lunedì 3 agosto 2015

Le grotte dei saraceni

“Colui che non sa e non sa di non sapere È uno sciocco. 
Evitalo. 
Colui che non sa e sa di non sapere È un fanciullo. 
Istruiscilo. 
Colui che sa e non sa di sapere È addormentato. 
Sveglialo. 
Colui che sa e sa di sapere È un saggio. 
Seguilo.” 

Proverbio arabo


Già in passato ho avuto modo di evidenziare fandonie riportate come episodi della nostra storia, talvolta spacciate ad arte per leggende, nell'intento di renderle più "vere", ricalcando un modo di fare comune anche tra gli antichi autori. In alcuni casi infatti, ho potuto verificare che le notizie tramandateci sono più figlie del campanilismo dei nostri avi che della vera ricerca.
Tra le più fantasiose: la torre tanto alta da cui si poteva vedere il mare oltre gli Alburni. Più recenti: l'atto di cannibalismo a danno di un principe medievale mai identificato, l'esistenza di una fantomatica Università degli (Studi) Atinati,  la creazione dal nulla  di un inesistente Palazzo Di Santi in via Borgo Braida, attuale via Umberto I (col conseguente serio rischio della perdita della memoria dello storico Palazzo Marino), le porte della cinta muraria medievale che si spostano da ovest ad est, la ricostruzione a dir poco bislacca del castello riportata in una pubblicazione degli anni 90 (cui ha fatto seguito quella altrettanto fantasiosa, purtroppo addirittura realizzata qualche anno fa),
Al peggio però non c'è mai fine: è di qualche giorno fa il rinvenimento in internet di un articolo su "Cilentano.it" che cita le fantomatiche grotte, perciò riprendo un mio vecchio scritto e lo adatto all'occasione.



Il percorso per le grotte


Cito l'Enciclopedia Treccani: " SARACENI. - Nome col quale nel Medioevo cristiano europeo sono stati designati genericamente gli Arabi. Il vocabolo, con questa accezione, è del tutto ignoto alla tradizione storica e letteraria degli Arabi stessi (...). Comunque sia, presso gli autori più antichi il nome di Saraceni (Σαρακηνοί) non designa l'intero popolo arabo, ma soltanto una popolazione stanziata sulle coste del golfo di 'Αραβικά Aqaba, nella parte meridionale della penisola del Sinai.(...) il nome dei Saraceni, il cui uso si fa frequente negli scrittori dei due ultimi secoli dell'età antica, finì col designare l'intera stirpe degli Arabi nomadi (...) Non manca tuttavia (così ancora A. Musil, The Northern Ḥeǧâz, New York 1926 pp. 311-12) chi mantiene l'antica etimologia da sharqī "orientale", termine col quale gli Arabi del deserto settentrionale designano tuttora i nomadi razziatori (appunto perché le regioni desertiche, dove hanno sede le tribù dedite al brigantaggio, si trovano a oriente della zona coltivata); e tale etimologia, che mette in rilievo il carattere di predoni dei nomadi, concorda nel senso con l'altra, che ebbe fortuna in passato, secondo cui Saraceni deriverebbe dal verbo saraqa "rubare". Sennonché l'una e l'altra sono insostenibili, in quanto non tengono conto che l'appellativo di "Saraceni", in questa accezione, non si trova nella lingua araba.(...)In significato più ristretto s'indicano col nome di Saraceni quei nuclei di Arabi, provenienti dall'Africa settentrionale, i quali, dopo l'occupazione della Sicilia, nel sec. IX e X, fecero spedizioni e stabilirono stazioni militari lungo le coste dell'Italia meridionale, della Liguria e della Provenza (famosa tra tutte quella di Frassineto; v.), spingendosi, in cerca di bottino, fino ai valichi alpini e in Svizzera."

Il termine "saraceni" indica quindi, nel Medio Evo e cioè nel periodo in cui si suppone abbiano attraversato il Vallo di Diano, l'intero popolo arabo. Soltanto una supposizione perché, a parte un paio di fonti storiche che farebbero intuire un loro passaggio nella nostra valle, ad oggi non abbiamo ancora ritrovamenti che lo testimonino con assoluta certezza.

