domenica 10 febbraio 2013

Dello scomparso Palazzo Marino ed altre doverose precisazioni

Nel 2004 esce, a cura di G. Ferrari e per la SGA Editore, il libro "Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857. L'opera di Robert Mallet nel contesto scientifico e ambientale attuale del Vallo di Diano", a cui sono allegate alcune mappe delle aree interessate dall'evento sismico ed un DVD.
Il libro riporta le testimonianze di questo ingegnere irlandese dell'ottocento, raccolte da lui stesso durante il viaggio nelle aree colpite dal disastroso sisma del 1857 ed intrapreso su incarico della Royal Society of London, allo scopo di studiare e capire gli effetti dei terremoti e migliorare le conoscenze dell'epoca sulla sismologia.
L'opera, sebbene datata, è ancora oggi di grande interesse non solo per gli "addetti ai lavori", ma anche per chi non ha una preparazione tecnica, perché è indubbio il fascino che le vecchie foto esercitano, spingendo bene o male tutti a cimentarsi nel riconoscimento di persone e luoghi lontani nel tempo. Fascino che l'opera del Mallet conserva inalterata nel tempo e che esercita anche sulle nuove generazioni, perché tante sono le foto dei paesi colpiti scattate dal fotografo francese Alphonse Bernoud che lo accompagnava nella spedizione ed altrettanti i disegni dello stesso Mallet a commento del suo diario di viaggio.
Opera pregevole dicevo e descrizione abbastanza precisa ed accurata, almeno per quei luoghi che mi sono familiari perché li studio da tanti anni, fin dai tempi in cui si demoliva e s'interveniva senza alcun rispetto delle preesistenze e senza troppi ripensamenti, tempi in cui si era ben lontani dall'idea (non che oggi sia molto cambiato il modo di pensare) che ci fosse qualcosa da preservare e conservare. Luoghi che ricordo una volta pieni di vita e che oggi sono quasi totalmente disabitati e in cui da tempo mi aggiro come un fantasma, talvolta da solo, altre volte con amici e compagni di studi, ad osservare, prendere appunti, fotografare, misurare, ricostruire idealmente quello che poteva essere. Pochi interessati quelli che ormai da un anno stanno condividendo con me questa esperienza e le conoscenze legate al nostro diverso corso di studi, ben consapevoli che il lavoro di ricerca è un lavoro serio, lungo, faticoso e parecchio costoso. Ci confortano però i risultati, perché più andiamo avanti, più scopriamo cose nuove e ci accorgiamo che poche sono le certezze e tanti i dubbi sulla storia di una bellissima realtà mai veramente conosciuta e perciò talvolta descritta con qualche imprecisione più o meno grave.
Il centro storico di Atena oggi ha difficoltà a raccontarsi e a noi che gli chiediamo informazioni risponde come un amico confuso perché non ricorda più chi è. Sempre più evidente ci appare invece la drammaticità di quella inutile e lontana richiesta di aiuto della scomparsa e compianta Dottoressa Elena D'Alto, agli Enti ed ai suoi concittadini, in un libro di ampio respiro sulla nostra storia, ultimo di una trilogia che inizia con La Cava e che arriva a lei passando per Curto. Questi, ancora oggi, gli unici testi che pur con qualche incertezza o piccole imprecisioni, si possono ritenere attendibili, insieme a pochi documenti antichi e rare fotografie d'epoca sopravvissute al disinteresse di troppi. Altrettanto utili, anche i ricordi degli ormai pochi testimoni diretti di certi cambiamenti.
Al di fuori di questo: antichi palazzi “perduti”, ricostruzioni di castelli del tutto improbabili e cannibali laureati che non sono buoni nemmeno per farci una sagra. Tutte “verità storiche”che hanno però, in un modo o nell'altro, trovato l'avallo di chi invece doveva verificare l'attendibilità del dato e fermare la diffusione di falsi storici e leggende metropolitane.
Alcune di queste imprecisioni sono rinvenibili ad esempio nella parte scritta da autori locali a completamento del citato volume sul viaggio di Mallet, notizie che, insieme ad una bibliografia non accreditata, hanno goduto della credibilità a loro estesa, per una sorta di proprietà transitiva, dalla condivisione della fortuna di un testo di grande notorietà ed attendibilità storica.
Altro documento ufficiale, più o meno coevo alla pubblicazione del citato volume di Mallet e che ha contribuito alla diffusione di informazioni storiche errate, è il totem antistante il mercato coperto, un elemento di arredo urbano la cui funzione, sotto l'egida di Enti quali la Comunità Montana, la Pro Loco ed il Comune, è far conoscere palazzi, piazze e monumenti locali. Le errate informazioni si sono diffuse negli anni senza smentite e oggi le ritroviamo, oltre che nel citato testo di Mallet, su vari siti internet, soprattutto legati alla pubblicità di alberghi e ristoranti, per rendere più accattivanti pacchetti turistici con iniziative “culturali” varie.


