lunedì 14 giugno 2010

Doppio condono?

Con legge 15 dicembre 2004, n. 308, conosciuta come Legge Delega, sono state apportate modifiche al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, detta anche “Codice dei beni culturali e del paesaggio” o più semplicemente Codice Urbani, in merito alla depenalizzazione dei reati edilizi commessi in violazione ai vincoli paesaggistici.
La legge concede la possibilità di estinguere reati edilizi commessi in violazione ai vincoli paesaggistici attraverso la nuova procedura di accertamento di compatibilità ambientale. Brevemente: la norma prevede che con il Condono ambientale si possano estinguere i reati in materia paesaggistica attraverso il cosiddetto accertamento di compatibilità ambientale e individua due procedimenti differenziati a seconda che i lavori, eseguiti in assenza o in difformità dell’autorizzazione paesaggistica, siano stati compiuti prima del 30 settembre 2004 o successivamente a tale data.
L’accertamento di compatibilità paesaggistica per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, comporta l’estinzione del reato di cui all’articolo 181i del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e di ogni altro reato in materia paesaggistica alle seguenti condizioni:
1. che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nella eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico;

2.che i trasgressori abbiano preventivamente pagato:
a -  la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004 maggiorata da un terzo alla metà;
b - una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata, dall’autorità amministrativa competente all’applicazione della sanzione di cui al precedente numero 1), tra un
minimo di tremila euro ed un massimo di cinquantamila euro.

Invece per i lavori compiuti dopo il 30 settembre 2004, il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi.
Qualora l’autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica, la disposizione di cui al comma 1, art. 181, del decreto legislativo n. 42 del 2004 non si applica per i seguenti casi:

1) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

2) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;

3) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di
novanta giorni.
Conseguentemente, le tipologie di abuso per le quali è possibile richiedere l’accertamento di compatibilità paesaggistica sono differenti in base al periodo in cui sono stati commessi gli abusi in violazione ai vincoli paesaggistici.
Infatti, per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004, l'accertamento di compatibilità paesaggistica si può richiedere per le seguenti opere:

a) modifiche alla sagoma dell’edificio;
b) modifiche alle superfici di progetto;
c) modifiche al volume di progetto;
d) modifiche alle altezze;
e) modifiche alle distanze dai confini;
f) modifiche alle distanze dagli edifici circostanti;
g) modifiche alle destinazioni d’uso;

In sostanza, tutte opere che potrebbero configurare l'ipotesi di un abuso di una certa rilevanza.

Diversamente, per i lavori compiuti su beni paesaggistici dopo il 30 settembre 2004 si può richiedere l’accertamento di compatibilità paesaggistica per opere e quindi, possibili abusi, di minore rilievo. Essi sono:

1) lavori realizzati in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non hanno determinato creazione di superfici utili;
2) lavori realizzati in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non hanno determinato creazione di volumi;
3) lavori realizzati in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non hanno determinato aumento di superfici utili legittimamente realizzati;
4) lavori realizzati in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non hanno determinato aumento di volumi legittimamente realizzati;
5) lavori realizzati in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, che non hanno determinato creazione di superfici utili;
6) lavori realizzati in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, che non hanno determinato creazione di volumi;
7) lavori realizzati in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, che non hanno determinato aumento di superfici utili legittimamente realizzati;
8) lavori realizzati in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, che non hanno determinato aumento di volumi legittimamente realizzati;
9) impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria ai sensi dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380;
10) lavori configurabili quali interventi di manutenzione straordinaria ai sensi dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, conosciuto anche come Testo Unico

