lunedì 3 agosto 2015

Le grotte dei saraceni

“Colui che non sa e non sa di non sapere È uno sciocco. 
Evitalo. 
Colui che non sa e sa di non sapere È un fanciullo. 
Istruiscilo. 
Colui che sa e non sa di sapere È addormentato. 
Sveglialo. 
Colui che sa e sa di sapere È un saggio. 
Seguilo.” 

Proverbio arabo


Già in passato ho avuto modo di evidenziare fandonie riportate come episodi della nostra storia, talvolta spacciate ad arte per leggende, nell'intento di renderle più "vere", ricalcando un modo di fare comune anche tra gli antichi autori. In alcuni casi infatti, ho potuto verificare che le notizie tramandateci sono più figlie del campanilismo dei nostri avi che della vera ricerca.
Tra le più fantasiose: la torre tanto alta da cui si poteva vedere il mare oltre gli Alburni. Più recenti: l'atto di cannibalismo a danno di un principe medievale mai identificato, l'esistenza di una fantomatica Università degli (Studi) Atinati,  la creazione dal nulla  di un inesistente Palazzo Di Santi in via Borgo Braida, attuale via Umberto I (col conseguente serio rischio della perdita della memoria dello storico Palazzo Marino), le porte della cinta muraria medievale che si spostano da ovest ad est, la ricostruzione a dir poco bislacca del castello riportata in una pubblicazione degli anni 90 (cui ha fatto seguito quella altrettanto fantasiosa, purtroppo addirittura realizzata qualche anno fa),
Al peggio però non c'è mai fine: è di qualche giorno fa il rinvenimento in internet di un articolo su "Cilentano.it" che cita le fantomatiche grotte, perciò riprendo un mio vecchio scritto e lo adatto all'occasione.



Il percorso per le grotte


Cito l'Enciclopedia Treccani: " SARACENI. - Nome col quale nel Medioevo cristiano europeo sono stati designati genericamente gli Arabi. Il vocabolo, con questa accezione, è del tutto ignoto alla tradizione storica e letteraria degli Arabi stessi (...). Comunque sia, presso gli autori più antichi il nome di Saraceni (Σαρακηνοί) non designa l'intero popolo arabo, ma soltanto una popolazione stanziata sulle coste del golfo di 'Αραβικά Aqaba, nella parte meridionale della penisola del Sinai.(...) il nome dei Saraceni, il cui uso si fa frequente negli scrittori dei due ultimi secoli dell'età antica, finì col designare l'intera stirpe degli Arabi nomadi (...) Non manca tuttavia (così ancora A. Musil, The Northern Ḥeǧâz, New York 1926 pp. 311-12) chi mantiene l'antica etimologia da sharqī "orientale", termine col quale gli Arabi del deserto settentrionale designano tuttora i nomadi razziatori (appunto perché le regioni desertiche, dove hanno sede le tribù dedite al brigantaggio, si trovano a oriente della zona coltivata); e tale etimologia, che mette in rilievo il carattere di predoni dei nomadi, concorda nel senso con l'altra, che ebbe fortuna in passato, secondo cui Saraceni deriverebbe dal verbo saraqa "rubare". Sennonché l'una e l'altra sono insostenibili, in quanto non tengono conto che l'appellativo di "Saraceni", in questa accezione, non si trova nella lingua araba.(...)In significato più ristretto s'indicano col nome di Saraceni quei nuclei di Arabi, provenienti dall'Africa settentrionale, i quali, dopo l'occupazione della Sicilia, nel sec. IX e X, fecero spedizioni e stabilirono stazioni militari lungo le coste dell'Italia meridionale, della Liguria e della Provenza (famosa tra tutte quella di Frassineto; v.), spingendosi, in cerca di bottino, fino ai valichi alpini e in Svizzera."

Il termine "saraceni" indica quindi, nel Medio Evo e cioè nel periodo in cui si suppone abbiano attraversato il Vallo di Diano, l'intero popolo arabo. Soltanto una supposizione perché, a parte un paio di fonti storiche che farebbero intuire un loro passaggio nella nostra valle, ad oggi non abbiamo ancora ritrovamenti che lo testimonino con assoluta certezza.

Il versante nord dell'insediamento antico di Atena Lucana, visto dalla Rupe Rossa. Sullo sfondo: il Vallo di Diano.


