"Le antiche religioni con i loro simboli sublimi e ridicoli, bonari e crudeli,
non sono cadute dal cielo, ma sono nate in quest'anima umana,
la stessa che vive ancora oggi in noi.
Tutte quelle cose, le loro forme primordiali, vivono in noi
e possono in qualunque momento assalirci
con forza distruttiva,
in forma cioè di suggestione di massa, contro la quale il singolo è inerme."
"Le antiche religioni con i loro simboli sublimi e ridicoli, bonari e crudeli,
e possono in qualunque momento assalirci
con forza distruttiva,
in forma cioè di suggestione di massa, contro la quale il singolo è inerme."
Carl Gustav Jung, "L'Io e l'inconscio",1928
Secondo
antiche credenze, ogni soglia aveva i suoi custodi ed ogni
attraversamento di queste, ogni penetrazione in uno spazio interno
implicava, con lo stesso, un patto solenne1.
Per questo motivo, in alcune occasioni e, senza rendercene conto,
spesso ripetiamo antichi riti il cui significato ci è sconosciuto,
rispettando insegnamenti conservati e tramandati dalla tradizione popolare.
Ripetiamo gesti e formule così come sappiamo di dover fare e, spesso, senza avvertire minimamente l'importanza di quell'insegnamento che
gli avi ci hanno tramandato, convinti del loro
potere apotropaico e della protezione di cui i posteri avessero
bisogno e che la ripetizione di quei gesti e di quelle parole, avrebbero garantito.
Le
porte nelle mura domestiche, così come un tempo anche quelle nelle mura della città,
consentono ora come allora l'accesso ad un luogo intimo e perciò bisognoso di protezione, tanto da dover essere
affidato a divinità tutelari e per capire quanto ciò sia vero, guardiamo ad alcuni esempi del passato. Il sistema
viario del mondo romano, come la sua urbanistica, muoveva
dall'incrocio tra i due assi principali Cardo (con andamento
Nord-Sud) e Decumano (con andamento Est-Ovest) e prevedeva perciò la
presenza di 4 porte ubicate ai loro estremi. Com'è noto, il
protettore delle porte nell'antica Roma era Giano, una divinità bifronte
perché il suo compito era presiedere non solo alle partenze ma anche
agli arrivi. Sebbene l'opinione di Servio sul numero ideale delle
porte di una città fosse diversa, nella convinzione che queste
dovessero essere tre, anche lui concordava sulla necessità di una
loro protezione e raccomandava di dedicarle a Giove, Giunone e Minerva, divinità di origine estrusca.
Anche
nel mondo greco vi erano divinità a protezione delle porte ed anche lì era una divinità con più facce. L'equivalente greco del dio Giano si chiamava Hermes e, a differenza di Hestia che nella mitologia greca simbolizzava il focolare e quindi il centro del luogo circoscritto
della casa2, questi rappresenta tutto ciò che non è chiuso e stabile e perciò:
il movimento, il passaggio, la transizione. Proprio per questo suo compito di presiedere al mutamento di stato, al contatto tra elementi
estranei, al passare, era sotto la sua protezione anche la porta, che era il tramite del
passaggio dall'esterno all'interno. Del resto, egli stesso ladro a cui
nessuna serratura poteva resistere, chi meglio di lui avrebbe potuto assolvere il compito di fermare gli altri ladri?
La
presenza sulle porte, di maschere raffiguranti gli dei serviva quindi a rendere
simbolicamente presente un'essenza divina o demoniaca a loro protezione e testimonianze
di divinità a guardia delle soglie sono perciò presenti in tutte
le civiltà del mondo. L'immagine antropomorfa posta a tutela di un
varco più antica di cui si ha conoscenza, risale a dodicimila anni prima della nascita di Cristo (paleolitico) ed è stata
rinvenuta in Francia, incisa su di una pietra all'entrata di una
grotta. Questa incisione è dunque la prima di una grande produzione
di immagini poste a protezione di porte di città3 o di abitazioni, punti più facilmente vulnerabili, potenziali passaggi tra l'interno e l'esterno. A seconda delle epoche e dei luoghi, queste immagini rappresentavano antenati,
divinità o esseri mostruosi e fantastici il cui compito era impedire l'accesso attraverso le necessarie brecce
nella “recinzione” eretta intorno alla propria intimità, come le porte, le finestre o anche i buchi realizzati sul
tetto (magari di semplice paglia) per permettere al fumo del focolare
di fuoriuscire.
Porta dell'Arco a Volterra |
Ma
oltrepassare una porta è anche un atto dall'alto valore simbolico,
perché l'azione che si compie non implica soltanto una semplice
mutazione degli spazi occupati fisicamente con il proprio corpo, ma
presuppone un mutamento di stato, l'attraversamento di un confine
anche ideale e che perciò simbolizza una crescita (nel senso di
acquisizione di nuove conoscenze), se non addirittura una rinascita.
Ovvi perciò i motivi della grande importanza data, fin dagli albori
del tempo, al mezzo per il passaggio da uno spazio esterno, estraneo
e perciò ostile e potenzialmente pericoloso, ad uno interno,
familiare, protetto e quindi più sicuro. La porta, con il suo essere
aperta o chiusa è, nel contempo, tramite o confine, consentendo o
vietando l'accesso allo spazio cui da adito, concedendo o negando il
passaggio attraverso essa. A seconda del suo stato, sinonimo di
libertà o costrizione e di ogni cambiamento di stato connaturato ad
ogni passaggio-attraversamento, di cui Hermes e Giano erano custodi.