Il totem di Atena Lucana

Dettaglio del totem di Atena Lucana


Purtroppo a nulla sono valse le mie tempestive segnalazioni a riguardo ed ai rischi connessi alla loro diffusione; così come per il libro di Mallet, la “cornice” era troppo costosa perché si potesse pensare di sostituire la “tela” e si è finito per ufficializzare un falso storico, perché in un contenitore molto costoso.
In questo contesto, ricostruire la storia di un luogo non significa solo cercarne le tracce e scriverne, ma anche riscrivere il già detto, perché si rende necessario prima ripulire il racconto del passato dalla parte posticcia, così come a volte è stato necessario liberare una facciata da quegli intonaci inopportuni che hanno nascosto le epigrafi murate nell'edificio. 
Inutile precisare ancora una volta che a monte di questo, come degli altri miei scritti, non è la polemica sterile, ma la speranza di restituire alcuni episodi ed edifici di Atena alla verità storica.
A distanza di anni ancora cerco quello che è stato colpevolmente dimenticato e malamente riscritto, con la speranza che possano invogliare le nuove generazioni alla ricerca della nostra identità.



Palazzo Marino, come si presentava alla fine degli anni 70. 
A destra, ad angolo, il prospetto orientale di Palazzo Pessolano Filos, già rimaneggiato


Palazzo Marino

Possiamo riassumere in queste poche note la sua storia: è ubicato nello slargo di Via Borgo Braida (detta anche Via Umberto I), di fronte “alle case dei Mango” e contiguo a Palazzo Pessolano (in seguito Pessolano-Filos), donato qualche decennio fa alla Congregazione delle Suore Ancelle dell'Immacolata.  

Fu costruito da Don Severiano Marino, Abate e membro del capitolo di Santa Maria Maggiore,  nell'ultimo trentennio del 1700, come testimonia la data 1781 riportata nella chiave di volta del portale, in cui si legge chiaramente: << DSEV. AB. MAR F.F. A.D. 1781>>.

La chiave di volta ed il gancio per lo stemma sull'ingresso più antico di Palazzo Marino
Inequivocabilmente palazzo Marino quindi e non Di Santi, eppure, incomprensibilmente così riportato nei suddetti e recenti documenti ufficiali, correndo il rischio di consegnare alla storia un palazzo Di Santi del tutto inventato e, nel contempo, perdere memoria di uno tra i più antichi e tante volte citato in documenti dell'epoca, come gli Status Animarum (sebbene indirettamente), ma non solo.
Infatti, palazzo Marino o dei Marini[1] è citato in testi a carattere storico, redatti da vari autori, a proposito del ritrovamento dei ruderi di un presunto anfiteatro (o teatro, secondo altri autori), in occasione di lavori stradali che a fine ottocento hanno interessato via Borgo Braida.
L'anfiteatro viene ubicato nello slargo antistante palazzo Marino in:

"Istoria di Atena Lucana" -1893 – pubblicazione del Dott. Michele La Cava
nota 2 a pag. 50 
pag 73
pag. 92)

Notizie storiche sulla destrutta città di Atinum Lucana dai tempi incerti fino al secolo XIX” - 1901 – pubblicazione dell'Avv. G. B. Curto
pag. 40
pag. 91