Riporto anche un sunto di quanto contenuto in uno dei tanti siti che descrivono la civiltà araba di quel periodo: "Tenevano molto alle buone maniere e il comportamento a tavola era ineccepibile: mangiavano a piccoli bocconi, masticavano bene, non mangiavano aglio e cipolla, non si leccavano le dita e non usavano gli stuzzicadenti. Il gentiluomo musulmano si lavava ogni giorno, si profumava con acqua di rose, si depilava le ascelle e si truccava gli occhi. Per la strada ogni tanto si fermava davanti ai numerosi portatori di specchi per controllare e accomodare la propria acconciatura. Si vestiva con eleganza e non indossava pantaloni rattoppati. I passatempi preferiti dei gentiluomini erano la lotta dei galli, gli scacchi e la caccia. Tra il popolo erano diffusi il gioco dei dadi e quello della tavola reale.
Oltre che nei costumi della vita quotidiana, gli Arabi lasciarono profonde tracce del loro passaggio nella cultura: Palermo sorsero scuole arabe dove si insegnava la sfericità della Terra e i punti cardinali. Lo studio degli astri era molto diffuso e l'astronomia è loro debitrice di molto termini: azimut, zenit, nadir, ecc... Ancora adesso in Sicilia sopravvivono un po' dovunque modelli di architettura araba e quando questa cultura dopo il mille si incontrò con quella normanna nacque la più alta civiltà del medioevo europeo, da cui più tardi derivò quella del Rinascimento.
Anche nell'agricoltura gli Arabi portarono innovazioni: le irrigazioni delle "huertas" (come quelle della "conca d'oro" presso Palermo), colture del cotone, della canna da zucchero e del riso, dell'arancio, coltura della seta, industrie tessili, ceramiche, ecc... Degno di nota è anche il grande sviluppo urbano, i musulmani avevano fissato definitivamente la capitale della Sicilia a Palermo che nel X secolo contava già 300.000 abitanti e in tutto l'occidente musulmano era seconda solo a Cordova. Molti porti sulla costa opposta del Tirreno: Amalfi, Salerno, Napoli, Gaeta erano economicamente nell'orbita di Palermo e della Sicilia musulmana. La moneta del califfato fatimita era il Dinar che aveva corso in tutta l'Italia meridionale ed era imitato altrove. Quando la conquista normanna ( 1061 - 1089 ) riunisce questo territorio musulmano ai territori cristiani d'occidente, gli scambi si fanno più intensi. Le tecniche della coltura della seta e la sua lavorazione arrivano ad esempio nell'Italia settentrionale (Lucca, Venezia).
La Sicilia e l'Italia meridionale hanno acquistato nell'epoca musulmana conoscenze d'ogni tipo, come la Spagna: conoscenze mediche, filosofiche, astrologiche, scientifiche. Questo fenomeno come abbiamo già detto continuerà durante il periodo normanno e alla corte di Federico II, la Sicilia e la Spagna costituiscono i punti più importanti attraverso i quali sono penetrati in Occidente gli influssi orientali, che contribuiranno a determinare quella che sarà l'opera di sintesi del grande Rinascimento italiano."

Giusto per capirci: se dico "i tepee dei pellerossa d'America" o "i tucul degli etiopi" o "gli igloo degli eskimesi" o "le tende dei Tuareg", alludo alle loro abitazioni e perciò, allo stesso modo, se dico "grotte dei saraceni", alludono al fatto che essi, in un certo periodo, per un certo periodo (che deve supporsi sufficientemente lungo), le abbiano abitate. 
Credendo alle grotte dei saraceni ad Atena Lucana in questo senso, dovremmo quindi credere che nello stesso periodo, gli stessi individui che erigevano architetture splendide (palazzi, moschee, ecc.) anche nel nostro territorio, esperti di coltivazioni, che al loro passaggio lasciava profonde tracce nella cultura locale (che stranamente nel vallo non si sono mai trovate), che si depilava le ascelle e si truccava gli occhi, decideva di venire ad abitare, come trogloditi, le nostre grotte, fredde, umide e senza il minimo comfort? Ovviamente tutto ciò è poco credibile e quindi un'eventuale ipotesi di insediamento stabile di saraceni nelle nostre grotte è da scartare.