Tornando
alle maschere apotropaiche poste a tutela delle porte, ancora oggi è
controversa l'origine della nascita della tradizione dell loro uso
nel territorio italico. Secondo alcuni studiosi l'origine è celtica
poiché, come riportato da Strabone e Diodoro Siculo, per queste
popolazioni
la
testa rappresentava la
sede
delle
maggiori virtù dell'uomo e per questo vi era l'usanza, presso i
guerrieri gallici, di abbellire le proprie case con le teste dei
nemici uccisi. Secondo pochi altri, invece, l'usanza potrebbe invece
risalire alla civiltà etrusca e romana, data la grande importanza
delle maschere presso queste civiltà, ereditata in occasione dei
contatti con la civiltà greca. Interessante rimarcare l'importanza
presso i greci della maschera del sileno, frequente simbolo di morte.
Si potrebbe perciò pensare alle maschere come figure alludenti a
spiriti tutelari della casa, quali i penati o i lari domestici e
perciò, se mi si consente il parallelo un po' forte, antesignane
delle foto dei cari defunti che è ancora possibile rinvenire, in
molti paesi del sud Italia, appese alle pareti delle camere da letto,
credo anche con funzione protettiva dei familiari vivi e nel momento
in cui sono più indifesi, cioè durante il sonno4.
L'ipotesi
però più accreditata sembra però essere quella di un'origine
germanica, collegata alla tradizione dei goti e dei longobardi di
esporre le teste mozzate dei nemici uccisi, fuori dalle proprie
dimore, così da potersi impossessare del loro valore. Presso i
longobardi, vi era l'uso di trasformare il cranio dei nemici uccisi
in coppe in cui bere, forse
in base ad un rituale sacro. Allo stesso tempo, la funzione delle
teste mozzate era apotropaica contro gli spiriti maligni e le
negatività in genere5.
Ma,
come recita la frase di Joung precedentemente riportata: “Le
antiche religioni con i loro simboli sublimi e ridicoli, bonari e
crudeli, non sono cadute dal cielo ma sono nate in quest'anima umana,
la stessa che vive ancora oggi in noi." Pertanto la
funzione apotropaica
di certi oggetti non può essere compresa appieno senza i necessari
ed opportuni riferimenti alle antiche credenze relative al maleficio,
che persistettero per tutta l'epoca medievale e che, in alcune
culture si sono tramandate, sebbene mutate, fino ai giorni nostri.
Agli occhi dell'uomo contemporaneo, che ha acquisito nel corso dei
secoli notevoli conoscenze, facendo importanti scoperte nel campo
scientifico, dall'astronomia, alla fisica, alla medicina e che in
virtù di queste può vivere una vita confortata da un buon numero di
certezze, credere al maleficio, all'occhiatura, alle maledizioni, ai
cattivi presagi, agli uccelli del malaugurio, può apparire ridicolo.
Ancora più risibili, i metodi escogitati per scongiurare questi
pericoli: maschere apotropaiche, amuleti, formule e gesti di
scongiuro che vengono tramandati per proteggere i propri figli e che
diventano così tradizione che si tramanda di generazione in
generazione. Inconsapevolmente però, insieme alla cura, i nostri avi
ci hanno tramandato anche il timore per i mali che queste avrebbero
dovuto curare. E così, ad una più attenta riflessione, il “mille
e non più mille” non è molto lontano dal timore che noi stessi
(se non tutti, molti di noi), seppure forti delle nostre verità
scientifiche, abbiamo avuto dell'anno duemila (e del millennium bug) o della profezia Maya
che voleva la fine del mondo il 21/12/2012. Ora siamo qui a riderne e
a cercare i segni di nuove profezie, però solo qualche mese fa,
in tutto il mondo, c'era chi assaliva i supermercati per fare scorta
di generi di prima necessità. Questo dovrebbe insegnarci che per
capire determinate dinamiche e le credenze che le hanno ispirate,
bisogna necessariamente calarsi, seppur sommariamente, nel contesto
storico di un'era in cui non vi era alcuna certezza, a partire
dall'assenza di stabilità politica ma vi era invece il continuo
timore per la propria incolumità personale e di quella dei propri
cari, non solo per le frequenti guerre, più o meno locali, ma anche
per le innumerevoli razzie, le facili epidemie, le continue carestie
ed ogni sorta di altra sciagura. In un tale contesto di persistente e
forte paura dell'ignoto, era quindi naturale per l'uomo del Medioevo,
impotente di fronte ad una grande quantità di pericoli di un mondo in
continuo mutamento, le cui cause non conosce e comprende, attribuire
queste ultime all'operato di entità maligne. Da qui la ricerca di
metodi con cui l'essere umano può combattere forze avverse di
origine sovrannaturale, quali appunto la preghiera o l'uso di
specifici oggetti cui si attribuivano poteri magici. Tra questi la
croce o i grani di rosario in corallo, per i cristiani, la custodia
del testo biblico, per gli ebrei, le maschere o le parti del corpo di
determinati animali (denti di lupo, zampe di coniglio, ecc.) o anche
monili con determinate forme ed in particolari materiali (corna di
bovini, ferri di cavallo, ecc.), per
i pagani6.
