sarà inevitabilmente
oggetto di concorso di idee teso alla sua riqualificazione.
La piazza storica:
La
nascita della piazza italiana viene fatta risalire al Medioevo,
seguendo due matrici organizzative ben distinte e che ci
restituiscono non solo progetti di spazi, quindi del contenitore, ma
anche del suo contenuto, della gerarchia e delle proporzioni tra gli
stessi oggetti e con l'osservatore, perchè oltre che di complessità
figurative la piazza è anche luogo di strategie di sguardi e perciò
di relazione umane ed urbane. Le dimensioni e la forma delle piazze
sono cioè dettate in parte anche da quelle degli edifici dominanti
(edifici specialistici), in un rapporto che è ben evidente, anche se
non legato a rigide regole codificate.
- La prima matrice è di carattere religioso ed è rappresentata dal sagrato della cattedrale, cioè da quello spazio antistante l’edificio religioso che è proiezione esterna delle attività in esso svolte;
- La seconda matrice è rappresentata dal luogo connesso con le pratiche politico-amministrative, quindi situato nei pressi della sede dell'autorità civile.
- Connessa più a questa che all'altra, la piazza economica, sede del mercato.
In
sintesi, le tre matrici identificano i luoghi del potere Spirituale,
Temporale ed Economico e nella loro organizzazione si esprimeva la
distinzione tra potere spirituale e temporale. Nascono così i tre
modelli originali, di cui il primo conteneva la cattedrale, il
campanile, il battistero ed il palazzo vescovile, il secondo
conteneva il palazzo della Signoria, in quanto piazza civica
principale. Questo secondo tipo di piazza aveva dimensioni più
grandi di quella religiosa, in quanto le azioni che si svolgevano in
essa erano dettate da bisogni terreni e quindi concreti, ben diversi
dagli atti di natura simbolica e rituale che si svolgevano nella
prima. Distinta dalle due e senza modelli altrettanto facilmente
riconoscibili, la piazza del mercato.
Dove
questi luoghi hanno mantenuto la loro funzione ed identità, la vita
pubblica continua a svolgersi in queste tre piazze ancora oggi ma,
che sia piazza commerciale, religiosa o amministrativa, questa deve
essere in ogni caso uno spazio urbano che appaia agli occhi
dell’osservatore come “quadro chiuso e di bella unita”, così
come configurata da C. Sitte negli aspetti che possono chiaramente
identificarla e qualificarla. L'altezza degli edifici, l'innesto
delle strade, la disposizione dei monumenti, la collocazione delle
fontane o altri elementi di arredo, l'isolamento della cattedrale o
la vicinanza di alcuni palazzi, la loro altezza e tutto il resto, fin
nel minimo e all'apparenza più insignificante elemento, deve essere
pensato in relazione con la piazza che identificano e qualificano e
che, nel contempo, li contiene.
“Siamo
organizzatori di spazi, non artisti da tavolo da disegno”, ripeteva
Lecorbusier e c'è un'arte dello spazio dove tutto dipende dalle
proporzioni relative e in cui quelle assolute hanno invece, poca
importanza. La piazza, come ogni architettura e forse per le sue
dimensioni e la sua importanza, più di ogni altra architettura, va
pensata in prospettiva nello spazio e nel tempo perché così sarà
vissuta.
Analisi di Piazza Vittorio Emanuele e della relazione con il Decumano:
E'
sufficiente questa breve analisi per poter affermare che la piazza
costituisce di per sé il luogo della rappresentazione della presenza
e della centralità delle pubbliche istituzioni civili e religiose,
presenza testimoniata da edifici specialistici, costruzioni (il
palazzo della signoria, la torre, la cattedrale, il campanile), che
con la loro imponenza sovrastano ogni altra presenza e appaiono
dominanti sul contesto. La possibilità di aggregarsi e di sostare in
un luogo dichiaratamente pubblico è poi garantita da logge e
porticati, modelli che affondano le radici nelle innovazioni
urbanistiche dell’età di Pericle, quando le Agorà (in
greco ἀγορά, da ἀγω=
1.conduco, 2.governo), termine con il quale nella Grecia antica si
indicava la piazza principale della polis, vennero delimitate da
portici (stoài), talvolta su più piani e a delimitare
terrazzamenti.
Nella
piazza di modello medievale gli edifici specialisti, simbolo del
potere, dovevano apparire magnifici al viandante in visita, cittadino
o forestiero, villico o notabile che fosse, perché erano il simbolo
del potere che rappresentavano e la loro grandezza, di riflesso,
facevano grande il Principe o il Vescovo. Questo il motivo per cui i
palazzi, come le cattedrali, erano spesso costruiti utilizzando
artifici scenici che li aiutassero a dominare la piazza. Tra questi
la loro sopraelevazione su gradinate o rilievi naturali del terreno,
l'attenzione all'altezza degli edifici circostanti perché
mantenessero il giusto rapporto e dell'innesto delle strade in una
determinata prospettiva che ne amplificasse lo spazio ed esaltasse le
altezze, la disposizione delle fontane e dei monumenti. Tutte trovate
sceniche per rendere ancora più magnifico il simbolo del potere,
perché era il contenuto a dare forma e valenza al contenitore,
generando un rapporto così intimo che l'insieme diventava un
tutt’uno e a sua volta “monumento”.
Questa
l'arte del progettare lo spazio a cui si accennava prima e che dona
vita alla cosiddetta piazza di stratificazione, un luogo che
storicamente nasce con la collocazione di un elemento fortemente
caratterizzato, appunto l'edificio specialistico (Palazzo del
Principe, Cattedrale, Convento Palazzo Civico, Chiostro), in un luogo
urbano cruciale e strategico, in genere sito con presenza di ruderi
archeologici e comunque luogo importante del passato ma che, avendo
perso la sua funzione, risultava anche “senza forma”. Il
posizionamento di questo oggetto viene attentamente studiato e
calibrato, piegato ed adattato ai caratteri del luogo, relazionato
agli elementi preesistenti tramite accorgimenti ottici, soluzioni
funzionali e scenografiche varie che potevano essere anche
connessioni fisiche, come porticati o, al contrario il volontario
isolamento dell'oggetto così che nulla possa entrare in relazione e
quindi possibile competizione. Il modello, per la sua importanza, a
sua volta condizionava il luogo imponendo nuove condizioni agli
interventi successivi, comprese le operazioni di arredo e corredo
delle aree rimaste libere.