In verità qualcuno potrebbe obiettare che ad Atena Lucana esiste il toponimo "Saracino" (che significa "Saraceno", nel nostro dialetto), ma è anche vero che, mentre qualche autore del passato ha voluto attribuire la sua esistenza alla presenza di un accampamento saraceno in quel sito (di cui non si sono mai trovate le tracce), altri, invece, più semplicemente, lo ricollegano al cognome di un antico proprietario di quei fondi. In ogni modo, è bene ripeterlo, ad oggi non vi è prova storica della presenza degli arabi nel Vallo di Diano, di conseguenza nemmeno ad Atena Lucana e, pertanto, non esistono prove a suffragio dell'una o dell'altra teoria.  Il Saracino infatti, è un'area che si divide tra un bosco, sito sul versante più a monte e le colture lato valle, che si estendono nell'adiacente località Foresta (nel dialetto locale "a Fresta"). In questi siti, come nell'intera area più alta ad est e sud est dell'abitato, non vi sono grotte, ma abbondano pianori fertili e ricchi di acqua. Va inoltre detto che tale località è un promontorio soleggiato, con una splendida vista sull'abitato stesso e su gran parte della valle, attraversata dalla principale via di comunicazione tra il nord della Campania, la Lucania e la Calabria, realizzata in epoca romana ed oggi ricalcata più o meno fedelmente non tanto dalla S.S. 19 Via Delle Calabrie, come si è creduto per un lungo tempo, ma dall'Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria. Non altrettanto diretto il controllo sulle vie che da essa si diramavano per l'insediamento antico. In sintesi: un luogo distante un paio di chilometri dall'abitato antico (e per questo non sono convinto dell'utilità di un campo militare dei saraceni in quella zona) sebbene comodo ed in qualche misura anche strategico.

Di contro, le cavità naturali del nostro territorio, abbondano sul versante nord, nei promontori vicini ai confini con la Basilicata, ma sono rappresentati da antri con superfici di pochi metri quadrati che suggeriscono, per la loro sola presenza, possibili insediamenti preistorici.
A scanso di equivoci, archiviamo fin da subito la "pratica" della leggenda narrata dagli anziani del posto, in quanto sono nato e cresciuto in questo paese quando i ragazzi e soprattutto i bambini, ascoltavano gli anziani perché erano affascinati dai loro racconti e mai ho sentito questa leggenda, né dai miei nonni, né da altri loro coetanei. Purtroppo, questo della leggenda narrata dagli anziani è soltanto una subsdola trovata per dare una parvenza di veridicità a quanto è, invece, recente invenzione. Ne è prova il fatto che questi "anziani narratori" restano puntualmente anonimi.
Falsa, quindi, la storia dei ritrovamenti durante la seconda guerra mondiale, quando alcune delle suddette grotte furono usate da famiglie atinati come rifugio, mentre altre si ripararono nelle gallerie della Calabro Lucana. Falsa perché le grotte sono state da sempre rifugio di pastori e greggi (oltre che di animali selvatici). Non vi sono, inoltre, notizie di ritrovamenti avvenuti in altre epoche poiché sarebbero stati sicuramente riportati negli scritti degli storici locali.
Falsa anche la leggenda costruita ad hoc dello "sparuto gruppo di saraceni" che, inseguito da tal Siconolfo e dalla sua truppa, si nascosero nelle grotte del vallone, facendo perdere le proprie tracce.
A meno che Siconolfo e truppa a seguito non avessero infilato i copricapo alla rovescia, così che impedissero loro di vedere anche dove mettevano i piedi, i saraceni non avrebbero avuto alcuna possibilità di nascondersi in quei piccoli antri, inutili anche ai ragazzini per giocare a nascondino.
Infatti, come si può leggere sullo stesso sito del Comune: "La grotta si apre in calcari intensamente fratturati. L’ingresso è costituito da ampia caverna che si sviluppa in direzione nord-ovest per una lunghezza di 50 metri. Le pareti laterali presentano una serie di nicchie più o meno profonde, dalle forme comunque tondeggianti; il fondo si presenta con pendenze pressoché costanti di 20° dal fondo verso l’ingresso ed è ricoperto di deposito ghiaioso, tra il quale emerge talvolta qualche blocco di vecchio crollo. La volta presenta un’altezza costante nel tratto iniziale mentre nella parte verso il fondo si alza improvvisamente fino ad arrivare ad un’altezza di 15 metri. La grotta è popolata da una colonia di pipistrelli." - http://www.comune.atenalucana.sa.it/index.php/il-sentiero/le-grotte/grotta-grande


Dettaglio del Vallone Arenaccio con la Rupe Rossa in primo piano

Qui il paesaggio è totalmente diverso, rappresentato da luoghi rocciosi con pendii fortemente scoscesi e non coltivabili, come la Rupe Rossa e gli altri promontori del versante a nord della collina su cui sorge l'insediamento storico di Atena Lucana. Le pareti scoscese del versante nord della collina su cui sorge l'abitato di Atena Lucana e quelle della Serra d'Atena, creano il Vallone Arenaccia, in cui scorre il torrente omonimo, e si affacciano le suddette grotte. Tra queste anche la più grande di tutte, detta appunto Grotta Grande, una stanza unica ampia non più di duecento metri quadrati.