Alla
fine, quello che emerge come termine comune è che, in tutte le
civiltà, la funzione simbolica di alcuni gesti o di determinati
oggetti è sempre stata tenuta in grande considerazione. Una
società senza simboli è perciò inimmaginabile, proprio perché,
venendo a mancare la funzione simbolica, finirebbe per venire a
mancare anche il mezzo che da sempre permette la relazione tra
l’umano ed il sovrumano. E'
attraverso il simbolo infatti, che si rafforzano
i legami di appartenenza tra gli individui ed è sempre grazie a
questi che è possibile la sopravvivenza della comunità secondo le
modalità che la caratterizzano.
Quest'ultima
considerazione ci riporta all'inizio dello scritto e ci rende più
facile comprendere il perché ancora oggi, sebbene spesso se ne sia
perduto il senso, alcuni simboli protettivi ci siano stati tramandati
addirittura dal paleolitico, come nel caso delle citate maschere
apotropaiche. I soggetti più spesso raffigurati, dovendosi
combattere il terrore con il terrore (“similia
cum similibus curentur”),
sono figure antropomorfe o zoomorfe che avevano in comune appunto
l'aspetto terrificante. Erano perciò spesso fiere o figure
demoniache con le fauci spalancate e dalle lunghe corna oppure figure
che in un gesto artistico di maggior pregio, denunciavano più
schiettamente le loro origini classiche, come il frequente satiro (o
sileno, con i quali i primi vengono assimilati) con la lingua di
fuori, visibile ad esempio nel nostro comune a via Borgo, nella
chiave di volta del palazzo della famiglia Mango.
Il Sileno e i leoni di casa Mango in via Borgo |
Richiami a temi
classici che una volta erano ornamento delle antefisse dei templi
greci e romani e che potrebbero testimoniare, al di là degli scritti
di G. B. Curto e M. Lacava, la presenza nel nostro comune di una
grande quantità di vestigia del passato, visibili. Insieme a satiri
e gorgone, troviamo spesso anche il dio Eolo con le guance gonfie,
nell'atto di allontanare con il suo potente soffio, le possibili
minacce incombenti sulla casa.
Ma
nella cultura contadina, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia, senza
risparmiare alcuna civiltà o epoca storica, anche ad altri simboli
era riconosciuto potere apotropaico e tra questi vi erano le
conchiglie (che simbolizzavano anche l'accoglienza, oltre ad essere simbolo legato alla Madonna), il lupo citato
da Plinio7,
il leone. Alcuni di questi esempi sono ancora visibile nelle chiavi
di volta dei portali di vari palazzi del nostro Centro Storico,
dentro e fuori le mura. Hanno, per me, funzione apotropaica i leoni
scolpiti nei conci di pietra alla base del portale della citata
residenza Mango. Sempre al Borgo, la testa in pietra con
l'anello per legare le bestie da soma, murata nei pressi
dell'ingresso alla mia abitazione, quello che nel tempo ho scoperto essere una seconda abitazione costruita dai Marino, di fronte alla prima, le cosiddette "case Mango", come riportate in G. B. Curto. In occasione di alcuni lavori da me condotti nel 2015, ho scoperto che il volto quasi totalmente nascosto per almeno un secolo da successivi strati di intonaco posto in facciata, in realtà è parte di una stele funeraria, forse gravemente danneggiata, da cui è stato rimosso e poi murato nella facciata del "palazzo". Il rinvenimento è stato da me immediatamente segnalato all'allora Soprintendente ai Beni Archeologici Dott.ssa Anna Di Santo. che la fa risalire al I-II sec. d.C.
La testa scolpita murata nella facciata di Palazzo Marino |
Sempre presenti
sulla facciata principale di Palazzo Marino, ad ornamento dei
davanzali delle finestre del primo piano, quelle che erano state scambiate da qualche autore per "teste di cherubini o di
putti". Avendo avuto modo di osservarle meglio nel dettaglio, sempre in seguito ai suddetti lavori di pulizia in facciata, oggi sono convinto che la loro vera identità sia quella di giovani novizi. Molto più leggibili ora i dettagli che permettono di riconoscere i collari sotto una tonaca del tipo in uso anche a fine Settecento. Il fabbricato infatti risale al 1781, epoca in cui lo fece costruire l'Abate Severiano Marino. Anche questo dettaglio riguardo il committente, rafforza la mia convinzione e mi porta ad escludere, di conseguenza, la loro funzione apotropaica13.
Esempi di maschere e figure con potere apotropaico sono invece ancora rinvenibili nelle chiavi di volta di alcuni palazzi in Via San
Nicola e Via Santa Maria, quindi all'interno della cinta muraria
medievale e che rappresentano conchiglie, volti di Eolo e code di
pavone.
Coda di pavone |
Conchiglia nella chiave di volta di un altro portale del centro storico dentro le mura |
Conchiglia (ed Eolo soffiante?) nella chiave di volta di un palazzo diruto, all'interno delle mura medievali |
Oltre a questi esempi più “aulici”, anche altri simboli
apotropaici sono comuni nella nostra tradizione, come le corna di
bovini o ferri di cavallo o anche scope, appese all'uscio.
Chiaramente questi oggetti, un po' perché disconosciuti dalle nuove
generazioni, un po' perché per loro stessa natura sono più
facilmente deteriorabili e rimovibili, non godono della stessa
longevità dei simboli in pietra e quindi tendono a scomparire con
più facilità, tanto che non ne ho potuti censire.