Quanto
descritto e che è valido in generale, ad Atena Lucana accadde nel
1581, quando la nobile famiglia Caracciolo costruì il proprio
Palazzo, il più antico fuori le mura e lo fece dimostrando estrema
padronanza del luogo e delle regole alla base della costruzione di
una piazza. Il fronte principale è infatti rivolto all'area
archeologica, l'attuale Piazza Vittorio Emanuele ed il prospetto meno
nobile perché ospitante l'accesso ai magazzini, sulla via che
collega la valle al paese.
Con
il fronte principale del Palazzo rivolto all'area archeologica,
sacrificando al simbolismo la migliore esposizione verso la valle, i
Caracciolo mantengono anche l'ingresso sull'asse viario più
importante: l'attuale Via Borgo-Braida, antico Decumano della città
romana e poi asse di collegamento tra la parte di Borgo Medievale
intra ed extra moenia.
Palazzo
Caracciolo e il tratto ad est-della cinta muraria poi occupato da uno
degli ingressi di Palazzo De Benedictis, identificano così i primi 2
lati della Piazza sede del potere temporale. Concorreranno negli anni
successivi a chiudere gli altri due lati, Palazzo Caporale e Palazzo
D'alto. Concorrerà a meglio identificare lo spazio, la diligente
scelta della famiglia Spagna, che costruirà nel primo decennio del
1800, il suo palazzo con l'ingresso principale sull’attuale Largo
Garibaldi, quindi anch’esso rivolto verso la nascente piazza.
La
piazza religiosa troverà la sua sede naturale nello spazio
antistante la Chiesa Madre di Santa Maria, in origine sede di un
antico tempio pagano sorto all'interno degli spazi poi racchiusi
della cinta muraria medievale e su cui viene eretta la Cattedrale in
epoca cristiana.
La
storia della relazione tra le piazze all'interno dello stesso nucleo
urbano è sempre anche la storia di una complessa partita di rapporti
politici tra il potere religioso e il potere civile, il potere
temporale e il potere popolare e di invidie e gare tra diverse
famiglie di nobili e notabili del luogo. L'analisi della nascita e
dell'evoluzione del nucleo urbano extra moenia relativamente ad una
delle aree oggetto di recupero previsto dal concorso d'idee, non
restituisce l'idea di una precisa volontà dei Caracciolo a
promuovere un piano urbanistico teso alla ristrutturazione e
pianificazione dell'abitato. Forse il ritenere questi luoghi non
particolarmente importanti per questi nobili napoletani principi di
Atena e marchesi di Brienza ed altro ancora, che spinse i Marino
prima del 1780 e quindi prima della realizzazione dei palazzi che
chiuderanno con palazzo Caracciolo la piazza principale, a costruire
la loro residenza in un altro luogo archeologico importante. Il luogo
scelto per palazzo Marino e di tutti gli altri palazzi che verranno
costruiti in seguito, è ancora il Decumano, di cui questo occuperò
una parte soprelevata nel luogo indicato dalla letteratura del
passato come il sito dell'anfiteatro romano.
Tra
un palazzo e l'altro che man mano si vanno a posizionare lungo il
decumano, l'edilizia minore, che muove da palazzo Caracciolo a
partire dalla Taverna del Principe e si snoda lungo il lato valle del
Decumano per agganciarsi al secondo palazzo Pessolano-Filos (attuale
sede del Convento delle Ancelle Dell'Immacolata) e attraverso questo
al Marino. La seconda schiera che muoverà dal lato monte del
Decumano in seguito alla realizzazione di Palazzo Curto, si aggancerà
al primo palazzo Pessolano-Filos e poi al Mango e ripartiranno da
queste per terminare in “piazza” Europa. Queste schiere che si
snodano sue due lati del Decumano e riempiono i vuoti opportunamente
lasciati tra i palazzi, costituiscono insieme a questi la prima parte
dell'insediamento medievale fuori le mura. Oltre lo slargo sede
dell'anfiteatro (oppure teatro, versione per la quale propendo) non
saranno edificati altri palazzi e saranno solo le case artigiane e
contadine, con tanto di orto di pertinenza sul retro, a risalire il
decumano, oltrepassare lo slargo impropriamente detto Piazza Europa e
cingere il promontorio della Braida ritornando così ai luoghi
occupati in epoca romana. Braida è infatti un toponimo che deriva
dal longobardo "breit", ovvero "largo" o anche
"campagna presso la città" ed è perciò lecito supporre
che il toponimo Braida compaia ad Atena Lucana non prima del 570 D.
C.
E'
evidente quindi che la disposizione degli altri edifici dei nobili e
dei notabili di Atena che costruirono fuori le mura predilige
l'affaccio su via Borgo-Braida. I Mango, disponendosi di fronte ai
Marino, sullo slargo che questi avevano creato arretrando dalla via
del borgo il loro palazzo, meglio lo identificano, insieme alla
piccola ed antica chiesa dedicata prima a S. Sofia e solo molto più
tardi alle Anime del Purgatorio. Nella stessa area anche un ospedale
di cui però rimane memoria solo negli antichi documenti. La sua
imprecisata posizione e la data 1760 del portale di quello che ora è
conosciuto come palazzo Mango, famiglia non di nobili origini e di
cui si ha notizia solo a partire dall'ottocento inoltrato,
spingerebbero a tirare somme di una deduzione logicamente valida ma,
al momento, senza alcun supporto storico. Chiudiamo il discorso su
questo slargo osservando che paradossalmente, pur avendo il luogo
“tutte le carte in regola” per essere definito piazza, non verrà
mai identificato come tale mentre lo stesso attributo è stato dato
tanto impropriamente quanto pomposamente allo slargo poco distante,
Piazza Europa appunto, che invece non ha nemmeno uno dei caratteri
canonici identificanti una piazza.