Tornando alla storia del palazzo, l'abate Severiano, costruttore dello stesso, lasciò l'edificio in eredità ai figli del già defunto fratello Elia. 
A questo punto, senza dilungarci ulteriormente in questioni genealogiche, che saranno trattate altrove e a tempo debito, possiamo desumere che vari decenni più tardi, dagli eredi di Elia, il palazzo sia stato acquistato da Luigi Di Santi, padre di Vincenzo, Giuseppe, Basilio ed Amelia o forse dai tre fratelli insieme.
Nel corso degli anni, le parti di questo edificio di proprietà di Vincenzo, Giuseppe, Serafino e Reginalda, ma non quella di proprietà di Basilio, saranno in parte ereditate e per il resto acquisite dal Dott. Ettore di Santi, di cui i suddetti erano rispettivamente: padre, zio,  fratello e sorella[2]. Alla morte del Dott. Ettore Di Santi, avvenuta nella prima metà degli anni '70, la parte di palazzo Marino di sua proprietà passerà ai di lui 3 figli: Luigi, Concetta (poi Castellano) e Antonietta (poi Vitiello).
Ultima informazione di interesse storico riguarda lo stemma araldico che domina il portale di questa parte dell'edificio, trafugato pochi anni dopo l'evento sismico del 1980. La chiave di volta del portale a destra, quella appunto sormontata dallo stemma, ha una terminazione a punta, presente anche in altri portali di palazzi di Atena privi dello stemma di famiglia. Spiegazione plausibile a giustificare la terminazione a punta invece di una “a cuscino” potrebbe essere il diritto a fregiarsi dello stemma araldico non coevo alla sua realizzazione, in quanto riconosciuto a Don Francesco Marino, decurione e sindaco dell'università di Atena, nipote di Severiano Marino.
Questo per quanto riguarda i passaggi di proprietà dell'ultimo piano e dell'ala destra del fabbricato, quindi della parte adiacente il Palazzo Pessolano-Filos che, come già accennato, è attualmente sede dell'Istituto delle Suore Ancelle dell'Immacolata.
La parte sinistra di Palazzo Marino, come si vede nella foto, in origine leggermente più bassa di quella appena descritta (per i motivi che diremo in un lavoro in fase di realizzazione e che ne traccerà tutta la vera storia), ad esclusione dell'ultimo piano, era stata ereditata dal dott. Basilio. Il portale da cui oggi vi si accede è più semplice ed in chiave è privo delle cifre o di altri riferimenti ai Marino e questo credo possa legittimamente far sorgere il dubbio che il portale, così come oggi lo vediamo e che porta la data 1920 in numeri romani, non sia coevo alla realizzazione dell'edificio stesso.  Anche questo aspetto sarà dettagliatamente trattato nel suddetto lavoro in fase di ultimazione.

Ingresso alla parte di proprietà degli eredi di Lopardo Angelo

L'unicità originaria dell'edificio però non è assolutamente in discussione, per una serie di lecite considerazioni di varia natura e che sono:

  • di ordine stilistico: impaginazione della facciata con allineamento delle aperture che restituiscono il classico vuoto su vuoto e pieno su pieno, l'identica scelta stilistica per i davanzali delle finestre del piano nobile;
  • di ordine strutturale: orditura dei solai e i muri di diverso spessore a seconda della funzione;
  • di ordine distributivo: continuità strutturali interrotte che suggeriscono le aree dei nuovi interventi distributivi;
  • perché testimoniato da varie servitù riportate negli atti notarili in seguito citati. 