Sorvolo su aspetti meramente tecnici e legislativi, quali potrebbero essere il procedimento per l'accertamento di tali compatibilità paesaggistiche o anche per la determinazione delle sanzioni pecuniarie, aspetti per i quali si rimanda alla relativa normativa, per focalizzare il discorso su altri aspetti, altrettanto tecnici ma a mio giudizio più interessanti.
Innanzi tutto, da quanto detto si evince che, mentre si riscontra una maggiore rigidità verso gli abusi commessi dopo il 30 settembre 2004, per gli abusi conclusi entro il 30 settembre 2004, la depenalizzazione prevista dalla legge delega (o dal mini condono ambientale, come la definisce qualche autore), scatta per tutti gli interventi eseguiti senza autorizzazione paesaggistica o in difformità dalla stessa, senza limiti di volume o di superficie e nemmeno di destinazione d'uso, qualora venga accertata dall'ente preposto al vincolo (previo parere non vincolante della Soprintendenza) la compatibilità paesistica, in base alla condizioni dei suddetti punti 1 e 2 e cioè che la tipologie edilizie e i materiali siano compatibili con il contesto paesaggistico e che siano state pagate le sanzioni previste.
Altro aspetto interessante è che l'articolo 1, al comma 37 della suddetta legge delega prevede che l'accertamento postumo di compatibilità paesaggistica dei lavori abusivamente eseguiti entro il suddetto termine, determini l'estinzione del reato di cui all'articolo 1 del Codice Urbani e di ogni altro reato in materia paesaggistica, alle condizioni sopra esposte.
Sebbene per gli abusi commessi dopo il 30 settembre 2004 ci sia minore tolleranza, come sembrerebbe dimostrare il fatto che siano contemplabili nel condono solo quelli che non incidono fortemente sull'ambiente, resta singolare l'aspetto strettamente giuridico secondo il quale la rimessa in pristino dei luoghi (sebbene prima di una sentenza) degli abusi paesaggistici commessi dopo il 30 settembre 2004 estingua il reato, mentre è innegabile, almeno sul piano della logica, che non cancella l'atto illecito compiuto che in sostanza è scaturito dalla non conformità “a priori” delle opere eseguite, agli strumenti di tutela paesaggistica. Innegabile è anche il fatto che l'annullamento della punibilità dell'atto illecito compiuto è ancora meno rispettoso verso l'ambiente del reato stesso, oltre che verso chi l'ambiente lo rispetta. Al di là delle considerazioni di ordine morale, mi limito ad osservare che l'accertamento in questione si limita a disporre la sanatoria appunto sotto l'aspetto puramente paesaggistico, senza prendere alcuna posizione in merito al titolo edilizio abitativo, ottenuto con Permesso di Costruire o Denuncia di Inizio Attività.
Questo atteggiamento oltremodo benevolo, specie se accomunato a tutti quegli episodi in cui la pena per l'abuso prevedeva l'abbattimento mai eseguito dell'opera (e sono la stragrande maggioranza), suona come un'ammissione da parte dello Stato della sua incapacità a gestire e salvaguardare l'ambiente ed una propensione ad accordare sempre nuovi condoni in materia edilizia ed anche ambientale, nell'intento di elemosinare un minimo di rispetto e conservare una parvenza di gestione del territorio.
Riallacciandomi a quanto detto in precedenza, nasce spontanea una domanda: cosa succede nei casi in cui le opere sono sanabili sotto l'aspetto paesaggistico ma non lo sono sotto l'aspetto del Condono Edilizio? Di logica, per quanto detto o meglio, per quanto non detto in merito al titolo abilitativo edilizio, dalla 380/2004, dovrebbe restare immutata la necessità di ottenerne il rilascio nel rispetto di quanto previsto agli articoli 36 e 37 del citato Testo Unico dell'Edilizia.
Dobbiamo quindi concludere che gli abusi edilizi in zone protette hanno necessità di 2 condoni, edilizio e paesaggistico?
E' da ritenersi di si, in quanto in nessun punto della citata 308/2004 si fa cenno in alcun modo ai vincoli assoluti previsti dall'articolo 33 della Legge 47/1985.
Paradossalmente la Legge 308/2004 è successiva sia al TU per l'Edilizia, sia al molto più recente Codice Urbani e, se non altro, a questo punto si avverte il bisogno, almeno per noi tecnici, di maggiore chiarezza in una normativa di raccordo tra i piani edilizi e quelli ambientali o sulla disciplina dei condoni edilizi e quello ambientale. Infatti, sebbene le due discipline perseguano nella teoria finalità diverse, nella realtà tendono ad incrociarsi e, almeno all'apparenza, a sovrapporsi, rischiando di paralizzare soprattutto (o soltanto) le attività lecite. Un prezzo troppo alto da pagare solo per giustificare l'esigenza di dover far cassa anche in questo settore.

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