Tornando
a Piazza Vittorio Emanuele quello che attualmente e nonostante tutto
è ancora l'unico luogo che può essere definito piazza, il lato di
fronte alla cinta muraria, sarà chiuso con la realizzazione
dell'ampliamento da parte dei D'Alto, nei primi del novecento, di
palazzo Curto, di cui conserveranno l'ingresso. E' facile infatti
osservare come questo complesso si presenti chiaramente come frutto
dell'unione di due corpi di fabbrica di epoche diverse. Palazzo
Curto, l'ala più vecchia, risalente alla metà dell'ottocento ha
come tutti gli altri palazzi coevi o precedenti, l'affaccio
principale sul Decumano e il costruttore di palazzo D'Alto non creerà
un secondo ingresso al piano nobile sulla piazza ma riterrà più
opportuno lasciare come ingresso principale quello sul Decumano. Nel
contempo però, riconoscerà alla largura antistante il palazzo del
Principe il suo grande valore di luogo di aggregazione sociale e dei
più importanti eventi della vita sociale della comunità e
realizzerà il suo privato “palco a teatro”, rappresentato da tre
balconcini. I tre “palchetti” sovrastano gli ingressi di tre
magazzini e palazzo Caporale, l'altro elemento di chiusura della
piazza risalente al 1866 e che si posizionerà sull'ultimo lato
ancora aperto, quello di fronte al palazzo del Principe, entrerà in
essa in modo analogo e cioè con l'ingresso principale sovrastato al
piano nobile da un balconcino e con due ingressi più piccoli e meno
sontuosi, quelli dei magazzini, posti simmetricamente ai due lati del
portale. Lo stesso modello lo ritroviamo già nella facciata
dell'altro ingresso di Palazzo De Benedictis, quello all'inizio
dell'attuale Via Santa Maria, cioè quel tratto di Decumano che
risaliva il promontorio cinto dalle mura del XII secolo e che
collegava la piazza amministrativa a quella religiosa della
Cattedrale. Tornando a palazzo D'Alto, un'ampia balconata e
l'ingresso alla rimessa del calesse, risalente ai primi del 900,
affacceranno sulla SS 95 (ricalcata nel tratto Piazza Vittorio
Emanuele-Piazza Europa dall'attuale Via di Roma), arteria terminata
dopo varie peripezie nel 1877. Questa via di comunicazione, una volta
di grande importanza e la cui funzione ora si limita allo smistamento
del traffico verso valle, essendo stata sostituita negli anni '70
dalla SS598 Fondovalle Val D'Agri, è parallela al Decumano ma, a
differenza di questo che probabilmente deve la
pronunciata pendenza alla presenza dei ruderi dell’antico
anfiteatro, ha un percorso in piano e
quindi più adatto per farne una rotabile. I D'Alto,
utilizzando l'ingresso principale del precedente Palazzo Curto sul
Decumano e ubicando sull'importante arteria rotabile l'ingresso della
rimessa entrarono nella piazza storica con il prospetto
architettonicamente più debole, nonostante la presenza dei
balconcini menzionati, quello cioè con i piccoli ingressi dei
depositi. L'assenza di un prospetto con segni forti e perciò senza
l'autorevolezza necessaria per incutere timore reverenziale alle
generazioni successive e scongiurare gli sciagurati interventi che a
partire dagli anni 70 stanno privando la piazza della sua immagine e
funzione. Assenza architettonica che ritengo ne abbia fatto negli
anni a venire il punto debole di una largura fortemente penalizzata
dalla confluenza e dall'attraversamento di più strade. Il lato con i
negozi di Palazzo D'Alto, nei primi anni 80 è stato così vittima
della rimozione di uno dei tre portali in pietra dei negozi,
menomazione che ha compromesso l'equilibrio estetico del prospetto e
l'eleganza data dalla simmetria degli elementi. Successivi interventi
di arredo urbano hanno quanto mai inopportunamente sollevato una
parte della pavimentazione della piazza per creare un'improbabile
isola pedonale con la quale si è ottenuto il solo risultato di
frammentare ancora di più uno spazio già tanto compromesso,
materializzando di fatto un ideale spartitraffico tra Via Roma e Via
Borgo Braida.
Alle
antiche cause che hanno impedito a questa piazza di rivestire il
ruolo che le compete e per il quale era stata pensata altre si sono
aggiunte nel passato più recente rappresentate da scelte politiche
ed architettoniche quanto mai inopportune. Il fronte debole del
Palazzo D'Alto con la rimozione di uno dei tre portali in pietra dei
negozi perde la sua integrità negli anni immediatamente successivi
al sisma del 1980 ma ancora prima, negli anni 70, l'angolo del
Palazzo Caracciolo tra Piazza Vittorio Emanuele e Largo Garibaldi
aveva barattato senza mediazione alcuna il suo sobrio stile
rinascimentale con un razionalismo del tutto fuori scala che portava
con sé balconcini e sopraelevazioni. In successione il proliferare
degli orrendi balconi in cemento armato sulle antiche facciate dei
Palazzi De Benedictis e Caporale, con conseguente rimozione (e
perdita) degli stemmi e schiacciamento visivo dei portali. Fuori ogni
luogo e logica anche il rivestimento della gradinata in pietra di
Padula di Palazzo Spagna, con la compromissione del ricercato effetto
prospettico culminante nell'elegante eclettismo Neoclassico del
pregevole portale d'identico materiale.