Ma
la maschera più antica ancora conservata nel centro storico di Atena
Lucana ritengo sia quella ancora visibile nella facciata principale
della Chiesa di San Nicola e che rappresenta un unicum che, per la
sua stessa natura, esige una trattazione a parte. Innanzitutto non è
apposta alla facciata di un'abitazione ma, unico caso di mia
conoscenza nel nostro territorio, in quella di un edificio sacro, la
Chiesa di San Nicola, appunto. Non avendo rinvenuto notizie, né di una
sua totale rovina in occasione dei disastrosi terremoti del passato, né di
una conseguente integrale ricostruzione in epoche relativamente più recenti8, si potrebbe anche ipotizzare, sebbene poco probabile, che
l'inserimento della maschera nella sua muratura sia coevo
all'edificazione dell'edificio stesso e che perciò risalga al
periodo tra la fine del IX e l'inizio del X secolo.
La "marcolfa" di Atena Lucana murata nella facciata della Chiesa di San Nicola |
E' un manufatto
di calcare scolpito in bassorilievo, rappresentante un volto
probabilmente maschile, privo di orecchie, con le orbite degli occhi ovali e senza pupille. La bocca aperta, ma non
spalancata, è anch'essa ovale, mentre il naso, largo e schiacciato,
continua nelle arcate sopraccigliari.
L'opera, che non mi sentirei di definire rozza nell'esecuzione,
per le sue fattezze mi ha riportato alla mente le cosiddette
“marcorlfe”,
molto comuni nel territorio altorenano tra
Toscana ed Emilia9.
Proprio
in Toscana, nel comune di Sieci, agli inizi degli anni '90, mi è
capitato di vederle per la prima volta. Sarebbe
interessante condurre una ricerca anche negli altri comuni del Vallo
di Diano, alla ricerca di ulteriori esemplari di queste o altre
maschere apotropaiche.
Una testa leonina murata su quello che doveva essere l'originario ingresso di questa antica casa di Sieci (Fi) |
Una
considerazione personale: mentre le maschere di pietra degli edifici
romanici dovevano svolgere una funzione principalmente apotropaica,
non sono sicuro si possa dire lo stesso delle maschere litiche che ho
rinvenuto apposte sui muri esterni delle nostre case o nelle chiavi
di volta dei portali. Per la loro ubicazione, limitata alle case di
nobili o notabili databili tra la metà del Settecento e la fine dell'Ottocento,
quindi in pieno periodo neoclassico, sono infatti convinto che siano
una consapevole citazione di un segno della classicità e che
pertanto la loro funzione sia più ornamentale che protettiva, anche
se nel nostro contesto culturale non si può certo negare la presenza
di una diffusa superstizione. La loro ubicazione, come dicevo, non è
però oggi rinvenibile nell'edilizia minore, come magari sarebbe
logico aspettarsi in una società contadina, magari poste anche a
protezione di stalle o granai, anche se ho un lontano ricordo della
presenza, presso alcune masserie, di ferri di cavallo appesi vicino
alla porta d'ingresso. Ritengo inoltre che queste maschere, simboli
di una cultura antica e pagana una volta fortemente radicati nella
cultura contadina siano state, presso di questa, progressivamente
sostituite nelle loro funzione protettiva della casa (anche se non
del tutto), da simboli vicini alla religione, più che alla
superstizione. Questo mia convinzione credo giustifichi ampiamente
anche la loro assenza nell'edilizia minore contemporanea e la
presenza nell'edilizia minore atinate sette-ottocentesca, delle
edicole sacre o “verginine”, così come sono conosciute in alcune
parti d'Italia, essendo
appunto quella della Vergine (insieme a quella del crocefisso)
l'immagine al loro interno più frequente.
Nulla invece mi è possibile dire con certezza sulla loro precedente
presenza in quanto i forti eventi sismici, che interessano la zona
ciclicamente, hanno cancellato ogni traccia di un'edilizia minore più
antica.
Già
in epoca romana, le edicole (aedicula:
diminutivo di aedes
=
tempio) erano erette in onore e memoria di lari e penati, affinché
proteggessero le mura domestiche. Nel Medioevo si diffuse poi
l'usanza di erigerle nelle chiese e, a partire dal Rinascimento, le
troviamo anche sulle facciate o agli angoli delle case. Quelle che
sono sopravvissute nel nostro territorio, per le cause appena
descritte, si possono far risalire ad epoche relativamente recenti ed
hanno tutte in comune il carattere prevalentemente devozionale. Non
ho mai rinvenuto invece, né ho raccolto memoria dagli anziani, di
edicole poste agli incroci o lungo strade e sentieri, che sono invece
presenti in altre aree del territorio italiano10.
La verginina presso l'edificio dell'ex monta taurina a Sieci (Fi) |
L'urbanesimo
ha dunque contestualizzato diversamente questi antichi segni della
protezione, spostandoli dalle campagne alle in città, dagli incroci
dei sentieri ai vicoli e alle facciate delle case, creando una nuova
tradizione non più ai margini dell'abitato ma al suo interno. La
protezione richiesta non è più quella del viandante per il suo
viaggio ma per il focolare domestico e la propria famiglia, magari
insieme alla stalla sottostante, piuttosto che per l'attività
artigianale. Cambia il luogo da proteggere e di conseguenza muta il
segno, che si adegua al nuovo contesto ed alla nuova realtà.