Possiamo quindi dedurre che nel 1920, il dott. Basilio, nell'intento di dare indipendenza alla propria abitazione, abbia realizzato sul fronte principale un nuovo ingresso al piano nobile, forse semplicemente ampliando un preesistente ingresso alle pertinenze occupanti il piano terra dell'intero palazzo o, coerentemente con la terminazione destra, con la sostituzione di una delle finestre "ad oblò", tipiche dei locali adibiti a magazzini. A conforto della mia ultima ipotesi di ricostruzione, l'adiacente pertinenza appartenente tuttora all'altra proprietà, in origine finestra di magazzino, trasformata negli anni 60 in porta metallica di accesso al garage, dalla famiglia Di Santi. Se non vi fosse stata altra apertura sul fronte, il fabbricato, in cui si è avuto cura anche dei davanzali delle finestre al primo piano, sarebbe stato privato di quell'eleganza d'insieme, data appunto dalla citata sovrapposizione del “vuoto su vuoto e pieno su pieno”.  In sintesi, finestra o ingresso ai magazzini che fosse, dobbiamo ammettere necessariamente la presenza di un ulteriore vuoto, anche lì dove nel 1920 verrà realizzato l'ingresso al piano nobile della proprietà del dott. Basilio.
Contemporanea ritengo, per i suddetti motivi, la realizzazione di due nuovi setti murari ad angolo, che gli permettevano di separare in nuovo ingresso al piano nobile, dalle pertinenze al piano terra e anche di una nuova rampa della scala interna, che gli garantiva l'indipendenza dell'accesso dal nuovo ingresso all'alloggio al primo piano. Precedentemente alla realizzazione di queste opere, il dott. Basilio poteva raggiungere i suoi alloggi al primo piano dalla scala presente nell'unico originario ingresso al fabbricato e cioè quello risalente alla costruzione del palazzo e sormontato dal cartiglio. L'alternativa, molto meno elegante e non attuabile dalla piazzetta era quella di accedervi mediante la scomoda scala di comunicazione interna ai magazzini di via Stretta Della Croce. Una volta realizzato l'ingresso indipendente, l'ormai inutile apertura che dalla scala dell'atrio illuminato dal lucernario introduceva all'ala di Basilio e di cui vi è ancora chiara traccia nel mio studio, fu murata, sperando di fatto i due corpi al primo piano ma conservando, tramite i magazzini comuni, la loro unione al piano terra. Tale separazione definitiva fu poi operata da Angelo Lopardo, lasciando sopravvivere, tra le servitù che legavano le ormai diverse proprietà:

  • La finestra al primo piano, che grazie al lucernario che illuminava l'originario ingresso, illuminava anche il nuovo vano scalo di Basilio.
  • Il pozzo di uso comune, al piano terra in quell'area oggetto della suddetta separazione.
  • Lo scarico in una fossa settica comune ubicata nell'orto retrostante il fabbricato, negli anni spostata di qualche metro ed ampliata, per le mutate esigenze sopravvenute ed in cui hanno confluito gli scoli di bagni, cucine, stalle, magazzini, ecc., fin ben oltre la realizzazione della rete fognaria al Borgo, risalente agli anni 70 inoltrati.

Il piano terra, come già accennato, era sede di ampie pertinenze, che Vincenzo Di Santi, fratello di Basilio, pensò di utilizzare come "ammasso", cioè come magazzino per la raccolta di prodotti agricoli. Un ingresso ai magazzini ancora riconoscibile, era ubicato sul fronte orientale, nel piccolo slargo di Via Stretta della Croce, molto più ampio all'epoca della realizzazione del palazzo, in quanto non esisteva nemmeno l'adiacente frantoio della famiglia Pessolano Filos, ultimato nei primi dell'ottocento. Ha in chiave la cifra “M”, che allude chiaramente ai Marino ed è sormontato anche stavolta dalla classica apertura di areazione ed illuminazione dei magazzini, come meglio si dirà in seguito. 

A destra, l'ingresso ai magazzini di palazzo Marino in Via Stretta Della Croce e, nascosta alla vista dal muro a sinistra della finestra a piano terra, l'originario ingresso al frantoio dei Pessolano-Filos.

Dettaglio del portale, con  la cifra "M" in chiave

Tornando all'ingresso principale all'abitazione di Basilio, sempre in chiave, al di sopra della menzionata data in numeri romani, è presente un'incisione purtroppo non molto leggibile ma in cui credo di poter identificare un caduceo, simbolo che richiama alla professione medica, effettivamente esercitata da Basilio. Nella composizione sono chiaramente riconoscibili un serpente ed un bastone mentre, la parte meno leggibile, sembra rappresentare la coppa di re Guda o forse il copricapo alato e capovolto di Hermes.
Il 24 Ottobre 1931, la signora Zoe Cappelli fu Enrico, vedova del Dott. Basilio Di Santi, nello studio del notaio Giuseppe Coiro di Felice, residente in San Pietro al Tanagro, vende la parte di edificio di sua proprietà a Giovannina Scotese, moglie e procuratrice di Lopardo Angelo di Antonio, all'epoca residente in Montevideo per ragioni di lavoro.
Lo stesso fu, all'inizio degli anni 80, ereditato dalla signora Gentile Ermelinda (mia madre), attuale proprietaria.