Scelte
architettoniche infelici dicevo ma anche scelte politiche, come il
cambio di sede del Palazzo Comunale che ha abbandonato quella vecchia
a cerniera tra l'abitato intra ed extra moenia, tra la piazza
religiosa e quella amministrativa, per occuparne una nuova in
un'amorfa architettura anni 70 posta in un luogo senza alcuna
valenza, ai margini della SS95. In questo luogo, tanto anonimo quanto
(allora più di ora) periferico, ha l'ingresso principale che cerca
inutilmente una sua dignità attraverso l'infelice scelta
architettonica di un porticato sul fronte nord, su quella Strada
Statale anzidetta che un tempo collegava Atena a Brienza. Di fronte
ad un'edilizia abitativa anni 70, altrettanto priva di “carattere”,
porge il fianco (anche qui la facciata con l'accesso ai depositi) a
“Piazza Europa”, l'unico slargo che avrebbe potuto garantirgli
una vista prospettica su di un ingresso principale chiaramente
definito e che, per un ovvio rimando, avrebbe contribuito a divenire
veramente piazza
In
piazza infatti, con gli edifici si entra di testa, non di lato. Ma
anche questo è accademia.
Lo strappo :
La
piazza costituisce di per sé il luogo della rappresentazione della
centralità, lo abbiamo già detto. L'eroe vuole il suo pubblico così
come l'azione vuole il coro che la racconti. E quale miglior luogo di
una piazza per la teatralizzazione di qualsiasi gesto o azione?
Il
“principe” però non abita più in piazza da secoli e da tanto
non abita nemmeno nei suoi immediati pressi. Andando via con i suoi
uffici e i suoi impiegati, si è portato via il movimento locale e
dei forestieri e, di conseguenze, l'economia locale. Man mano che il
tempo passa, nemmeno gli Atinati abitano ed animano più non solo la
piazza ma anche il centro storico e ancor meno nell’antico
insediamento dentro le mura, a parte qualche anziano restio ad andar
via per questioni economiche ed affettive, più che per condizioni di
vita accettabile. Qualcuno, sempre meno, abita ancora nei suoi pressi
ma la tendenza è di spostarsi nell'insediamento a valle o nelle case
sparse costruite nella periferia nata in seguito al sisma, in
agglomerati senza alcuna logica se non quella dell'occupazione di un
suolo di proprietà o dell'edificazione di un impianto produttivo
agricolo. E' infatti a partire dalla data del sisma che è cominciato
il progressivo abbandono non solo degli edifici del nucleo dentro le
mura ma anche di quelli che circondano la piazza principale, il luogo
che dovrebbe essere il cuore pulsante di ogni paese. Atena è un
piccolo centro e quella che un tempo è stata la sua fortuna, cioè
la collocazione su di un colle esposto in maniera ottimale e lontano
dalla palude malarica, nell'epoca moderna ne ha dichiarato il suo
repentino decadimento, perché stare in alto significa anche stare
lontano dalle principali vie di comunicazioni: Ferrovia (ora
inesistente), Autostrada, Statale. Qui sulla collina ci vieni solo se
ci abiti. Anche la strada per Brienza, che tanto ha influito sul
destino della sua urbanistica, con la realizzazione nei primi anni 70
della SS 598 Fondovalle D'Agri è diventata obsoleta. L'assenza nel
dopo terremoto di una politica lungimirante che potesse trasformare
almeno parzialmente il disastro dell'evento sismico in un'occasione
per ricominciare dando nuovo impulso alla vita nel centro antico, ha
prima messo la lapide su una tomba scavata dagli altri eventi già
descritti e poi dimenticato del caro estinto. Il progetto di
riqualificazione allora parte dalla speranza, più che dalla
considerazione, che non tutto è perduto e che non lo si perderà se
si eviterà di perseverare in scelte politicamente ed
urbanisticamente infelici. Come farebbe un bravo giocatore di scacchi
per tentare di risollevare le sorti di una partita fortemente
compromessa ma non ancora persa, si ricorre all'arrocco. Si assume
cioè una posizione difensiva che permetta di guadagnare tempo per
pensare e cercare nuove idee e strategie che possano scongiurare la
resa incondizionata. L'arrocco in questione è riportare il
principe in piazza per ridarle la possibilità di ritrovare,
anche attraverso la sua identità formale, quella funzione
progressivamente perduta.
Abbiamo
detto che gran parte degli edifici che affacciano sulla piazza sono
disabitati e prima o poi lo saranno anche altri visto che gli eredi
degli attuali proprietari ancora in vita, risiedono da sempre
altrove.
Disabitata
da tempo è la cortina dell'edilizia a schiera al di sotto della
cinta muraria, tra la torre e l'ingresso ad est di palazzo De
Benedictis, quasi disabitata anche la cortina tra Palazzo Caracciolo
e la Taverna del Principe disabitati sono anche i Palazzi Caporale e
D'alto. Disabitata da lungo tempo la parte del Palazzo Pessolano
Filos prospiciente l'area del mercato coperto e di cui le direttive
di questo concorso hanno proposto il recupero. Se mettiamo insieme
tutti questi elementi ci rendiamo conto che tutti i lati della piazza
sono costituiti da edifici disabitati o destinati ad esserlo a breve
e che presto, per questo abbandono, diventeranno fatiscenti. A quel
punto potranno solo essere acquisiti da parte del Comune per salvarli
oppure essere abbattuti, come già successo per altri nel centro
antico.
In
avanzato stato di degrado sono anche la Chiesa delle Anime del
Purgatorio (l'antica Santa Sofia poi cappella della famiglia Mango) e
alcuni edifici abbandonati o utilizzati solo per brevi periodi
all’anno, nella piazzetta di fronte al Palazzo Marino. Il recupero
degli edifici storici, così come delle piazze e di tutto il
patrimonio storico, per quanto auspicabile e da perseguire, non può
essere però visto come il recupero fine a se stesso di un
“monumento” da consegnare imbalsamato ai posteri.
Atena
non è Firenze, Roma, Urbino, Siena.