Chiarito che anche la storia del nascondiglio dei saraceni fa acqua da tutte le parti, sempre a scanso di futuri equivoci (le leggende, specie quelle metropolitane, mutano nel tempo arricchendosi spesso di nuovi contenuti), escludiamo eventuali varianti di un loro uso da parte di un esercito saraceno invasore.
Del resto orde di saraceni approdarono sul suolo campano perché richiamati  proprio da Radelchi e Siconolfo, rispettivamente principi di Benevento e Salerno, in guerra tra di loro.
A che pro un esercito invasore avrebbe deciso di risalire il canalone percorrendo sentieri per capre, col rischio di essere travolti dai massi rotolati dall'alto del costone dai difensori dell'abitato, nonché quello prevalentemente roccioso e scarsamente soleggiato e perciò privo di grandi aree coltivate utili ad un esercito che deve approvvigionarsi?
Che utilità avrebbe tratto dall'occupazione di una serie di piccoli, freddi e perciò inutili antri e dare l'assalto ad un centro abitato dal versante meglio difeso naturalmente?

La Rupe Rossa  ed il Vallone Arenaccio visto dall'insediamento antico di Atena Lucana

L'assalto si da scegliendo la posizione più vantaggiosa per gli assalitori e non per i difensori, così come l'assedio si fa tagliando i rifornimenti agli assediati, quindi controllando militarmente le vie di comunicazioni principali e non i sentieri delle capre.
Tutto questo senza contare che ancora oggi e da sempre, gli eserciti in movimento usano le tende per realizzare i propri accampamenti e che gran parte delle popolazioni "saracene" erano anche culturalmente legate a questo tipo di riparo.
Molto più utile creare invece, un campo nell'area oggi occupata dalla piazza e dal borgo extra moenia, un'ampia spianata sita a ridosso dell'abitato fortificato e che rappresenta il crocevia obbligato di tutte le strade da e per l'abitato. Lo stesso sito che gli antichi autori atinati hanno voluto indicare come sedi di molti grandi edifici di epoca romana, tra cui templi, bagni e perfino un "teatro forse anfiteatro".

E con questo credo che abbiamo messo una parola definitiva alla presenza dei saraceni nelle grotte atinati ed a tutte le possibili varianti che si vorranno in futuro creare ed indebitamente attribuire a non ben identificati "anziani del posto".

Allora come si spiega la nascita di questa nuova fandonia che narra di presunte grotte "abitate" dai saraceni?
Succede che, talvolta, un tecnico in cerca di lavoro, s'informa sulle nuove misure finanziate e cerca, tra le varie voci finanziabili, l'ispirazione per un progetto da proporre all'Amministrazione di qualche Comune che potrebbe averne bisogno e dal quale ricevere il tanto agognato incarico.
Cosa del tutto normale, perché noi tecnici di questo viviamo, di incarichi pubblici e privati.
Nel processo però talvolta interviene anche un "esperto di marketing" convinto che, per far finanziare il progetto, non è sufficiente che questo sia ben fatto o che sia veramente utile (forse non è nemmeno necessario), ma deve far colpo presso il funzionario di turno con un nome accattivante. Succede così che per far finanziare il progetto di recupero a fini turistici di un antico sentiero di pastori, sia necessario inventarsi un suo passato storico più prestigioso, magari come antica via che conduce niente poco di meno che alle fantomatiche "grotte dei saraceni".