Dettaglio della chiave di volta con il Caduceo e la data MCMXX

In chiusura, una breve ma interessante divagazione.
L'ingresso ai magazzini dell'ammasso dal piccolo slargo di Via stretta della Croce, così come quelli nel prospetto principale su via Borgo Braida, sono denunciati, oltre che da dagli anelli in pietra dove venivano legate le bestie da soma, anche da piccole aperture protette da inferriate e poste ad un altezza tale da consentire una buona illuminazione e areazione dei locali ma, anche per questioni di sicurezza, non un affaccio. Sul fronte del Borgo, a poca distanza dall'ingresso dell'abitazione della Sign. Gentile Ermelinda, l'anello per le bestie da soma è metallico ed è cementato nella bocca di in un elegante volto in pietra. Sempre davanti l'ingresso principale (rimosse negli anni 70), due elaborate colonne cilindriche in calcare, simili a quelle ancora presenti all'ingresso dell'adiacente edificio religioso. Con lo stesso affaccio su via Stretta Della Croce del prospetto orientale del palazzo Marino, vi era anche l'ingresso ad un frantoio di proprietà dei Pessolano Filos (anche questo, da qualche anno, di proprietà della signora Ermelinda Gentile), il cui portale in pietra, occultato alla vista dalla strada da abusi edilizi risalenti agli anni 70, poi sanati con la 47/80, porta scolpita in chiave la data 1801. La sua fattura è identica a quella dell'adiacente ingresso all'ammasso, così come le aperture di aeroilluminazione sono identiche a quelle prima descritte e che ritroviamo non solo ad illuminare ed areare i magazzini di palazzo Marino , ma anche di quelli dell'adiacente Palazzo Pessolano-Filos , ora sede dell'istituto religioso (modificate da lavori di ammodernamento negli anni 90), di quelli dell'abitazione attualmente di proprietà della famiglia Mango e, ancora, quasi in Piazza Vittorio Emanuele, ad illuminare ed areare quelli dell'abitazione più vecchia dei Pessolano- Filos (in origine palazzo Cimino) e del Palazzo Curto/D'alto. La stessa tipologia è poi rinvenibile in molti palazzi storici dentro le mura medievali. Questo ripetersi di scelte formali per le aperture, credo siano la dimostrazione di una coerenza stilistica protrattasi per almeno un cinquantennio e di cui si parlerà diffusamente in un lavoro sui palazzi ed i portali del nostro comune. 

Tutto questo, sempre nella speranza di essere stato di essere stato utile all'università di Atena Lucana.


Note:

  1. In La cava si ritrova ubicato in Via Borgo Braida, invece di palazzo Marino, "casa De Marino" o anche come "abitazione del signor Marini", per indicare "dei Marino", "di proprietà dei Marino". Nel secondo caso trattasi, ovviamente, di improprio uso al plurale del cognome.
  2. Giuseppe Di Santi, alienata la sua parte, abiterà un palazzo ottocentesco ubicato a ridosso del tratto a sud della cinta muraria medievale. Per completezza d'informazione, c'è da dire ancora che al tempo risiedeva in Palazzo Marino, pur non essendo proprietaria di alcuna parte dell'immobile, anche la signora Amelia, zia di Ettore di Santi e che sarà la madre dell'Arciprete Don Giuseppe Gallo.


  • La ricostruzione dell'impianto originale l'ho dedotta dall'osservazione diretta dell'edificio e da considerazioni di carattere stilistico, distributivo e strutturale.
  • La ricostruzione del passaggio dell'immobile dagli eredi dei Marino alla famiglia Di Santi, è stata possibile grazie alle informazioni fornitemi dalla signora Gentile Ermelinda, erede diretta di Scotese Giovanna e Lopardo Angelo.
  • La ricostruzione del passaggio dell'immobile dagli eredi di Basilio Di Santi a Scotese Giovanna e Lopardo Angelo è stata possibile grazie alla lettura degli atti notarili e dalle informazioni fornitemi dalla suddetta signora Gentile Ermelinda.
  • La ricostruzione della genealogia della famiglia Marino e dei passaggi del palazzo tra i vari eredi della famiglia, è stata possibile grazie alle notizie di archivio fornitemi dall'amico Francesco Magnanti e da successivi studi di approfondimento fatti dal sottoscritto. 