Atena
è sempre il piccolo centro lontano dalle principali vie di
comunicazione prima descritto e non avremo mai un numero di
visitatori paganti che possa farci recuperare i soldi spesi per il
suo recupero. Lo abbiamo visto già con il Museo, perennemente chiuso
perché deserto. Il recupero dell'edificio deve perciò essere
finalizzato a che l'oggetto riprenda a vivere e paghi (almeno in
parte) il costo del suo stesso recupero. Il recupero dell'edificio
non deve quindi rappresentare una continua fonte di spesa per la sua
manutenzione ma l'occasione per essere riportato a nuova vita,
ridandogli insieme alla stabilità, una funzione e quindi una
dignità. Questo detto sulla funzionalità e dignità è valido per i
vecchi edifici come per i nuovi, costruiti spesso non perché il
territorio ne abbia veramente bisogno ma troppo spesso solo perché
un progettista attento ai vari finanziamenti regionali e a caccia
d'incarichi ha trovato quello “giusto” e il politico di turno, a
caccia di voti, accetta di realizzare questa nuova “cattedrale”
che troppo spesso si rivela nel tempo come una nuova cambiale
spacciata per assegno agli elettori/contribuenti. Tornando al
recupero dell'esistente, tutto questo può essere ottenuto con una
programmazione sensibile ed intelligente che preveda anche il
coinvolgimento di altri Enti (Provincia, Regione, ecc.) che talvolta
hanno dimostrato di aver compreso l'importanza di un serio impegno
verso il recupero degli antichi centri stanziando anche fondi a tal
fine. Una vera sensibilità politica locale potrebbe cercare la
strada per l'acquisto di questi edifici storici da parte del Comune e
operare il loro recupero quando il loro stato di degrado è ancora
reversibile e prima che la spesa per tale operazione diventi
improponibile. Parallelamente l'utilizzo sensato degli spazi ottenuti
dalla demolizione di quelli che non si possano più recuperare,
evitando soprattutto di partorire altre idee “geniali” come
quelle del passato.
La nuova vecchia piazza:
Qualcuno
ha detto che se è vero che l'abito non fa il monaco, è altrettanto
certo che nulla contribuisce tanto a fare il monaco quanto l'abito
perché se parere non è essere, è innegabile che per essere
qualcosa, bisogna almeno sembrare quel qualcosa.
Strada
e piazza sono complementari, maschio e femmina. La strada invita al
movimento ed è perciò assimilabile ad una linea, la piazza invita
alla sosta ed è perciò un punto.
Le
componenti la piazza storica, in un gioco di rimandi sostenuto anche
dagli elementi di arredo, si caricano e la caricano a loro volta di
significato e valore. Per questo motivo, nel recupero di Piazza
Vittorio Emanuele, la prima mossa è stata la ricerca di un elemento
di arredo dall’alto valore simbolico, che fosse in grado di ridarle
la centralità perduta. Il Monumento ai Caduti, elemento attualmente
relegato in un area senza personalità, rimosso dalla sua attuale
sede e riposizionato nel centro focale della piazza in asse con il
Decumano prima descritto, nel canale ottico privilegiato che collega
l'insediamento intra moenia con quello extra moenia, potrebbe
raggiungere lo scopo. Anche riportare la piazza alla sua unica quota
originaria è un intervento necessario per ridarle maggiore ampiezza
ed unità spaziale, così come la rimozione degli ingombranti
lampioni ed il posizionamento di fari a luce calda sulla parte alta
delle facciate degli edifici, quasi a ridosso degli aggetti di
copertura, per ottenere il duplice scopo di un suggestivo gioco di
luci ed ombre ed evitare nel contempo i possibili rischi di
un'illuminazione diretta e abbagliante troppo vicina al suolo.
Quindi,
la ricostruzione della piazza si identifica innanzitutto nella
rimozione del piano rialzato che, diventando spartitraffico ha
trasforma il punto in linea e rafforzamento della sua centralità con
un elemento puntuale e di alto contenuto simbolico, valorizzato da
ogni possibile prospettiva.
Per
rafforzare però di più questo senso di spazio unico dove lo sguardo
non possa fuoriuscire, né dagli angoli, né lungo i lati,
l'inserimento di elementi architettonici che l’avvolgano ma che
siano nel contempo trasparenti, capaci cioè di ricostruire quelle
quinte da sempre mancanti ma con discrezione, senza diventare
scenografia troppo invadente.
L'oggetto
scelto per ritentare detta unità è il simbolo dell'aggregazione
umana per antonomasia, il colonnato dell'agòrà, che nello scenario
di Atena Lucana, riprendendo un segno locale spesso presente
nell'edilizia specialistica (porticati di palazzi e chiese), così
come in quella minore (gli accessi ai locali per il ricovero degli
animali posti al piano terra dell'abitazione), diventano
all'occorrenza porticato.
La
rimozione delle due case a schiera sorte probabilmente agli inizi del
novecento ai piedi del prospetto est di Palazzo De Benedictis,
farebbero posto ad una cortina di arcate con due ordini sovrapposti,
di cui quella al suolo con un'ampiezza maggiore, diventerebbe un
porticato e quella al primo piano fuorio terra, dall'ampiezza minore,
identificherebbe invece un loggiato. Le arcate al piano terra saranno
quindi portico antistante le attività commerciali riportate nella
piazza anche in seguito al recupero dell’ex mercato coperto alla
sua nuova funzione. Quelle al piano superiore, più esili, daranno
invece vita ad un ampliamento sopraelevato della piazza, una sorta di
belvedere da cui si potrà assistere, come da un loggione a teatro,
alle varie attività e manifestazioni che nella piazza stessa saranno
svolte. Da questa piazza sopraelevata, sede di una piastra di servizi
in cui, nei locali del vecchio frantoio ed in quelli contigui
troveranno la loro nuova sede l'ufficio postale, la farmacia e il
poliambulatorio, si potrà poi accedere al primo anello del centro
storico attraverso l'ingresso monumentale di Palazzo De Benedictis
posto su quello che una volta era il terrapieno facente parte
dell'assetto difensivo del XII secolo, anch'esso da tempo immemore
disabitato. Questo ulteriore accesso al centro storico dovrà essere
reso accessibile a tutti mediante una scala e un ascensore per
disabili che dalla quota della piazza sotto il porticato, passando
all'interno di Palazzo De Benedictis, raggiunge il secondo anello
dell'insediamento intra moenia, in prossimità della Chiesa di San
Nicola. Si pensi solo alla comodità per gli abitanti del centro
antico, anziani o meno, nel raggiungere l’area commerciale e la
piastra dei servizi.