L'ingresso della Grotta Grande


Le "grotte dei saraceni"  rappresentano un falso storico creato con la stessa logica dell'altrettanto poco credibile "via dei pellegrini" di qualche anno prima e di cui parleremo a tempo debito.
Questi nomi improbabili sono frutto della fantasia e della mancanza di cognizione storica dei suddetti "esperti di marketing" che così creano, più o meno inconsapevolmente, pericolose notizie false al solo fine di promuovere presso gli Enti che dovranno finanziarli, progetti spesso ancor meno credibili dei fantasiosi nomi che gli affibbiano. Tanto, tra le non competenze di chi valuta i progetti, c'è anche la verifica della veridicità di quanto affermato a giustificazione dell'utilità del progetto. Sarebbe però interessante leggere il contenuto delle Relazioni Descrittive di questi progetti, parti sostanziali che, come il contenuto di un articolo di giornale, dovrebbe essere coerente con quanto sintetizzato nel titolo. 
Intanto i politici di turno si vendono il progetto, tra una cena ed un caffè al bar e gli pseudo storici, che nulla hanno imparato da Erodoto, insieme ai giornalisti che niente hanno a che vedere con Bob Hoodward e Carl Bernstein, tra una recensione su internet e l'altra, commissionata per pubblicizzare un locale o una rievocazione storica all'amatriciana, amplificano il falso storico. Questo passa parola senza le necessarie verifiche contribuisce a diffondere in forma virale, il falso storico creato ad arte, fino a farlo diventare verità storica, quanto meno tra coloro che hanno altra formazione scolastica e che si avvicinano a questi argomenti, spinti, nella maggior parte dei casi, più dalla curiosità che da un vero interesse per la propria storia.
Il fatto più grave è che più passa il tempo, più perdiamo il contatto con la nostra vera storia e più confondiamo la cultura con il floklore, il mito con la leggenda metropolitana, il falso con il vero.
Forse sta succedendo perché mancano gli stimoli che ci riportino sulla giusta via. Eppure sarebbe bello ritrovarci tutti insieme, giovani e meno giovani e iniziare questo percorso a ritroso per ritrovare le nostre radici e smetterla di essere foglie in balia del vento ad ogni progetto da far approvare.
Sarebbe invece utile che la Pro Loco si assumesse il compito di smentire queste fandonie in forma ufficiale, contattando i proprietari di questi siti e chiedendo la rettifica di quanto non rispondente al vero. Per difendere la nostra identità e la verità sulle nostre origini. Sarebbe anche utile che la Pro Loco destinasse parte dei fondi che percepisce, per finanziare progetti di ricerca, magari sottraendoli alle suddette rievocazioni storiche all'amatriciana.


© Arch. Angelo Sangiovanni
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giovedì 12 febbraio 2015

La riqualificazione urbana di due aree adiacenti la casa comunale

"Una città non è disegnata, semplicemente si fa da sola.
Basta ascoltarla, perché la città è il riflesso di tante storie."
(Renzo Piano)

Le prima delle due aree adiacenti la casa comunale interessate dall'intervento di riqualificazione urbana è ubicata a nord della stessa, s'identifica col tratto di via G. Di Santi che da Piazza Europa risale la Braida ed è compreso tra le particelle 433 e 470 esclusa. L'altra, di circa 500 metri quadrati, è costituita da un'area assimilabile ad un triangolo con il lato corto delimitato dal prospetto ovest della casa comunale e, per i restanti due lati, dalla Via G. M. Pessolani a sud e da Viale Kennedy a nord. Gli interventi sulla prima area prevedevano l'ultimazione di quelli già eseguiti negli anni passati sul tratto più a monte di Via G. Di Santi e che consistevano nella predisposizione per un futuro intervento di miglioramento dell'illuminazione pubblica ed il rifacimento dei marciapiedi pedonali antistanti l'antica schiera con affaccio su detta via. Gli interventi previsti per l'area ubicata a ridosso della casa comunale, miravano invece al suo integrale recupero.
Una chiara linea di demarcazione tra le due aree di intervento è rappresentato sia dal naturale dislivello tra le stesse, sia dalla presenza di Viale Kennedy, la principale via meccanizzata del paese, che attraversa l'area di intervento in senso longitudinale con direzione est-ovest. Sull'altro lato di viale Kennedy, un'altra piccola area a verde, per la quale l'Amministrazione comunale ha però deciso di intervenire separatamente e, per questioni economiche, in futuro.1
La forte cesura rappresentata da viale Kennedy2  la si percepisce bene dalla prospettiva che si gode dalla sua prosecuzione verso valle, che prende il nome di via Roma e dalla parallela via Borgo Braida, che ugualmente confluisce in Piazza Europa.
Sebbene profondamente diverse nella forma e nella rappresentatività, le due aree d'intervento costituiscono realtà adiacenti e quindi facenti parte di un unico contesto i cui problemi sono stati affrontati e risolti con un progetto di riqualificazione altrettanto unitario.
Sia per amore della brevità, sia perché di aspetto più tecnico, si evita una descrizione più dettagliata degli interventi su via G. Di Santi, per dedicare maggior spazio a quelli che hanno riguardato l'area a ridosso della casa comunale, sicuramente più interessanti sotto l'aspetto della riqualificazione urbana.