La salita del petto con la sua diramazione sinistra, verso Porta D'Aquila e destra, verso Porta Piccola


Porta D'Aquila:

Era l'ingresso all'abitato attraverso la diramazione sinistra (per chi sale dalla valle) della “via del petto”, un antico percorso che si staccava dalla Via Annia o Popilia (cfr Prof. V. Bracco in "Storia del Vallo di Diano Vol. I - Laveglia), la consolare romana che da Capua conduceva a Reggio attraversando longitudinalmente la Valle e risaliva la collina, poco più che una mulattiera, per permettere l'entrata nel nucleo abitato intra moenia, attraverso Porta D'Aquila. La diramazione destra conduceva invece alle altre due porte di accesso all'abitato: Porta Piccola, che era rivolta verso mezzogiorno e Porta della Piazza o Porta di Roma, rivolta circa ad est.
Porta d'Aquila, come la scomparsa Porta Piccola, è rivolta verso il Vallo di Diano e verso gli Alburni, la catena montuosa che lo divide dal Cilento. Il Cilento che affaccia sul mar Tirreno, il nostro mare ad ovest. Porta D'Aquila, che guarda in direzione del mare, di conseguenza guarda ad ovest (per la precisione a nord-ovest) e non già ad est.
Del resto, ogni atinate sa per esperienza diretta che il sole tramonta alle spalle degli Alburni in direzione di San'Arsenio e che, inequivocabilmente, quello è  l'occidente, e sa che sorge tra il comune di Brienza e quello di Sala Consilina, che sono ovviamente tra nord-est e sud-est o, se si preferisce, verso oriente.
L'erronea posizione di Porta d'Aquila rispetto ai punti cardinali è riportata nel discutibile contributo atinate alla ristampa del libro di Mallet, in cui si legge: “[...] mentre la Porta d'Aquila, posta nel lato orientale del nucleo storico, di origine medievale, immette nel primo girone ellittico del centro storico.”

L'abitato contenuto all'interno delle mura del XIV sec.
La freccia indica la posizione di Porta D'Aquila.

Eppure,  già in G. B. Curto, Capo VI – Epoca Presente - pag. 72 poteva rinvenirsi: “L'Atena medioevale, occorre ripeterlo, forse occupa il sito dell'antica Acropoli ed aveva mura e torri con tre porte: porta della piazza a sud est, porta piccola al sud ovest, e porta dell'aquila al nord ovest [...]”. 
Anche a non voler dare alcun credito all'antica esistenza di una Via Aquilia http://www.centrostudivallodidiano.it/ViewDocument.aspx?catid=6ff59741ea044a89bfd61b78cf1890aa&docid=b805ab16eb994b868a48f943e62c1c3d
invece che Annia o Popilia, come asserito da altri studiosi (come ad es. il già citato prof. V. Bracco), altra interessante ipotesi sull'origine del nome dell'antica porta è emerso durante una ricerca d'archivio condotta dall'amico F. Magnanti, nel corso dei nostri studi sul sito di Atena Lucana. Nell'occasione fu da lui rinvenuto un documento in cui si faceva riferimento ad un'abitazione e di una sua "porta ad Aquilonem", poi chiusa.
Da qui la sua ipotesi, per me logica, di poter ricondurre il nome dell'attuale Porta d'Aquila alla sua posizione rispetto al punto da cui soffia il vento di Tramontana, chiamato appunto Aquilone. Plausibile infatti, far risalire il nome della porta ad un originario "Porta ad Aquilonem" o forse, come nel caso del circuito murario a Firenze: "Porta contra Aquilonem".
In ogni caso, del tutto inventato e senza fondamento storico la leggenda metropolitana messa in giro da qualche anno e a scopi puramente commerciali, che vorrebbe far risalire il nome ad una mai documentata e provata presenza di aquile nel Vallone Arenaccio.