Il versante nord dell'insediamento antico di Atena Lucana, visto dalla Rupe Rossa. Sullo sfondo: il Vallo di Diano.


Riporto anche un sunto di quanto contenuto in uno dei tanti siti che descrivono la civiltà araba di quel periodo: "Tenevano molto alle buone maniere e il comportamento a tavola era ineccepibile: mangiavano a piccoli bocconi, masticavano bene, non mangiavano aglio e cipolla, non si leccavano le dita e non usavano gli stuzzicadenti. Il gentiluomo musulmano si lavava ogni giorno, si profumava con acqua di rose, si depilava le ascelle e si truccava gli occhi. Per la strada ogni tanto si fermava davanti ai numerosi portatori di specchi per controllare e accomodare la propria acconciatura. Si vestiva con eleganza e non indossava pantaloni rattoppati. I passatempi preferiti dei gentiluomini erano la lotta dei galli, gli scacchi e la caccia. Tra il popolo erano diffusi il gioco dei dadi e quello della tavola reale.
Oltre che nei costumi della vita quotidiana, gli Arabi lasciarono profonde tracce del loro passaggio nella cultura: Palermo sorsero scuole arabe dove si insegnava la sfericità della Terra e i punti cardinali. Lo studio degli astri era molto diffuso e l'astronomia è loro debitrice di molto termini: azimut, zenit, nadir, ecc... Ancora adesso in Sicilia sopravvivono un po' dovunque modelli di architettura araba e quando questa cultura dopo il mille si incontrò con quella normanna nacque la più alta civiltà del medioevo europeo, da cui più tardi derivò quella del Rinascimento.
Anche nell'agricoltura gli Arabi portarono innovazioni: le irrigazioni delle "huertas" (come quelle della "conca d'oro" presso Palermo), colture del cotone, della canna da zucchero e del riso, dell'arancio, coltura della seta, industrie tessili, ceramiche, ecc... Degno di nota è anche il grande sviluppo urbano, i musulmani avevano fissato definitivamente la capitale della Sicilia a Palermo che nel X secolo contava già 300.000 abitanti e in tutto l'occidente musulmano era seconda solo a Cordova. Molti porti sulla costa opposta del Tirreno: Amalfi, Salerno, Napoli, Gaeta erano economicamente nell'orbita di Palermo e della Sicilia musulmana. La moneta del califfato fatimita era il Dinar che aveva corso in tutta l'Italia meridionale ed era imitato altrove. Quando la conquista normanna ( 1061 - 1089 ) riunisce questo territorio musulmano ai territori cristiani d'occidente, gli scambi si fanno più intensi. Le tecniche della coltura della seta e la sua lavorazione arrivano ad esempio nell'Italia settentrionale (Lucca, Venezia).
La Sicilia e l'Italia meridionale hanno acquistato nell'epoca musulmana conoscenze d'ogni tipo, come la Spagna: conoscenze mediche, filosofiche, astrologiche, scientifiche. Questo fenomeno come abbiamo già detto continuerà durante il periodo normanno e alla corte di Federico II, la Sicilia e la Spagna costituiscono i punti più importanti attraverso i quali sono penetrati in Occidente gli influssi orientali, che contribuiranno a determinare quella che sarà l'opera di sintesi del grande Rinascimento italiano."