IL CONTESTO

Assimilabile ad un triangolo isoscele di circa 500 metri quadri, l'altra area oggetto di intervento è delimitata da via G. M. Pessolani a sud, da viale Kennedy a nord e dal prospetto ovest della casa comunale rispettivamente per metri 55,00 – metri 53,00 e metri 14,00. Divenuta sede di un campo di bocce realizzato circa alla metà degli anni 80 e frequentato fino ai primi anni 90, originariamente questa piccola area verde era uno scampolo di terreno, così come l'altra ancora più esigua posta sull'altro lato dello stesso viale, inutilizzabile per l'espansione edilizia degli anni 70. Divisa tra il campo di gioco vero e proprio (delimitato da una rete metallica a rombi), una piccola aiuola, il marciapiede e l'alloggiamento per la cabina della rete del gas, da oltre un trentennio è luogo spontaneo di socializzazione, in virtù della sua felice ubicazione nella zona del centro abitato con più vita. Mentre la parti occupata dall'aiuola e dal campo di bocce non sono mai state oggetto di specifici interventi di riqualificazione, la parte costituita dal marciapiede, qualche anno fa è stata nuovamente arredata, questa volta con panchine e lampioni in stile Liberty, alberi e fioriere.
La presenza di panchine e la vicinanza, oltre che alla casa comunale, soprattutto alla zona commercialmente più viva del paese, è stato il motivo per il quale questa piccola area verde e l'altra ancor più esigua ubicata sul lato opposto dello stesso viale, sono diventate il principale luogo di aggregazione per giovani e meno giovani, in particolar modo la domenica e nelle serate estive, quando il viale diventa ad esclusivo traffico pedonale.


PROSPETTIVA DA PIAZZA EUROPA VERSO LA CASA COMUNALE (edificio di colore rosa): 
VIA G. DI SANTI (a sinistra), VIALE KENNEDY (al centro) E VIA G. M. PESSOLANI (a destra)

Oltre ai suddetti lampioni, che si rifanno allo stile Liberty, allineati sul marciapiede, nella piccola aiuola e nel campo di bocce erano presenti anche due lampioni del tipo a fusto cilindrico rastremato, con un unico sbraccio posto a circa dieci metri di altezza, ad illuminare via G. M. Pessolani.
La SS 95, ancora oggi, rappresenta la principale via di comunicazione in ambito comunale, in quanto l'unico collegamento con il Vallo di Diano e, di conseguenza, con i principali assi viari che lo attraversano, rappresentati dall'autostrada A3 Sa-Rc, dalla SS 19 Via delle Calabrie e dall'ormai dismessa tratta ferroviaria Sicignano-Lagonegro.


PROSPETTIVA DA PIAZZA EUROPA VERSO IL CENTRO STORICO: 
VIA BORGO BRAIDA (a sinistra) E VIA ROMA (a destra)

Nella sua funzione di principale asse viario meccanizzato, Viale Kennedy è la realtà su cui oggi si concentrano non solo la sede degli Uffici comunali ma anche tutte le attività commerciali del paese, compreso il mercato settimanale, che si tiene la domenica mattina lungo via Roma, prosecuzione in direzione ovest di viale Kennedy.
Anche per questo appare chiara non solo l'importanza di quest'area ma la necessità del suo recupero alla funzione attribuitagli, sebbene in modo confuso nel disegno urbano pensato a cavallo degli anni 70-80, ma che in seguito è stato fatto proprio e meglio interpretato dagli stessi residenti, come luogo d'incontro e socializzazione.