Il portale di Palazzo Spagna,  fine anni '60

Palazzo Spagna

sempre ad integrazione di quanto contenuto nel citato testo di Mallet, la descrizione data da questo edificio storico di Atena Lucana, la cui fama (ovviamente a livello locale) è seconda soltanto a quella di Palazzo Caracciolo, è la seguente: Palazzo Spagna, databile intorno alla fine del Seicento, ha in facciata un bel portone in pietra al centro del quale è posto lo stemma della famiglia […]e ancora “Palazzo Spagna: portale barocco
Una prima precisazione va fatta proprio a riguardo della descrizione poco felice delle componenti architettoniche: i portoni si costruiscono in legno, magari rivestito di metallo, ma mai in pietra altrimenti, a causa del loro eccessivo peso, non potrebbero essere aperti, venendo così meno alla funzione per la quale sono stati realizzati e cioè di ingresso alle abitazioni. Di pietra sono invece i portali e, riguardo a quello di Palazzo Spagna, importante è la datazione stilistica a mio giudizio non corretta, poiché anticipata di un paio di secoli. 
Lo stile Barocco in Architettura cominciò a svilupparsi a partire dal 1630 e non fu subito accolto con favore, specialmente dai fautori di un maggiore purismo stilistico che, tra le pecche di questo linguaggio, principalmente, individuavano proprio la sua mancanza di regolarità conseguente all'uso preponderante di forme dall'andamento sinuoso. Ellissi, spirali ed ogni sorta di costruzione policentrica sostituiscono infatti la razionalità dell'arco a tutto sesto, così come le linee sinuose sostituiscono la linea retta. La meraviglia ottenuta dalla forte teatralità, dalla decorazione eccessiva (talvolta esasperata), dai giochi di ombre negli articolati volumi, dovevano stupire. Riportare in questa sede le motivazioni di tale scelta stilistica sarebbe inutile e forse per alcuni anche noioso e perciò rimando, coloro i quali avessero interesse ad approfondire l'argomento, ai testi di storia dell'Architettura. Basti solo aggiungere che lo stile barocco rappresenta una chiara infrazioni a regole codificate e che tende a negare proprio gli aspetti di equilibrio ed armonia a fondamento dell'architettura classica, per concentrarsi invece sugli effetti formali ottenuti dal contrasto tra norma e deroga.
Osservando il portale di Palazzo Spagna, appare evidente che tali scelte stilistiche non sono invece predominanti nella sua composizione.
Riminiscenza chiaramente barocca sono le volute con angioletti ai lati dei piedritti, che invece si rifanno ad elementi dell'architettura classica (greca e romana), recuperati e riproposti negli stili architettonici successivi, sebbene ogni volta con differenziazioni. Come i suddetti piedritti, riminiscenze dell'Architettura antica sono anche i triglifi, altro elemento decorativo presente già in quella greca e poi ripreso da quella romana e che consistono in un fregio inserito nelle trabeazioni dell'ordine dorico, alternatamente alle metope
Ancora di riminiscenza classica, stavolta tipico dell'Architettura romana, è l'arco a tutto sestoelemento portante fondamentale e di larga diffusione nell'Architettura Romanica, poi abbandonato in favore di quello a sesto rialzato (o ogivale) nell'Architettura gotica, ripreso in quella rinascimentale con la riscoperta dell'architettura classica ed in particolare di quella dell'antica Roma e, di di nuovo “in disgrazia” nel periodo barocco, sarà ancora in auge nell'Architettura neoclassica.
Il barocco, com'è noto, è un movimento che muove dal manierismo, come questo dal rinascimento ed è proprio in questa evoluzione degli stili che è riposta la giusta chiave di lettura del suddetto portale.
Al di sopra della trabeazione appena descritta vi è un arco spezzato, altro elemento architettonico di rilievo nella composizione e che allude a quell'utilizzo tanto raffinato quanto disinvolto degli ordini classici che, come in questo caso, si spinge fino alla negazione della funzione strutturale. Questa tendenza è tipica dell'Architettura manierista, così come venne etichettata la tendenza non solo dell'Architettura ma di tutta l'arte, a partire dalla metà del XVI.
L'invenzione di questo artificio scenografico lo si deve a Michelangelo Buonarroti, uno dei geni dell'architettura italiana che lo utilizzerà la prima volta nella tomba di Lorenzo De Medici a Firenze e poi nel 1560, addirittura racchiuso nel frontone triangolare di Porta Pia a Roma, tanto per citare soltanto due tra gli episodi più noti. Al di sopra dei due mezzi archi ribassati, ancora un richiamo al barocco, dato dalle due "fiaccole".
Presi separatamente, nel portale lapideo di Palazzo Spagna troviamo riferimenti a svariati stili architettonici, ma non bisogna dimenticare che nella metà del 700 l'Architettura approdava ad una sorta di sincretismo il cui risultato fu la mescolanza, in una sola opera, di più linguaggi architettonici. Questo nuovo stile che, così come già l'Architettura del Rinascimento, guardava ancora una volta al passato, fu denominato neoclassicismo e rappresentò un fenomeno di portata internazionale che trovò la sua massima caratterizzazione nell'eclettismo, un linguaggio che s'impose per tutta la prima metà dell'ottocento. Passando per il neogreco, il neoromanico, il neogotico, il neorinascimentale, il neobarocco, ecc. rappresenterà una sorta di “revivalismo” che sarà abbandonato soltanto a partire dal 1893, quando verrà sostituito dall'Art Nouveau, il primo stile a carattere internazionale, decisamente non storicista.
Una più attenta lettura della composizione sembra escludere quindi che il portale possa essere barocco, mentre le sue inequivocabili allusioni allo stile dorico sembrano identificarlo piuttosto come neoclassico, posticipando di conseguenza la sua datazione stilistica al XIX secolo.
Come ho avuto più volte modo di dire in passato, questi rimandi stilistici sono riconoscibili nel piedritto scanalato che rilegge le forme della colonna dorica, con tanto di allusione al basamento, all'abaco e all'echino.