Giusto per capirci: se dico "i tepee dei pellerossa d'America" o "i tucul degli etiopi" o "gli igloo degli eskimesi" o "le tende dei Tuareg", alludo alle loro abitazioni e perciò, allo stesso modo, se dico "grotte dei saraceni", alludono al fatto che essi, in un certo periodo, per un certo periodo (che deve supporsi sufficientemente lungo), le abbiano abitate. 
Credendo alle grotte dei saraceni ad Atena Lucana in questo senso, dovremmo quindi credere che nello stesso periodo, gli stessi individui che erigevano architetture splendide (palazzi, moschee, ecc.) anche nel nostro territorio, esperti di coltivazioni, che al loro passaggio lasciava profonde tracce nella cultura locale (che stranamente nel vallo non si sono mai trovate), che si depilava le ascelle e si truccava gli occhi, decideva di venire ad abitare, come trogloditi, le nostre grotte, fredde, umide e senza il minimo comfort? Ovviamente tutto ciò è poco credibile e quindi un'eventuale ipotesi di insediamento stabile di saraceni nelle nostre grotte è da scartare.

In verità qualcuno potrebbe obiettare che ad Atena Lucana esiste il toponimo "Saracino" (che significa "Saraceno", nel nostro dialetto), ma è anche vero che, mentre qualche autore del passato ha voluto attribuire la sua esistenza alla presenza di un accampamento saraceno in quel sito (di cui non si sono mai trovate le tracce), altri, invece, più semplicemente, lo ricollegano al cognome di un antico proprietario di quei fondi. In ogni modo, è bene ripeterlo, ad oggi non vi è prova storica della presenza degli arabi nel Vallo di Diano, di conseguenza nemmeno ad Atena Lucana e, pertanto, non esistono prove a suffragio dell'una o dell'altra teoria.  Il Saracino infatti, è un'area che si divide tra un bosco, sito sul versante più a monte e le colture lato valle, che si estendono nell'adiacente località Foresta (nel dialetto locale "a Fresta"). In questi siti, come nell'intera area più alta ad est e sud est dell'abitato, non vi sono grotte, ma abbondano pianori fertili e ricchi di acqua. Va inoltre detto che tale località è un promontorio soleggiato, con una splendida vista sull'abitato stesso e su gran parte della valle, attraversata dalla principale via di comunicazione tra il nord della Campania, la Lucania e la Calabria, realizzata in epoca romana ed oggi ricalcata più o meno fedelmente non tanto dalla S.S. 19 Via Delle Calabrie, come si è creduto per un lungo tempo, ma dall'Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria. Non altrettanto diretto il controllo sulle vie che da essa si diramavano per l'insediamento antico. In sintesi: un luogo distante un paio di chilometri dall'abitato antico (e per questo non sono convinto dell'utilità di un campo militare dei saraceni in quella zona) sebbene comodo ed in qualche misura anche strategico.

Di contro, le cavità naturali del nostro territorio, abbondano sul versante nord, nei promontori vicini ai confini con la Basilicata, ma sono rappresentati da antri con superfici di pochi metri quadrati che suggeriscono, per la loro sola presenza, possibili insediamenti preistorici.
A scanso di equivoci, archiviamo fin da subito la "pratica" della leggenda narrata dagli anziani del posto, in quanto sono nato e cresciuto in questo paese quando i ragazzi e soprattutto i bambini, ascoltavano gli anziani perché erano affascinati dai loro racconti e mai ho sentito questa leggenda, né dai miei nonni, né da altri loro coetanei. Purtroppo, questo della leggenda narrata dagli anziani è soltanto una subsdola trovata per dare una parvenza di veridicità a quanto è, invece, recente invenzione. Ne è prova il fatto che questi "anziani narratori" restano puntualmente anonimi.
Falsa, quindi, la storia dei ritrovamenti durante la seconda guerra mondiale, quando alcune delle suddette grotte furono usate da famiglie atinati come rifugio, mentre altre si ripararono nelle gallerie della Calabro Lucana. Falsa perché le grotte sono state da sempre rifugio di pastori e greggi (oltre che di animali selvatici). Non vi sono, inoltre, notizie di ritrovamenti avvenuti in altre epoche poiché sarebbero stati sicuramente riportati negli scritti degli storici locali.
Falsa anche la leggenda costruita ad hoc dello "sparuto gruppo di saraceni" che, inseguito da tal Siconolfo e dalla sua truppa, si nascosero nelle grotte del vallone, facendo perdere le proprie tracce.
A meno che Siconolfo e truppa a seguito non avessero infilato i copricapo alla rovescia, così che impedissero loro di vedere anche dove mettevano i piedi, i saraceni non avrebbero avuto alcuna possibilità di nascondersi in quei piccoli antri, inutili anche ai ragazzini per giocare a nascondino.
Infatti, come si può leggere sullo stesso sito del Comune: "La grotta si apre in calcari intensamente fratturati. L’ingresso è costituito da ampia caverna che si sviluppa in direzione nord-ovest per una lunghezza di 50 metri. Le pareti laterali presentano una serie di nicchie più o meno profonde, dalle forme comunque tondeggianti; il fondo si presenta con pendenze pressoché costanti di 20° dal fondo verso l’ingresso ed è ricoperto di deposito ghiaioso, tra il quale emerge talvolta qualche blocco di vecchio crollo. La volta presenta un’altezza costante nel tratto iniziale mentre nella parte verso il fondo si alza improvvisamente fino ad arrivare ad un’altezza di 15 metri. La grotta è popolata da una colonia di pipistrelli." - http://www.comune.atenalucana.sa.it/index.php/il-sentiero/le-grotte/grotta-grande


