giovedì 24 gennaio 2013

Un Piano per non dimenticare

Dove vien meno l'interesse, vien meno anche la memoria.
Johann Wolfgang Goethe

Elemento lapideo dell'antica pavimentazione di un vicolo del centro storico di Atena Lucana, rimosso dalla sua sede originaria perché sostituito con gradino in cemento e che, ovviamente, andrà perduto così come gli altri che facevano parte della stessa opera.

E' vitale riconoscere al Piano del Colore (a cui si associa talvolta anche il Piano del Decoro Urbano) e agli studi sulla Toponomastica un'importanza fondamentale, in quanto hanno come obiettivo comune il recupero dell'identità storica e culturale dell'intero territorio comunale, nel caso del Piani, anche attraverso la riqualificazione dell’ambiente costruito.
Il Piano del Colore e quello del Decoro Urbano sono infatti entrambi strumenti che scaturiscono da uno studio il cui scopo è individuare norme tese al recupero dell’immagine della città nel suo complesso, nonché del suo territorio e della sua identità storica e culturale.
Dopo la tabula rasa effettuata con le riparazioni attuate in seguito al Sisma 1980 caratterizzate anche da un uso spropositato dell'intonaco sulle facciate, non solo a coperture di tessiture murarie e rifiniture importanti come documenti storici, ma anche a copertura di epigrafi, steli funerarie, e quant'altro, trovare oggi una regola per decidere in modo serio sul colore da applicare ai fabbricati è quasi impossibile. Specie nella consapevolezza che queste indicazioni debbano essere uno degli elementi costitutivi dell’immagine paesistica dei luoghi, importante strumento di riqualificazione e non un elemento scelto a discrezione del proprietario o del tecnico o permesso dall'ignavia e dal disinteresse delle autorità o degli organi di controllo competenti.
Dare indicazioni riguardo alle tinte da applicare, ai materiali, alle tipologie da utilizzarsi per tutti gli elementi, siano essi funzionali, decorativi o tecnologici (infissi, tabelle, ringhiere, coperture, ecc.) e che riguardano le sistemazioni esterne degli edifici è, non da oggi, tanto urgente quanto non più procrastinabile.
Sia quindi chiaro, per quelli che ancora non sono in grado di distinguere quello che è compito dell'Architettura da quello che concerne la pittura, che le indicazioni fornite nel Piano del Colore hanno lo scopo di tutelare da un lato l’identità storica del fabbricato e dall’altro la percezione visiva del contesto come armonico insieme dell'ambiente costruito e naturale.
Nel caso di Atena, non mi stancherò mai di dirlo, questa identità abbiamo cominciato a perderla trent'anni fa e ancora non abbiamo trovato né la capacità, né la voglia fare qualcosa per recuperarla, che vada oltre l'enunciazione di buoni propositi.
Tornando alla toponomastica, essa rappresenta l'insieme dei nomi delle entità geografiche e lo studio delle stesse attraverso discipline specifiche, come la storia e la linguistica. Concerne la toponomastica, quindi, in primo luogo il censimento dei toponimi del territorio che però non si ferma necessariamente a quelli ancora reperibili sulle cartografie in uso, ma può estendersi anche alla consultazione di registri storici e antiche planimetrie o anche, quando ancora possibile, della memoria degli anziani. In questo caso però è maggiore il rischio di ottenere non il nome originario in una lingua antica, magari di un popolo che ha dominato o anche solo stanziato per qualche tempo nell'area, ma talvolta una sua storpiatura dialettale.
In questo caso si parla di toponomastica storica che ancor più di quella che potremmo definire “generale”, cerca di collegare il toponimo del luogo con l'individuazione del suo originario significato: pizzoddi, aria favata, ruddu, siddittu, 'a rinazza, macirrina, , nel parlato hanno preso il posto di Pezzolle, Aia favata, Rullo, Sellitto, Arenaccia, Macerrina, ad esempio.
Alla luce di ciò, è evidente che non è sempre facile collegare il nome al luogo e talvolta ancor meno collegare il nome al suo significato, poiché spesso queste storpiature dialettali tendono a cambiare il toponimo fin quasi a renderlo irriconoscibile. In questo caso la ricerca storica dei toponimi non più in uso da tempo e quindi dimenticati anche dalla tradizione orale, effettuata da catasti storici, archivi parrocchiali e comunali o anche attraverso diari o atti notarili non sono sufficienti a ricollegare il luogo e il suo antico toponimo.
Fare delle supposizione è tanto lecito quanto arrischiato e questo anche quando l'evidenza sembra lampante. Nella sfera della congettura, seppur confortata dalla logica e dal ritrovamento storico, va anche quanto riporto di seguito, in parte già pubblicato sul mio profilo Fb e che rappresenta solo un assaggio degli studi sui toponimi e tanto altro, iniziati con l'intento di recuperare il recuperabile della nostra storia.