Lo scenario dietro le quinte sarebbe impreziosito e reso ancor più
suggestivo proprio dall’affaccio sul loggiato di questi antichi
vani voltati scavati nella roccia, architetture d'interesse storico
maggiore dell’attuale cortina formata della schiera della più
recente edilizia minore e dall'effetto scenografico della giusta
illuminazione sugli edifici e sul loggiato.
L'ultima considerazione prima di chiudere con l'intervento in Piazza
Vittorio Emanuele riguarda l'area antistante palazzo Spagna ed in
prospetto a sud di Palazzo De Benedictis, quello con l'ingresso tra
la torre in piazza e l'abitato del centro antico lungo il Decumano.
Questo slargo, luogo di aggregazione spontanea già in tempi remoti,
deve essere recuperato alla sua vecchia funzione di sosta per gli
uomini, al fresco degli ippocastani anche mediante il recupero della
pavimentazione, della gradinata e della parete, operazione che
riporta tutto il contesto al suo originario equilibrio.
Le
auto in sosta perenne in questo spazio nato per altre funzioni,
potranno trovare comoda sistemazione in un parcheggio da farsi nei
pressi della scuola, in gran parte sottratto alla mai correttamente
utilizzata e ormai fatiscente architettura che doveva svolgere la
funzione di bagni pubblici, e che troverà una nuova e più adeguata
collocazione in luogo più agevolmente raggiungibile da anziani e
disabili. Il parcheggio a cui si avrebbe veloce e sicuro acceso
proprio grazie alla rimozione del Monumento ai Caduti dalla sua
attuale sede, sarebbe non solo ben ubicato perché all'ingresso lato
valle del paese e vicino alla piazza e alle sue attività ma comodo
in particolare la mattina per le mamme che accompagnano i figli a
scuola in auto e che attualmente parcheggiano lungo la statale, in
curva, invadendone pericolosamente la carreggiata contro mano.
Quarto potere:
Un
mercato (coperto o scoperto che sia), senza parcheggi per l'utenza e
senza spazi pensati per un agevole carico-scarico merci, non
funziona.
Un
mercato coperto o qualsiasi altro edificio che entri in una piazza di
lato e addirittura con un lato cieco e che offra solo la metà del
suo fronte più lungo alla strada principale per poi cambiare
direzione e rivolgersi al nulla, urbanisticamente e compositivamente
è sbagliato.
Un
edificio, qualsiasi sia la sua destinazione, che ha un'altezza tanto
ingiustificata per la sua funzione da richiedere un successivo
intervento di compensazione con volumi più piccoli all'interno del
volume principale innescando così una specie di effetto “scatole
cinesi” o, se si preferisce, “matrioska”, è una un edificio
destinato a diventare, prima o poi, oggetto di un concorso di idee
teso al recupero di un'area malamente occupata.
Ho
paragonato l'idea progettuale ad un arrocco, un movimento difensivo
che tende al recupero di un'area nel cuore del paese e che finisce
con un recupero ben più vasto ed importante, quello ottenuto
inizialmente mediante il ritorno del “Principe” nella piazza e
perciò nelle vicinanze del centro antico, così che la sua area
d'influenza (l'effetto delle sue azioni in quei luoghi ed il
movimento anche economico legato alla presenza di uffici e
all'inevitabile ritorno delle attività commerciali), possa ridargli
vita. Il costo di questo nuovo cambio di sede del Comune nei palazzi
storici da adeguare alle nuove funzioni, sarebbe tranquillamente
coperto dalla trasformazione dell'attuale sede in un edificio a scopo
residenziale, da alienare a privati. Nell'attesa di questo ritorno
del “principe”, l'edificio dell'attuale mercato coperto verrebbe
abbattuto e ricostruito su 3 livelli, di cui uno seminterrato con
accesso su via Vicinale di Roma e destinato in parte a nuova sede dei
bagni pubblici e per la restante parte ad archivio comunale (da cui
si accederebbe solo dall'interno degli nuova sede comunale) e negli
altri due livelli a sede di attività informative e culturali. La
struttura è stata pensata come luogo dell'aggregazione umana al
coperto ma, nel contempo, luogo mai completamente chiuso. Ancora una
volta si riprende l'idea dell'agorà e i suoi colonnati su più
livelli, scelta formale che, reiterata, contribuisce a dare il senso
di unità delle varie aree adiacenti Piazza Vittorio Emanuele e
perciò interessate dal concorso d’idee.
Anche
prima del nuovo cambio di sede del Palazzo Comunale, al piano terra
questa struttura potrebbe già fungere da sala consiliare,
destinazione che riporterebbe la politica nel luogo che le spetta, la
piazza appunto e con essa la gente, di conseguenza l'economia e
quindi: la vita.
Sala
Consiliare quando occorre o altrimenti sede per le riunioni di varie
associazioni (Pro Loco, Comitato feste, Associazioni Giovanili, dei
Commercianti, degli Industriali, Circoli Culturali, Sportivi, ecc.),
sede di Mostre itineranti, anche di artisti locali, Cinema e Teatro
all'aperto e al chiuso e altro ancora. Edificio realmente
polifunzionale, sede di attività che ne garantiscano la vita tutti i
giorni, fino a tarda sera.
Al
seminterrato, come già accennato, servizi igienici pubblici,
depositi annessi alle attività svolte nel resto dell’edificio e
gli archivi del Comune, dislocato nel prospiciente Palazzo
Pessolano-Filos, recuperato alla vita dopo tanti anni di abbandono.
L’auspicio è che anche confinante Palazzo D’Alto sia
successivamente annesso a tale struttura, per un suo recupero e per
un necessario ampliamento della sede del Municipio che darebbe così
al “principe”, attraverso i suddetti balconcini, il suo affaccio
in piazza. Un collegamento sotto strada, unirebbe fisicamente il
Palazzo Comunale ai suoi archivi e, evitando l'attraversamento della
strada, anche alla sua sala consiliare.