Dettaglio del Vallone Arenaccio con la Rupe Rossa in primo piano

Qui il paesaggio è totalmente diverso, rappresentato da luoghi rocciosi con pendii fortemente scoscesi e non coltivabili, come la Rupe Rossa e gli altri promontori del versante a nord della collina su cui sorge l'insediamento storico di Atena Lucana. Le pareti scoscese del versante nord della collina su cui sorge l'abitato di Atena Lucana e quelle della Serra d'Atena, creano il Vallone Arenaccia, in cui scorre il torrente omonimo, e si affacciano le suddette grotte. Tra queste anche la più grande di tutte, detta appunto Grotta Grande, una stanza unica ampia non più di duecento metri quadrati.

Chiarito che anche la storia del nascondiglio dei saraceni fa acqua da tutte le parti, sempre a scanso di futuri equivoci (le leggende, specie quelle metropolitane, mutano nel tempo arricchendosi spesso di nuovi contenuti), escludiamo eventuali varianti di un loro uso da parte di un esercito saraceno invasore.
Del resto orde di saraceni approdarono sul suolo campano perché richiamati  proprio da Radelchi e Siconolfo, rispettivamente principi di Benevento e Salerno, in guerra tra di loro.
A che pro un esercito invasore avrebbe deciso di risalire il canalone percorrendo sentieri per capre, col rischio di essere travolti dai massi rotolati dall'alto del costone dai difensori dell'abitato, nonché quello prevalentemente roccioso e scarsamente soleggiato e perciò privo di grandi aree coltivate utili ad un esercito che deve approvvigionarsi?
Che utilità avrebbe tratto dall'occupazione di una serie di piccoli, freddi e perciò inutili antri e dare l'assalto ad un centro abitato dal versante meglio difeso naturalmente?

La Rupe Rossa  ed il Vallone Arenaccio visto dall'insediamento antico di Atena Lucana

L'assalto si da scegliendo la posizione più vantaggiosa per gli assalitori e non per i difensori, così come l'assedio si fa tagliando i rifornimenti agli assediati, quindi controllando militarmente le vie di comunicazioni principali e non i sentieri delle capre.
Tutto questo senza contare che ancora oggi e da sempre, gli eserciti in movimento usano le tende per realizzare i propri accampamenti e che gran parte delle popolazioni "saracene" erano anche culturalmente legate a questo tipo di riparo.
Molto più utile creare invece, un campo nell'area oggi occupata dalla piazza e dal borgo extra moenia, un'ampia spianata sita a ridosso dell'abitato fortificato e che rappresenta il crocevia obbligato di tutte le strade da e per l'abitato. Lo stesso sito che gli antichi autori atinati hanno voluto indicare come sedi di molti grandi edifici di epoca romana, tra cui templi, bagni e perfino un "teatro forse anfiteatro".