Del resto, anche senza volersi cimentare in una lettura articolata del portale, le iscrizioni negli stessi basamenti dei piedritti fanno coincidere l'epoca della sua realizzazione con quella in cui in Architettura era in voga proprio lo stile neoclassico. Nel basamento del piedritto di sinistra si legge infatti che il committente dell'opera fu il Canonico Michele Spagna <<DE SPAGNA HOS LAPIDES MICHAEL CONSTRUXIT ET AEDES>> ed in quello di destra la data 1807 e il nome dello scalpellino, tale Francesco Pitetti di Padula <<A. D. 1807. FRANCISCUS PITETTI DE PADULA F. (fecit)>>.


Palazzo Spagna, particolare del portale

Da queste informazioni possiamo dedurre inoltre che il materiale con cui è stato realizzato il portale è il lapideo calcareo che si estrae storicamente nelle cave di Padula, da sempre pietra da costruzione di un certo pregio e perciò utilizzata (così come quella che si estraeva a Teggiano) negli elementi rappresentativi dei maggiori monumenti del Vallo di Diano.
Difficile credere, infine, che un palazzo che si vorrebbe datare alla fine del 600, soltanto duecento anni dopo sia stato completato con il portale.
Una nota a margine: l'effetto prospettico cercato e ben ottenuto dalle scanalature dei piedritti del portale, nella trabeazione e anche nel sottostante arco a tutto sesto, enfatizzati con competenza anche dall'uso di una lavorazione diversa dei lapidei nella signorile scala antistante l'edificio, sono stati purtroppo mortificati da un discutibile intervento urbanistico degli anni 90. Quest'ultimo consiste in un uso massiccio ed ingiustificato di porfido a scaglie, esteso senza soluzione di continuità dalle scale, all'adiacente "muro della salita della piazza". Senso dell'arredo (o piuttosto: dell'orrido) urbano tutto atinate e che (purtroppo) ancora non è passato di moda, come ho già messo in evidenza nella descrizione del più recente intervento alla Schifa. 

Tutto questo, sempre nella speranza di essere stato di essere stato utile all'università di Atena Lucana.

© Arch. Angelo Sangiovanni

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