Stessa
funzione di spazio aggregante ma all’aperto l'avrebbe l’area con
portico al piano superiore, raggiungibile con una scala esterna ed
un ascensore per disabili a ridosso di una torre. Si ripropone così
lo scenario prima descritto ma al lato esattamente opposto della
piazza. La stradina tra questo nuovo edificio e quello alle sue
spalle e che collega all'inizio della schiera Via Roma e Via Vicinale
di Roma, diventerebbe la rampa di accesso ai necessari parcheggi mai
previsti in quell'area. Via Vicinale di Roma sarebbe invece la rampa
di immissione del traffico meccanizzato dal parcheggio su Via
Vicinale di Roma, su Via Roma.
Temendo
l'impatto visivo dell'integrazione tra ingombranti pannelli
fotovoltaici ed edilizia storica ma ritenendo altresì impossibile
non guardare al futuro con soluzioni ecologicamente valide, penso che
una buona soluzione sia la realizzazione di parcheggi coperti con
tettoie fotovoltaiche nascoste alla vista dal piano strada da una
cortina di alberi. Soluzione analoga anche per gli altrettanto vitali
parcheggi previsti in prossimità delle scuole.
Tornando
all'edificio pensato per il recupero dell'area occupata attualmente
dal mercato coperto, la scelta della torre ha la duplice funzione di
permettere allo stesso di partecipare alla piazza, entrandovi nel
modo corretto e con un segno forte, immediatamente riconoscibile e
che aiuti ad interiorizzare lo spazio. Una torre apre la piazza,
l'altra torre la chiude ed adiacenti ad entrambe, ad unire il vecchio
al nuovo, il loggiato.
Ultima
funzione ma non in ordine d’importanza, quella di interrompere,
insieme ai colonnati del piano alto, la prospettiva verso l’anonima
quanto invadente facciata dell’edificio a tre piani in testa alla
schiera di Via Roma, costruzione del tutto fuori scala che sovrasta
l'area del mercato coperto e che fu anch'essa autorizzata negli anni
70 senza porsi minimamente il problema dell'impatto sul contesto che
un tale volume avrebbe avuto nel compromettere la coerenza della
schiera storica di soli 2 piani. Non ci si pose nemmeno il problema e
che questo edificio fuori scala sarebbe stato il primo elemento
contro cui s’infrange lo sguardo dell'osservatore che proviene
dalla valle o che percorre il Decumano partendo dall'insediamento
dentro le mura.
Questo
progetto in sintesi, non si limita al solo recupero dell'esiguo
spazio occupato dal mercato coperto ma vuole cogliere questa
occasione irripetibile per ridare finalmente ordine e vita ad uno dei
luoghi più importanti del paese e la soluzione proposta consiste
nell'accostare alle tre tipologie di piazza storica una quarta, sede
dell’informazione: il"quarto potere".
La piazza del mercato:
Lasciando
le piazze religiose nei loro luoghi storici e riportando in piazza
quella amministrativa, a stretto contatto con quella culturale e
dell'informazione, manca solo di descrivere il luogo scelto come sede
della piazza del mercato. Attualmente questo, come tutte le attività
economiche, si svolgono sulla suddetta (ed ormai obsoleta) SS 95, nel
tratto tra Piazza Vittorio Emanuele e “Piazza” Europa. Di
conseguenza, le già poche attività commerciali su via Borgo-Braida,
arteria vitale fino all'evento sismico del novembre 1980, hanno
chiuso e mai è stato tentato un recupero di questa area e dei suoi
edifici da tempo abbandonati e perciò fatiscenti. Invece di lasciare
il percorso meccanizzato sull’arteria nata per ospitarlo e
individuare l'area del mercato settimanale sulla poco trafficata via
Borgo ed evitare così il suo progressivo declino, paradossalmente da
anni si allestisce il mercato settimanale sulla principale via di
traffico meccanizzato, che conseguentemente si devia su via
Borgo-Braida.
Il suo recupero prevede innanzitutto di amplificare lo spazio dell'attuale piazzeta-parcheggio con l'abbattimento di casa Pessolano in gran parte fatiscente e della Chiesa Delle Anime del Purgatorio, di cui si lascerebbe in piedi, come memoria storica, il solo portale. L'ampio spazio così ottenuto sarebbe utilizzato come sede del mercato settimanale e luogo di sosta del commercio ambulante giornaliero. Quest'area, ampliata di quasi il doppio, potrebbe essere inoltre utilizzata tutti i giorni per la sosta delle auto e, all'occasione, come luogo per manifestazioni o feste popolari, quando le bancarelle della festa sostituirebbero quelle del mercato. L’illuminazione e la pavimentazione identica a quella di Piazza Vittorio Emanuele ne accrescerebbe l’effetto scenografico, facendone un percorso turistico suggestivo che giunge fin dentro le antiche mura.
Il suo recupero prevede innanzitutto di amplificare lo spazio dell'attuale piazzeta-parcheggio con l'abbattimento di casa Pessolano in gran parte fatiscente e della Chiesa Delle Anime del Purgatorio, di cui si lascerebbe in piedi, come memoria storica, il solo portale. L'ampio spazio così ottenuto sarebbe utilizzato come sede del mercato settimanale e luogo di sosta del commercio ambulante giornaliero. Quest'area, ampliata di quasi il doppio, potrebbe essere inoltre utilizzata tutti i giorni per la sosta delle auto e, all'occasione, come luogo per manifestazioni o feste popolari, quando le bancarelle della festa sostituirebbero quelle del mercato. L’illuminazione e la pavimentazione identica a quella di Piazza Vittorio Emanuele ne accrescerebbe l’effetto scenografico, facendone un percorso turistico suggestivo che giunge fin dentro le antiche mura.