Simboli di protezione e di fede per i quali oggi, come già detto, mi è difficile, se non impossibile, risalire alla precisa data della loro realizzazione ma per le quali si può logicamente supporre che, essendo ricavate in una muratura in pietra, è più probabile che siano state costruite in contemporanea alla stessa, che ricavate in essa in una fase successiva. La loro presenza in tutti gli elementi della schiera su Via Di Santi, nel tratto alle spalle del campo di calcetto, mi induce a credere che ad un certo punto della storia di Atena, la loro costruzione fosse di uso comune o forse anche una vera e propria tradizione legata al culto mariano e magari nata in conseguenza di un evento particolarmente disastroso e luttuoso, quale quello sismico del 1857. Ma siamo soltanto nel campo delle ipotesi.
Una verginina sulla facciata di una casa all'interno del centro storico dentro le mura
|
Altra edicola votiva del centro storico dentro le mura. L'immagine in essa contenuta è ormai fortemente danneggiata |
Ancora un'edicola votiva (vuota) del centro storico dentro le mura |
Simboli di protezione e di fede per i quali oggi, come già detto, mi è difficile, se non impossibile, risalire alla precisa data della loro realizzazione ma per le quali si può logicamente supporre che, essendo ricavate in una muratura in pietra, è più probabile che siano state costruite in contemporanea alla stessa, che ricavate in essa in una fase successiva. La loro presenza in tutti gli elementi della schiera su Via Di Santi, nel tratto alle spalle del campo di calcetto, mi induce a credere che ad un certo punto della storia di Atena, la loro costruzione fosse di uso comune o forse anche una vera e propria tradizione legata al culto mariano e magari nata in conseguenza di un evento particolarmente disastroso e luttuoso, quale quello sismico del 1857. Ma siamo soltanto nel campo delle ipotesi.
Le nicchia votiva (vuota) di una casa a schiera di via G. Di Santi |
Le nicchie votive (vuote) di altre case a schiera di via G. Di Santi |
Nicchia votiva di una casa a schiera di via Borgo |
Un'edicola votiva (verginina) in un rudere di casa colonica in località San Vito |
Particolare della verginina del rudere in località San Vito. Ancora riconoscibile il manto azzurro di una figura femminile che, con molta probabilità, rappresentava la Madonna. |
Verginina nella frazione di Atena Scalo |
Una
variante più ricca sotto tutti i punti di vista, è l'immagine sacra
impressa su pannelli ceramici, composti da piastrelle di forma
regolare, generalmente con dimensioni varianti tra i 10 e i 20
centimetri di lato. Questa usanza, più recente e presente con alcuni
esempi anche ad Atena Lucana, si è invece diffusa tra l'ottocento ed il primo trentennio del novecento.
Esempi
di edicole votive affrescate sulle facciate o formate da piastrelle
di ceramica, sopravvivono ancora ad
Atena Lucana.
Come appare evidente dalle foto, le edicole votive atinati sono quasi tutte ormai desolatamente vuote, forse perché considerate con troppa facilità espressioni artistiche di fede religiosa di scarso valore artistico e simbolico ma, mio giudizio (e non solo mio, fortunatamente), importanti segni di
una cultura religiosa popolare che, come abbiamo visto, affonda le
proprie radici in epoche lontanissime e che, sopravvissuta per secoli ad avversità di ogni tipo (intemperie, guerre, terremoti),
rischia di andare completamente ed irrimediabilmente perduta nel giro di pochi anni, vittima dell'incuria e del disinteresse.
Edicola votiva, in piastrelle dio ceramica, dedicata a S. Antonio di Padova (casa del centro storico dentro le mura medievali) |
Dettaglio dell'edicola votiva dedicata a S. Antonio di Padova |
Chi le guarda più sulle facciate delle case più antiche di Via Borgo e del centro storico?
Chi ha notato la loro numerosa presenza (desolatamente vuota) nella
citata schiera di Via Di Santi?
Forse le immagini sacre di alcune nicchie votive che appaiono vuote, in realtà sono state nascoste da
uno strato di vernice applicato alla facciata e che le ha forse irrimediabilmente
cancellate e di sicuro condannate all'oblio. A queste si uniscono poi, quelle perdute perché affrescate in nicchie più esposte alle ingiurie del
tempo e quelle vuote perché contenenti oggetti sacri rimovibili (come quella in via Borgo che per fortuna ancora esiste).
Confrontando
i dati di questo breve studio, a mio parere,
un'importante verità e cioè la convivenza secolare di segni appartenenti al mondo del sacro e del
profano. Convivenza nell'animo umano, credo, prima ancora che
nell'architettura e che solo in alcuni casi diventa graduale e naturale sostituzione.
In
ogni caso, le verginine, come le maschere apotropaiche, restano
espressione
di un'arte popolare semplice, talvolta anche rozza, ma proprio per
questo sempre vera, mai dettata da esigenze puramente decorative e
perciò non costretta a da uno stile ma libera di conservarsi e
perpetuarsi come espressione sincera di un linguaggio appartenente
ad una determinata cultura.
Sebbene
siano sempre più numerose le Amministrazioni comunali che finanziano
progetti per la loro catalogazione e recupero, alle quali mi auguro si unisca anche quella di Atena Lucana, il rinnovato interesse
per queste testimonianze della devozione popolare è piuttosto
recente e la loro importanza non è recepita da tutti i cittadini.