Macerrina:
(Credo in origine macerina, pl. macerine e macherina in Regesti della Certosa di Padula -dal 1070 al 1400- al numero 933)
Vi sono degli scavi più o meno profondi fatti nel terreno, in collina ove son delle polle, o scaturigini d'acqua, e nelle pianura nei campi situati in vicinanza degli argini dei fiumi, e queste pozze son dette macerine, per l'uso a cui le destinano. Distendono, e ricoprono con un primo strato di manne (mazzi di canapa o lino n.d.r.) il fondo della macerina, dopo con un secondo, e così di seguito fino a che la macerina stessa è ripiena di canapa, e se l'ultimo strato di essa non fosse ricoperta bene dall'acqua, lo caricano con pietre, onde compressa da questo peso, venga ad esser dominata tutta dal liquido".
Non a caso la Macerrina è un'area pianeggiante compresa tra il fiume Tanagro e la Ferrovia Sicignano-Lagonegro ed è quindi quanto meno probabile che in questo luogo fossero presenti le apposite fosse realizzate per la macerazione di questi mazzi di canapa per ottenere la separazione delle fibre dal fusto.
Del resto la coltivazione di canapa nel Vallo di Diano è documentata e al museo di Teggiano è conservato un antico telaio per tessere la tela, insieme ad una gramola per la canapa, ai dipanatoi, ai filatoi ed altri attrezzi della vita contadina.
Anche sul sito del comune di Polla si fa riferimento a questa coltivazione attuata in località Fontana del Praticello. In proposito si legge: “Questa fontana raccoglie le acque che defluiscono dalla Foresta, attraverso un vallone. Nel corso del 1890 il Comune deliberò la costruzione, sul posto, di un abbeveratoio così grande da servire per bagno delle pecore prima della tosa e di una vasca da servire alla macerazione del lino e della canapa, nonché di un lavatoio. Oggi sul posto c'è una nuova vasca, costruita da qualche anno per comodità dei contadini. Le acque, uscite da essa, raggiungono il Tanagro che scorre a circa 30 metri più giù.

Scafa:
(il toponimo ha conservato il suo nome originario)
Dal vocabolario Treccani:
scafa
[scà-fa]
s.f.
ST Presso gli antichi Romani, battello a remi usato nella navigazione fluviale per i collegamenti tra la costa e le navi. Nel Seicento e Settecento, battello leggero, a remi o a vela, al servizio di un'unità maggiore. pegg.
A proposito della scafa di proprietà di Giuseppe Caracciolo ho già avuto modo di parlarne nel mio precedente scritto su “i mangia signuri ri Atena”. Lo riporto per comodità: "L'universitù chiese, segnala il Cassandro, <<che il feudatario [...] non pretenda di riscuotere un fitto annuo di 50 ducati per la scafa che possiede sul fiume pubblico (Chiarisce V. Bracco che in qual tempo non vi era il ponte sul Tanagro che <<da sotto Atena taglia il Vallo e sbocca a San Marzano, per cui si era obbligati a servirsi della "scafa" del principe su cui si pagava il pedaggio, per cui "si aveva un ponte in meno e una speculazione in più>>).
L'area della Scafa è infatti anch'essa dei pressi del Tanagro, sulla sponda opposta a quella nei possedimenti del comune di Sant'Arsenio, di cui fa parte anche la frazione di San Marzano.

Serrone:
(il toponimo ha conservato il suo nome originario)

"Pel fabbricato Atena si può dividere in due parti; una che sta a cavaliere del colle, ed è approssimativamente l'Atena medievale; e l'altra che potrebbe dirsi l'Atena moderna, costituisce il borgo, che dal colle si estende al piano"
da Istoria di Atena Lucana del Dottore Michele La Cava.