Filosofia progettuale:
Come
è chiaro dagli elaborati della fase metaprogettuale, il Decumano è
l'asse principale lungo cui si snoda il progetto, mentre la matrice è
la torre in piazza e facente parte dell’originaria cinta muraria.
Dall'asse ideale che collega il centro di questa torre con il
prolungamento delle facciate di palazzo D'Alto su via Borgo e via
Roma, si individua il luogo della nuova collocazione del Monumento ai
Caduti e il canale ottico che si forma tra questi 2 elementi,
individua la posizione della torre, elemento di testa, del centro
polifunzionale progettato nell'area dell'ex mercato coperto.
Sempre
seguendo queste direttrici e utilizzando la base della torre come
matrice, si individuano altri due punti: il primo nello slargo in
via Borgo, e un secondo in “piazza” Europa. In questi punti
nuovamente la presenza della torre, non perché oggetto esteticamente
piacevole posizionato a caso ma come punto di riferimento prospettico
ottenuto con la reiterazione di un segno ormai familiare.
Nel
caso dell'area di “piazza” Europa questo, continuando così una
tradizione ormai consolidatasi di luogo di aggregazione spontanea, è
un elemento di arredo urbano con funzione di seduta e di
illuminazione di un'area che è incrocio di più strade di diversa
importanza. Nell'area dell'anfiteatro, la torre non ha alcuna
fisicità, così da non frammentare inutilmente uno spazio utile per
i già descritti scopi, ma è solo un segno a terra ottenuto con una
diversa pavimentazione.
Ultimo
espediente per dare l'idea di unità di tutta l'area oggetto di
recupero, la scelta di utilizzare l'ingresso del Palazzo
Pessolano-Filos limitatamente alla parte interessata dal progetto,
come collegamento attraverso lo spazio antistante la nuova sede
comunale la sede comunale, tra l'aerea della nuova sala consiliare e
quella del nuovo mercato. Mediante il ripristino dell’originaria
facciata, soprattutto (ma non solo) attraverso la rimozione del
terribile balcone che la deturpa,nasce dalla considerazione che anche
l'assenza di percorsi di attraversamento tra Via Borgo-Braida e Via
Roma, ha contribuito a creare una realtà così diversa tra le due
vie. La porta e la sua sintesi rappresentata dall'arco, sono l'altro
elemento fortemente connotativo del nostro progetto. La sua
ripetizione diventa, per successiva aggregazione, prima porticato e
poi agorà, una trovata scenica che racchiude senza chiudere,
identifica senza mai delimitare in modo rigido e perentorio.
I
materiali previsti sono molteplici e non è questa la sede in cui
analizzare nel dettaglio le soluzioni tecnologiche proposte ma una
cosa si può tranquillamente anticipare e cioè che la scena sarà
dominata dal pieno della pietra dei nuovi edifici e della torre e
della pavimentazione identica a quella originaria del centro antico e
ancora presente in alcuni tratti su via Santa Maria. La scelta di una
pavimentazione unica che si rifaccia idealmente a quella originaria è
ancora un modo per contribuire al recupero dell’unità e
dell’identità dei luoghi oggetto del concorso, riavvicinandoli
anche come immagine a quelli del centro antico. Insieme alla pietra
il vetro e il suo potere di darsi all’osservatore come vuoto
apparente, utilizzato per quegli scenari dove, attraverso l’uso di
grandi vetrate, si è voluto dare il senso di sfondamento della
quinta, anche quando c’era necessità di spazi chiusi, come nel
caso della sala consiliare al piano terra del centro polifunzionale.
Quindi
la pietra per dare il senso di unità e di ritrovata identità dei
luoghi oggetto del concorso e favorire la loro ricucitura attraverso
un elemento forte e prevalente nel centro antico. Unito a questo
materiale che allude alla fisicità, la trasparenza e la componente
eterea del vetro, perché lo sguardo possa andare oltre l’oggetto e
la sua fisicità. Infine l'aria che si fa immagine nuova e colore
cangiante man mano che l’osservatore decide di fare delle arcate la
cornice di quadri da lui stesso “dipinti”; cornici per quadri
dinamici che hanno volta per volta come soggetto le nuvole, il
santuario della Colomba, la notte stellata, le esplosioni di colore
dei fuochi d’artificio durante le feste religiose,le azioni del
"principe" e le manifestazioni in piazza.
Altro
aspetto che non si può trascurare a questa scala, è il colore,
elemento tanto più importante quanto più non deciso mediante un
giudizio estetico soggettivo ma vuole essere identificativo e
rappresentativo di una realtà precisa. Tralasciamo tutta la
filippica sull’ottenimento dei colori in passato e come e perché
alcuni di questi siano diventati tradizione in determinati luoghi e
non in altri e concentriamoci sull'aspetto più imnportante e cioè
che c’è una tradizione nei colori e questi fanno parte del Genius
Loci del luogo. Il progetto, che è stato visto come il primo
tassello di un progetto di recupero globale dell'intero centro,
intende non lasciare al caso alcun aspetto; i colori proposti sono
fortemente connaturati con la realtà locale, proprio perché fanno
parte del suo scenario e sono visibili sulle rocce della Serra
d’Atena, generati dalla presenza dei vari ossidi; quindi oltre il
grigio della pietra locale, i colori previsti sono tutti quelli della
gamma che va dal giallo al rosso, nelle sfumature presenti ed
osservabili in questa realtà naturale.
La presente versione della realzione esplicativa allegata al progetto, sebbene conservi totalmente lo spirito della sua stesura originale e del suo contenuto, non è quella pubblicata il 19 giugno ma una successiva in cui si riportano con maggiore chiarezza di linguaggio e precisione storica, alcuni passaggi di un testo scritto di getto nell'intento di pubblicare il post, per correttezza, prima dell'apertura delle buste degli altri concorrenti che invece avevano rispettato i tempi della consegna.
Tradizione e tecnologia, le soluzioni e i costi di realizzazione:
[omissis]
Vietata la riproduzione totale o parziale di immagini e testo contenute in questo post.
Tutti i diritti riservati ©
Nessun commento:
Posta un commento