PRIMA

IL PROGETTO

LA REALIZZAZIONE


Sebbene a ridosso della nuova casa comunale, quindi con un'ubicazione centrale e privilegiata, questo scampolo verde, a cui non sono mai state riconosciute le sue reali potenzialità di possibile collegamento tra l'insediamento di epoca medievale e la caotica espansione post anni '70, per lunghi anni è stato oggetto di interventi di riqualificazione soltanto parziali. Soltanto di recente sono state formulate varie ipotesi sulla sua possibile destinazione, tra cui area mista a verde e parcheggi , oppure area a verde attrezzato per i bimbi3.
La mia proposta progettuale, risalente al 2008 ma realizzata soltanto nel 2014, si è discostata dalle precedenti. Muovendo dallo studio del rapporto tra l'area ed il contesto che la ospita, la cui influenza, per le ragioni ben note, si estende all'intero centro abitato, è giunta a conclusioni totalmente diverse su quella che poteva essere la sua migliore destinazione e, di conseguenza, la sicura integrazione con l'articolato contesto di viale Kennedy, rappresentato dagli uffici comunali e dalle attività commerciali. Sono state le conclusioni scaturite dall'osservazione della sua quotidianità e non della particolare vitalità in occasioni di determinati ed occasionali eventi (ad es. feste patronali e festività in genere), a dare preziosi suggerimenti progettuali. Altra fase di studio altrettanto importante sul rapporto tra area e contesto ospitante, si è concentrata sulle prospettive privilegiate da e verso di essa. Le prime sono rappresentate dalla panoramica sulla vita di viale Kennedy, sugli scorci sul centro storico dentro le mura e quelli sull'antico decumano; le seconde sono quelle che si possono godere su di essa da piazza Europa, via Borgo Braida  e via Roma (giungendovi da valle) e da viale Kennedy (arrivando da monte). Dette prospettive sono state analizzate soprattutto in movimento, vedendo ciò che vede il passante e progettate in base alla diversa percezione che questi ha della forma dell'area, al variare della sua posizione rispetto ad essa. 



PRIMA

LA REALIZZAZIONE

L'architettura però, a differenza della pittura, è tridimensionale e pertanto non la si può vivere completamente guardandola dal di fuori ma solo attraversandola. Per lo stesso motivo non la si può giudicare guardando un disegno, che è soltanto la sua astrazione, ma sforzandosi di immaginarla inserita nel contesto e cercando di capire se è destinata a diventare un luogo o se è invece condannata a rimanere semplicemente uno spazio, più o meno ben organizzato che non partecipa al preesistente. E' il legame che si crea con il suo fruitore che trasforma lo spazio in luogo, in una simbiosi, un rapporto intimo che può nascere o meno. Quando ciò si verifica, quando questa alchimia si crea, accade a prescindere dalle intenzioni del suo progettista, ma non a prescindere dalle sue scelte progettuali. Intervenire in modo corretto in un contesto, implica perciò necessariamente averlo interiorizzato e capito e aver individuato le sue potenzialità espresse ed inespresse, peculiarità che non possono (che non devono) essere ignorate e stravolte, ma umilmente assecondate e, se possibile, rimarcate.


VIALE KENNEDY E LA CASA COMUNALE

Guardando viale Kennedy con attenzione, non si vedono solo auto parcheggiate lungo il marciapiede che delimita l'area “ex campo di bocce” e che dura, intenso, soltanto nell'orario di apertura degli uffici comunali. Quello che si vede è soprattutto il passeggio domenicale o quello delle sere d'estate, è la sosta sulle panchine, al sole o al fresco. In queste occasioni il residente si riappropria del suo spazio e la piccola area verde diventa luogo di ritrovo e di relax per gli anziani seduti al sole a leggere il giornale o a chiacchierare e, fino a notte fonda, di socializzazione dei più giovani. Si vede, in sintesi, un luogo di ritrovo di tutti con tutti e si capisce il senso della scelta di organizzarlo per assecondare la sua “naturale vocazione".
A parte la nota stonata della scelta di una recinzione di gusto razionalista (così da non dover sostituire quella identica già presente nell'area a verde sull'altro lato di viale Kennedy), invece di una che si rifacesse allo stile Liberty, coerente con l'arredo già presente, quanto previsto in fase progettuale si è fedelmente realizzato. Il piano dell'area è stato ricondotto ad un'unica quota, così da ottenere, sia l'abolizione delle barriere architettoniche presenti in essa, sia, con l'ampliamento dei marciapiedi, di un'area di socializzazione più ampia e meglio organizzata.

PRIMA

IL PROGETTO

LA REALIZZAZIONE

Anche le prospettive catturate dalla fotocamera nella fase di studio ed elaborate al CAD, si sono sostanzialmente concretizzate nell'organizzazione degli spazi, compreso quello per la futura installazione della “casa dell'acqua”, nella differenziazione dei percorsi4 e nella disposizione degli arredi: i lampioni e le panchine Liberty, la fontana scenografica, il prato a zolle con nuove essenze arboree. 
Il nuovo disegno genera infatti una serie di “anse” con funzioni di piazzole ospitanti le sedute, ora non più ostacoli per i passanti ma elementi di arredo discretamente posti ai margini di un percorso pedonale molto più ampio, da cui partecipano alla vita su Viale Kennedy e rappresentano punti di osservazione con prospettive privilegiate verso la parte più antica dell'insediamento dentro le mura e sul decumano, mettendo il residente come davanti ad una serie di quadri, il cui soggetto è la propria storia.