E con questo credo che abbiamo messo una parola definitiva alla presenza dei saraceni nelle grotte atinati ed a tutte le possibili varianti che si vorranno in futuro creare ed indebitamente attribuire a non ben identificati "anziani del posto".

Allora come si spiega la nascita di questa nuova fandonia che narra di presunte grotte "abitate" dai saraceni?
Succede che, talvolta, un tecnico in cerca di lavoro, s'informa sulle nuove misure finanziate e cerca, tra le varie voci finanziabili, l'ispirazione per un progetto da proporre all'Amministrazione di qualche Comune che potrebbe averne bisogno e dal quale ricevere il tanto agognato incarico.
Cosa del tutto normale, perché noi tecnici di questo viviamo, di incarichi pubblici e privati.
Nel processo però talvolta interviene anche un "esperto di marketing" convinto che, per far finanziare il progetto, non è sufficiente che questo sia ben fatto o che sia veramente utile (forse non è nemmeno necessario), ma deve far colpo presso il funzionario di turno con un nome accattivante. Succede così che per far finanziare il progetto di recupero a fini turistici di un antico sentiero di pastori, sia necessario inventarsi un suo passato storico più prestigioso, magari come antica via che conduce niente poco di meno che alle fantomatiche "grotte dei saraceni".

L'ingresso della Grotta Grande


Le "grotte dei saraceni"  rappresentano un falso storico creato con la stessa logica dell'altrettanto poco credibile "via dei pellegrini" di qualche anno prima e di cui parleremo a tempo debito.
Questi nomi improbabili sono frutto della fantasia e della mancanza di cognizione storica dei suddetti "esperti di marketing" che così creano, più o meno inconsapevolmente, pericolose notizie false al solo fine di promuovere presso gli Enti che dovranno finanziarli, progetti spesso ancor meno credibili dei fantasiosi nomi che gli affibbiano. Tanto, tra le non competenze di chi valuta i progetti, c'è anche la verifica della veridicità di quanto affermato a giustificazione dell'utilità del progetto. Sarebbe però interessante leggere il contenuto delle Relazioni Descrittive di questi progetti, parti sostanziali che, come il contenuto di un articolo di giornale, dovrebbe essere coerente con quanto sintetizzato nel titolo. 
Intanto i politici di turno si vendono il progetto, tra una cena ed un caffè al bar e gli pseudo storici, che nulla hanno imparato da Erodoto, insieme ai giornalisti che niente hanno a che vedere con Bob Hoodward e Carl Bernstein, tra una recensione su internet e l'altra, commissionata per pubblicizzare un locale o una rievocazione storica all'amatriciana, amplificano il falso storico. Questo passa parola senza le necessarie verifiche contribuisce a diffondere in forma virale, il falso storico creato ad arte, fino a farlo diventare verità storica, quanto meno tra coloro che hanno altra formazione scolastica e che si avvicinano a questi argomenti, spinti, nella maggior parte dei casi, più dalla curiosità che da un vero interesse per la propria storia.
Il fatto più grave è che più passa il tempo, più perdiamo il contatto con la nostra vera storia e più confondiamo la cultura con il floklore, il mito con la leggenda metropolitana, il falso con il vero.
Forse sta succedendo perché mancano gli stimoli che ci riportino sulla giusta via. Eppure sarebbe bello ritrovarci tutti insieme, giovani e meno giovani e iniziare questo percorso a ritroso per ritrovare le nostre radici e smetterla di essere foglie in balia del vento ad ogni progetto da far approvare.
Sarebbe invece utile che la Pro Loco si assumesse il compito di smentire queste fandonie in forma ufficiale, contattando i proprietari di questi siti e chiedendo la rettifica di quanto non rispondente al vero. Per difendere la nostra identità e la verità sulle nostre origini. Sarebbe anche utile che la Pro Loco destinasse parte dei fondi che percepisce, per finanziare progetti di ricerca, magari sottraendoli alle suddette rievocazioni storiche all'amatriciana.


© Arch. Angelo Sangiovanni
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