Un'ultima
considerazione sulla convivenza nello
stesso contesto, di simboli (maschere apotropaiche sui portali degli
ingressi delle abitazioni) ed immagini sacre (nelle nicchie votive),
per me prova della pacifica convivenza di simboli pagani e
cristiani, di credenze popolari e dettami religiosi e al contempo stridente contraddizione, “naturale” in una civiltà così complessa e ricca come quella
dell'Italia meridionale, in cui quasi
duemila
anni di cristianesimo non sono stati sufficienti a cancellare le
tracce di più antiche credenze pagane.
Ancora
oggi alcuni mal di testa si ritiene non siano causati
da problemi fisici ma da "occhiature" e pertanto non si possono debellare con i
semplici medicinali ma devono essere combattuti e possono essere
sconfitti soltanto ricorrendo ai riti trasmessi dagli anziani (per lo
più tra donne, anche se determinate pratiche non sono ad esclusivo
appannaggio di queste), di generazione in generazione, esclusivamente per via orale, in un alone di
mistero e seguendo rigide regole di un insegnamento antico11. La religio non riesce a sostituire la più vecchia e meglio radicata superstitio ed allora, nella cultura popolare priva di quella rigidità che è propria della speculazione filosofica, le diverse credenze trovano un
naturale equilibrio non solo per la loro sopravvivenza ma anche per
la loro convivenza, dando vita a rituali in cui le formule, miste a
preghiere, pronunciate rigorosamente “senza voce”, accompagnano
gesti altrettanto misteriosi, custoditi dalla tradizione e tramandati
da questa per allontanare l'influenza del maligno, nei secoli dei secoli.
Chiudo con alcune brevi considerazioni attinenti il lavoro di ricerca svolto:
Altri simboli sacri dell'antichità sono ancora visibili, disseminati per le antiche vie di Atena, mentre altri, temo, siano andati perduti, trafugati nel disinteresse generale, o occultati in seguito a lavori di ristrutturazione di case e strade. Alcuni di questi sono stati fortuitamente rinvenuti durante lavori effettuati sulla cappella di S. Giuseppe in Via Borgo, un'antica costruzione che in origine pare fosse dedicata a Santa Caterina D'alessandria. In tale occasione si rinvenne un affresco che si ritiene medievale, raffigurante una figura femminile con un bambino in braccio. Nella parte di muratura a destra dell'affresco, sempre sotto l'intonaco, fu poi rinvenuto un lapideo con incisioni raffiguranti un giglio al centro di due rose a 5 petali. A mio parere, quella riportata alla luce è solo una parte di un bassorilievo che raffigura un un sacerdote. Nelle immagini a confronto ho cercato di evidenziare le lavorazioni che ritengo siano pieghe dell'abito ad altezza del petto, al cui centro vi è il giglio tra le due rose. Più in alto, spalle e attaccatura del collo del sacerdote.
Reperto nella facciata della cappella di San Giuseppe a via Borgo |
Ancora un giglio è presente tra le rose in un altro antico reperto, da anni usato come parte di una fioriera presso una casa del centro storico sul secondo anello viario, proprio alle spalle della chiesa di Santa Maria. Sul reperto sono riconoscibili, oltre ad un giglio incompleto, due rose ad 8 petali, una delle quali purtroppo spezzata circa a metà ed un altro fiore, anch'esso spezzato a metà e quindi non perfettamente riconoscibile, ma che credo riproduca una rosa celtica. Nell'immagine che segue ho riportato una mia ricostruzione, anche se la restituzione delle parti mancanti difetta un po' nella scala.
Il reperto archeologico-fioriera, in una via del centro storico |
Alcune notizie importanti sulle immagini raffigurate nei 2 reperti segnalati: la rosa, di cui il rosone delle cattedrali è una rappresentazione stilizzata, era in origine un fiore sacro a Iside, che divenne in seguito sacro anche a Cibele ed infine alla Madonna. A seconda del numero dei petali assume vari significati, divenendo uno dei simboli più religiosi più complessi. Nel nostro caso specifico:
- la rosa a 5 petali, rinvenuta sui reperti in Via Borgo, rappresenta l’elevazione spirituale dell’uomo, l’evoluzione, la transizione dallo stato profano allo stato sacro. Anche la divinità greca e latina Ecate, dea dalla natura bisessuata e che pertanto veniva definita la fonte della vita con potere vitale su tutti gli elementi, era talvolta rappresentata coronata di Rose a cinque petali, numero che indicava la fine di un ciclo (4) e l'inizio del nuovo (4+1). Simbolo anche della riservatezza, una Rosa stilizzata a cinque petali fu spesso utilizzata per ornare i confessionali con la scritta "sub rosa", per volere di papa Adriano VI, che la fece scolpire sui confessionali come simbolo del sacro vincolo della segretezza che ogni sacerdote deve mantenere nei riguardi dei penitenti che si rivolgono a lui nella confessione, e la locuzione latina “sub rosa” aveva appunto il significato di una cosa rivelata in assoluta segretezza e confidenza.
- la rosa ad 8 petali rinvenuta sul reperto archeologico nel centro storico invece, era simbolo di rigenerazione e per questo veniva portata sulle tombe degli avi e offerta ai defunti. Anche questo è un simbolo dalle antiche origini e dal complesso significato, molto utilizzato nel medioevo e pertanto invito, chi fosse interessato ad approfondire, ad una ricerca specifica.