PRIMA
IL PROGETTO

LA REALIZZAZIONE

LA REALIZZAZIONE

L'intervento di riqualificazione, sfruttando le prospettive offerte dalla pendenza del sito che consente una visione globale dell'area, le valorizza con un disegno ed una disposizione dell'arredo, ariosa. La linea di confine sinuosa, tra l'aiuola e l'area di sosta, rende meno immediata l'individuazione dei limiti delle forme, restituendo l'immagine di una loro reciproca compenetrazione ed uno spazio non rigidamente imprigionato in esse ma percepito come fluido, in un movimento apparente che segue il variare della prospettiva dell'osservatore in movimento da e verso di esso. 



LA REALIZZAZIONE

LA REALIZZAZIONE

LA REALIZZAZIONE

LA REALIZZAZIONE

Il senso di dinamicità, accentuato dalla visione dal basso verso l'alto, che si gode da più punti, ha una sua prospettiva privilegiata in Piazza Europa, punto d'osservazione dal quale si coglie non solo la stretta relazione tra la casa comunale e la piccola area, con la conseguente rappresentatività di cui la investe la sua ubicazione, ma anche il suo difficile ruolo di prima ed unica cerniera, progettata, tra il vecchio ed il nuovo insediamento urbano5.


IMMAGINE DI GOOGLE EARTH



NOTE:
1- Nella speranza che non si perda l'occasione di realizzare un disegno unitario, ho già mostrato all'Amministrazione, il mio progetto anche per quest'area, nella speranza che si trovi presto la copertura finanziaria sufficiente alla sua realizzazione.
2 - La Strada Statale n. 95 che rappresentava l'unico collegamento viario tra la Basilicata ed il vallo di Diano, attraversa l'area oggetto d'intervento, con andamento est-ovest, prendendo il nome di viale Kennedy nel tratto a monte di piazza Europa e di via Roma in quello opposto. Sebbene a partire dagli anni '70 sia stata sostituita dalla Strada Statale dell'Alto Agri SS276, essa è ancora una via molto trafficata, in quanto l'unico collegamento del centro abitato, con la valle.
3 - La prima ipotesi formulata dall'Amministrazione comunale e per la quale mi è stato chiesto di elaborare relativo progetto, è stata il suo utilizzo come parcheggio, nella sua parte più stretta e come verde attrezzato in quella più larga. L'ipotesi, su mio steso consiglio, è stata in seguito opportunamente scartata in quanto, per le sue dimensioni esigue, l'area era palesemente inadeguata a far fronte al bisogno di parcheggi già dei soli residenti in zona, quindi ancor meno nei giorni lavorativi, a quelli degli impiegati del Comune e degli utenti. Tale reale necessità, testimoniata nella documentazione fotografica redatta in una qualsiasi giornata lavorativa, porta inevitabilmente a concludere che i problemi di parcheggio nei pressi della casa comunale vadano risolti efficacemente altrove, magari recuperando altre aree poco distanti e male utilizzate.
Altrettanto impraticabile anche l'ipotesi alternativa, per la quale esisteva già un progetto, che la vedeva come possibile luogo di gioco per i più piccoli. A mio modesto parere infatti, proprio la sua collocazione a ridosso della principale e più trafficata via di comunicazione del paese, prudentemente ne sconsigliava tale destinazione.
4 - Ben evidenziata, la piccola rampa che conduce ai depositi e agli archivi comunali, i cui accessi sono in un'area più piccola, separata da quella principale e ad un livello più basso. La stessa rampa funge anche da comodo collegamento pedonale tra viale Kennedy e la via G. M. Pessolani.
5 - Dall'assenza di un coerente collegamento tra il chiaro e ben strutturato insediamento di epoca medievale e la caotica ed informe espansione urbana cominciata negli anni '70 e dei conseguenti problemi di relazione tra la casa comunale e Piazza Europa, ho avuto già modo di dire ampiamente in occasione del concorso d'idee per la riqualificazione dell'area del mercato coperto e a questo scritto si rimanda per eventuali chiarimenti.

Render realizzati dal  Geom. G. Navatta



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