"In quanto a quest'ultima (si riferisce ad Atena n.d.r.), per la quale solamente ascriviamo, prescelsero quell'alta collina che guarda a mezzogiorno la valle di Diano, in piedi alla quale collina dovettero essi costruire un grosso muro di cinta alla medesima, del quale si sono trovati gli avanzi alla parte di mezzogiorno, e di ponente sotto Atena, ed in diversi luoghi: al Serrone di San Cipriano per estensione di metri 313; a San Vito in mezzo al Petto per una lunghezza di metri 150; da questo S. Vito al ciglio del Vallone Arenaccia altri metri 350, sempre in pezzi distaccati. Questo muro costituiva una cinta semi-ellissoidale della lunghezza di un 2000 metri: La muraglia era grossa tre metri, composta di massi grossissimi divelti da quel suolo calcareo, e si giudica esserne stata la costruzione della prima epoca pelasgica atteso la rozzezza dei massi, senza arte alcuna di faccettazione, accatastati l'uno sull'altro, e senza cemento."
da Notizie storiche sulla distrutta città di Atinum Lucana dai tempi incerti fino al secolo XIX di Avv. Giov. Battista Curto , Tipografia De Marsico 1901

Del periodo <<Enotrio>> (inizi V e VI sec. a.C.) bisognerebbe orientarsi anche per le mura <<Ciclopiche>> di Atena, , la cinta murale megalitica preromana distanziata dall'acropoli e formata da grossi e rozzi massi accatastati senza cementazione, di cui a fino '800 restavano tracce per più di 800 metri, […] a tratti discontinui su una linea semiellissoidale di circa due chilometrida ovest, porta d'Aquila, ad est, collina del Serrone. Oggi ne è visibile l'unico tratto rimasto […] di circa 100 metri in quanto c'è stata nel '70 la scomparsa di circa 200 metri della cinta sotto materiale di sterro per i lavori della superstrada per Taranto, e nell'82-83 il dissesto del tratto superstite e per i lavori di riforestazione e per il passaggio di un acquedotto. Sarebbe necessario da parte di Enti pubblici e privati l'impegno a collaborare con la Soprintendenza, avvisando in tempo dei lavori programmati e in atto, e sarebbe utile realizzare una stradina di accesso alle mura che, nell'attesa di essere valorizzate, chiedono di restare almeno dove e come sono. […] Ma dove risalivano ad est le possenti mura? Osservando la zona, pur nel dissesto del terreno, si notano tracce di massi del paramento esterno e più labili dall'interno allineati sulla scarpata affacciata sul vallone Caravallo […] e se ne deduce che il circuito murale non doveva dal Serrone << girare bruscamente ad est>> come afferma G. De Henry sulla base di studiosi dell'800, ma continuare verso est per discendere e risalire nel vallone, come ad ovest in quello del Masciaro. La stessa collina del Serrone ha rivelato, dal terreno sconvolto dai lavori, una gran quantità di pietre di grosse , medie, piccole dimensioni e lascia supporre che l'altura, nel suo vertice a montarozzo, ricopra una antica struttura che potrebbe rivelare il corpo stesso della fortificazione. Sarebbero interessanti scavi sistematici nella zona per fare chiarezza sulle mura preromane di Atena e sulla stessa cittadella (enotria?) che probabilmente circuivano. [...]
da Atena antica di Elena D'Alto, Pietro La Veglia Editore 1985

Riporto di seguito l'etimologia del termine borgo ed in particolare trovo interessante:
  1. Borgo che poteva indicare anche "luogo fortificato" e non solo "abitato fuori le mura"
  2. "Gos" il cui significato fondamentale è serrare e quindi chiudere, compito di una cinta muraria a difesa di un luogo. Serrone è il toponimo del luogo in erano state innalzate una parte delle mura ciclopiche.
Risalire alle motivazioni del nome del luogo è importante per capirne la storia, ma mi rendo conto, a distanza di anni e delle tante parole spese su questo argomento, che anche la Dottoressa Elena D'Alto, scomparsa qualche anno fa, è stata già in vita dimenticata, così come i suoi ritrovamenti archeologici, da quegli Enti pubblici e quei privati a cui chiedeva aiuto nel lontano 1985, perché le vestigia della nostra storia non andassero perdute.
Sarei curioso di sapere quanti ragazzi di Atena, conoscono ora l'ubicazione di questi pochi toponimi citati e dei tanti altri ancora oggetto di studio da parte mia e di pochi amici che condividono con me la passione per lo studio della nostra storia. Vorrei sapere poi quanti leggono queste righe con interesse e la dovuta attenzione e quanti tra questi si sentono smuovere qualcosa dentro e vorrebbero dare il loro contributo a queste ricerche, portate avanti prima indipendentemente e da oltre un anno ormai in forma corale, sempre e rigorosamente senza alcun finanziamento o compenso o pubblico riconoscimento, ma solo per amore della propria terra. 
© Arch. Angelo Sangiovanni
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1 commento:

  1. My Great Great Grandpaetents are from Atena Lucana. Francesco DeMarsico and Teresa Cicchetti DeMarsico. There isnt a whole lot of information on Atena Lucana. I have sought out history from this village for over 20 years. Not only am I very interested but thank you for your writings.

    Teisha Marie

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