- la rosa a 6 petali o fiore della vita, invece, è conosciuta con una grande quantità di nomi: rosa dei pastori, rosa carolingia, rosa celtica, stella fiore, stella rosetta, fiore a sei petali, fiore delle Alpi. Appartenente all'iconografia longobarda, ha avuto una grande diffusione nel medioevo quando fu spesso utilizzata nelle architetture civili e religiose.
- infine: il giglio, nell'iconografia cristiana è uno dei simboli associati alla Madonna e quindi, più in generale, alla castità e alla purezza.
La cappella di San Giuseppe in via Borgo |
Mi chiedo se la presenza del bambino in braccio ad una figura femminile (incompleta, purtroppo) ed i chiari simboli sopravvissuti, non vogliano indicare questo antico edificio sacro come luogo di culto sacro alla Madonna, almeno per un parte del suo passato.
Altra ipotesi plausibile è che, quanto rinvenuto sotto l'intonaco della facciata, sia stato trasportato da una sede diversa e che facesse parte in origine di un tempio dedicato a Cibele, visto il legame tra la rosa ed il culto di questa divinità pagana. Se così fosse, questo proverrebbe dal tempio che, secondo un'epigrafe rinvenuta nei pressi, occupava in origine il sito su cui ora sorge il Santuario di San Ciro, nella parte alta del centro storico dentro le mura medievali. Ipotesi plausibile appunto ma non di più, per via della notevole distanza tra i siti dei due edifici sacri, che renderebbe un po' improbabile, vista la quantità di materiale reperibili nella stessa area di via Borgo e di piazza V. Emanuele, la necessità di traslazioni da siti molto più lontani, di materiale lapideo utile per l'edificazione di nuove fabbriche.
Una cosa è certa e lo ripeto da anni ai miei concittadini: un interesse per l'archeologia che andasse oltre il "collezionismo" individuale di opere d'arte del passato, storicamente si fa risalire a J. J. Winckelmann, che viene perciò considerato il padre dell'archeologia moderna. I primi scavi sistemati invece, si sono avuti soltanto a partire dal 1748, riguardavano Pompei ed Ercolano e furono promossi dal Regno delle Due Sicilie. Fatte le debite proporzioni tra i diversi contesti ed il conseguente diverso interesse per l'archeologia, ad Atena Lucana pressoché inesistente per molti anni ancora (così come lamentato dal Troyli)12, dobbiamo accettare il fatto che, per secoli, i ruderi delle civiltà più antiche siano stati considerati dagli abitanti del posto come vere e proprie cave a cielo aperto dalle quali prendere tutto quanto potesse essere ancora utilizzato per la realizzazione di nuove fabbriche.
NOTE:
1) Interessanti a questo proposito gli studi condotti da Mircea Eliade sul simbolismo arcaico e sui rituali che si svolgono sulla soglia delle abitazioni.
3) Tre grandi teste in arenaria, di epoca etrusca, sebbene molto deteriorate dal tempo, sono ancora a guardia della Porta all'Arco, nella cinta muraria di Volterra, dove le ho fotografate in occasione di un mio viaggio nell'aprile del 2009
4) Del resto in alcune civiltà primitive vi era l'uso di conservare il teschio dei propri cari all'interno della propria abitazione, così come documentato da J. G. Frazer.
5) Usanza macabra testimoniata nell'Historia Longobardorum di Paolo Diacono, nell'episodio in cui Alboino costringe la sposa Rosmunda a bere del vino nel teschio del padre Cunimondo, ucciso in duello.
6) Un materiale a cui ancora oggi si attribuiscono poteri apotropaici è ad es. il corallo, con cui ancora oggi a Napoli si confezionano corni e manine scongiuranti, forse ignorando che l'origine di tale usanza è da far risalire addirittura ai caldei. Un monile altrettanto potente è il ferro di cavallo, forse per il suo richiamo alle corna.
7) La conchiglia, come la rosa, era simbolo legato alla Madonna. Celebre la rappresentazione nella Pala di Montefeltro di Piero Della Francesca, in cui la Madonna, come la conchiglia, protegge la perla/Gesù bambino, dormiente sulle sue ginocchia. Il simbolo, anche nel contesto atinate, verrà riproposto come elemento decorativo in ambito architettonico. Talvolta il lupo era sostituito dal cane, altro animale ctonio per eccellenza presente come accompagnatore del defunto, nel regno dei morti, anche presso le antiche civiltà del sud America. In alcune antiche sepolture sono stati rinvenuti infatti scheletri di cani ai piedi dei defunti.
8) In recenti approfondimenti degli studi ho rinvenuto, in merito alla questione delle originarie fattezze dell'edificio sacro e delle sue vicissitudini nel corso dei secoli, purtroppo soltanto un vago accenno a pag. 36 del testo di G. B. Curto "Notizie storiche sulla distrutta città di Atinum Lucana dai tempi incerti fino al secolo XIX". In esso si legge: "[...] vicoletto detto delle Profiche, proprio sopra la diruta Chiesa di S. Nicola, all'uscita che mena al palazzo municipale". Nonostante il riferimento vago e che non specifica l'entità del danno, si potrebbe dedurre, sulla scorta della scelta dell'aggettivo "diruta", cioè diroccata, crollata, che alla data della pubblicazione del libro, il 1901, la suddetta chiesa presentasse danni di una certa importanza e che gli stessi avrebbero potuto plausibilmente interessare anche il suo prospetto anteriore. Conseguentemente, l'inserimento della maschera nell'apparecchio murario potrebbe essere, ipotesi che ritengo molto più plausibile, risalente ai lavori di ristrutturazione del fabbricato.
9) L'etimologia del termine si ritiene risalga al germanico Markulf, composto da Mark = confine e Wolf = lupo e quindi, letteralmente: lupo a guardia del confine. E questo ci riporta a quanto già detto a proposito del lupo e del cane. A questo proposito rimando a questo interessantissimo lavoro di Andrea Signorini: MASCHERE E VOLTI - CATALOGO PARZIALE DELLE MASCHERE LITICHE DELL’ALTO RENO. Anno 2009 – 2010 Aggiornamenti settembre 2011, gennaio e maggio 2012 .
8) In recenti approfondimenti degli studi ho rinvenuto, in merito alla questione delle originarie fattezze dell'edificio sacro e delle sue vicissitudini nel corso dei secoli, purtroppo soltanto un vago accenno a pag. 36 del testo di G. B. Curto "Notizie storiche sulla distrutta città di Atinum Lucana dai tempi incerti fino al secolo XIX". In esso si legge: "[...] vicoletto detto delle Profiche, proprio sopra la diruta Chiesa di S. Nicola, all'uscita che mena al palazzo municipale". Nonostante il riferimento vago e che non specifica l'entità del danno, si potrebbe dedurre, sulla scorta della scelta dell'aggettivo "diruta", cioè diroccata, crollata, che alla data della pubblicazione del libro, il 1901, la suddetta chiesa presentasse danni di una certa importanza e che gli stessi avrebbero potuto plausibilmente interessare anche il suo prospetto anteriore. Conseguentemente, l'inserimento della maschera nell'apparecchio murario potrebbe essere, ipotesi che ritengo molto più plausibile, risalente ai lavori di ristrutturazione del fabbricato.
9) L'etimologia del termine si ritiene risalga al germanico Markulf, composto da Mark = confine e Wolf = lupo e quindi, letteralmente: lupo a guardia del confine. E questo ci riporta a quanto già detto a proposito del lupo e del cane. A questo proposito rimando a questo interessantissimo lavoro di Andrea Signorini: MASCHERE E VOLTI - CATALOGO PARZIALE DELLE MASCHERE LITICHE DELL’ALTO RENO. Anno 2009 – 2010 Aggiornamenti settembre 2011, gennaio e maggio 2012 .
10) Una la fotografai, sempre agli inizi degli anni 90 e sempre a Sieci, dietro il campo sportivo e più precisamente all'incrocio nei pressi dell'edificio dell'ex monta taurina. Purtroppo non mi è stato possibile ritrovare la mia foto e quindi allego l'immagine reperita attraverso Google.
11) L'insegnamento può essere tramandato soltanto alla mezzanotte di Natale ed in segreto, cioè in assenza di testimoni e quindi persone diverse dall'apprendista. L'esecuzione, che comincia in genere con 3 segni di croce, presenta delle differenze, probabilmente dovute al diverso contesto culturale da cui è partito l'insegnamento che si sta tramandando. E' logico supporre che diversi ambiti geografici abbiano diverse credenza ed in base a queste, creato il rito. In alcuni casi, alle formule si alternano gesti come lo sputare oppure posizionare forbici aperte in angoli della casa o anche buttare l'acqua, con cui il colpito da malocchio si è lavato il viso, in 3 punti diversi del vicinato. Anche la verifica dell'esistenza dell'occhiatura è diversa. Alcuni mettono 3 gocce d'olio in un catino con dell'acqua e, se le gocce tendono ad allontanarsi allora il mal di testa è frutto del malocchio. Altra verifica alternativa è il continuo sbadigliare di chi pratica il rito, durante lo stesso.
12) "E se non avessimo altro che la sola raccolta delle poco men, che innumerevoli iscrizioni che si leggean un tempo nei marmi, tra per l'incuria, il poco senno della gente ignorante rotti, e fracassati, e per la lunghezza del tempo corrosi forse molte cose sapremmo delle Atenesi antichitadi, che ignorate ci sono. Ma giacché nostro malgrado, ci siam imbattuti in tempi, in cui ci è di necessità camminar a tentoni...[...]" Troyli - Istoria Generale del Reame di Napoli, Tomo 1°, parte 2°, (in Istoria di Atena Lucana" del Dottore Michele La Cava.
13 A distanza di qualche anno dalla prima stesura di questa ricerca ed in seguito di lavori di pulizia che ho fatto condurre sulla facciata della parte di fabbricato di mia proprietà, ho potuto meglio osservare alcuni dettagli degli elementi in facciata. Ho anche riportato alla luce, dopo oltre un secolo, la scultura utilizzata per legare le bestie da soma. Nessuno dei precedenti proprietari, ad esclusione ovviamente dei Marino committenti, lo aveva mai visto nella sua interezza.
Ho ritenuto doveroso aggiornare e rettificare quanto precedentemente scritto.
Ho ritenuto doveroso aggiornare e rettificare quanto precedentemente scritto.
© Arch. Angelo Sangiovanni
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