lunedì 26 agosto 2013

Lu cuntu ri Atena nosta

I preparativi per la messa in scena del mito di Atteone

In occasione dei necessari chiarimenti a proposito della vera origine del soprannome “mangia signuri”, risalenti al 16 agosto dello scorso anno http://atenalucana.blogspot.it/2012_08_01_archive.html con riferimento è alla citazione del Troyli in La Cava, scrivevo: “Leggendo queste poche righe  ci si rende conto che già alla fine del 1800 si ritenne necessario sottolineare l'incuria e il disinteresse degli atinati per la loro stessa storia.
Un tentativo di recupero di quanto non andato ancora perduto a causa di questa secolare incuria è quindi, oggi più di allora, impresa ardua.
Gestire poi con faciloneria e senza competenza alcuna, notizie che affondano le loro origini si nella leggenda ma in quella metropolitana (cioè alla chiacchiere per sentito dire e senza alcun documento storico a supporto), induce inevitabilmente a formulare ipotesi a dir poco fantasiose, che sfociano in ricostruzioni improbabili e fuorvianti. 
Uno scambio di opinioni, a tratti anche un po' vivace, avuto in queste sere d'estate con una mia compaesana sulle supposte e reali origini del nomignolo di mangiasignuri mi ha indotto, dopo anni di inutili tentativi di spiegare le ragioni dell'infondatezza di tale credenza popolare, a mettere per iscritto la mia opinione sulle sue origini e le motivazioni del mio convincimento che quanto noi atinati raccontiamo e ci raccontiamo da decenni, non senza un certo orgoglio (giustificato), non sia riportato con precisione di eventi e collocazione storica. “
Non pochi anni trascorsi a ricordare agli atinati uno spettacolo teatrale risalente agli anni 70 e messo in scena da nostri concittadini, allora ragazzi, cui si dette il titolo “Lu cuntu ri Atena nosta”.
Scoprire che oggi, sempre di più concordano con questa mia ricostruzione, non può che lusingarmi in quanto lo vedo come un implicito riconoscimento al mio lavoro di ricerca e alla mia tenacia di questi difficili anni di non “profeta” in patria. Non riconoscimento come storico, come qualcuno mi ha esageratamente e impropriamente definito negli ultimi tempi, perché altre sono le mie competenze, ma più umilmente il primo ad oggi ad aver operato ricostruzioni che hanno sfatando miti e credenze popolari basate sulla fiducia cieca di quanto riportato da autori del passato ritenuti giustamente autorevoli e perciò degni a prescindere di ogni credibilità.
Tornando ai mangiasignuri, nel mio scritto dal titolo Atena Lucana tra storia e leggenda (metropolitana) raccontai di un gruppo di giovani del paese e del loro tentativo negli anni 70 di mettere in scena, tra storia e leggenda, alcuni eventi presenti nella tradizione orale.
Come già detto, la rivolta contro i Caracciolo del 1647, portò anche ad un assalto e relativo saccheggio nel Settembre dello stesso anno all'omonimo Palazzo sito nell'attuale Piazza Vittorio Emanuele, così come riportato da Elena D'Alto nel suo "Atena antica" pag 124. A questo atto seguì un "aspro castigamento" e un regime di terrore che durò ben 18 giorni. La repressione del 1648, fece quindi seguito ad una rivoluzione generata da una tassazione che aveva raggiunto proporzioni ormai non più accettabili dalla popolazione locale. Nella ricostruzione teatrale degli anni 70, questo evento storicamente rintracciabile, diventò un assalto al castello in epoca medievale in cui il signore del tempo viene ucciso e mangiato, perché macchiatosi della grave colpa di aver preteso di esercitare lo ius primae noctis. .
Niente di più falso quindi nel racconto di questo atto di cannibalismo a danno di un nobile medievale, come ampiamente dimostrato nel citato scritto, così come poco attendibili ho dimostrato essere altre vicende narrate dai miei compaesani e che appartengano ad un passato relativamente recente e quindi avulse dalla storia locale.
Il mio pensiero è infatti sempre lo stesso e i fatti continuano a darmi ragione: non si possono fare validi progetti per il futuro, né condivisibili da molti, senza prima aver recuperato il nostro vero passato e le nostre tradizioni.
Non più di 15 giorni fa ho avuto modo di riprendere le fila di un discorso iniziato qualche anno addietro (se ricordo bene era la primavera del 2003) con l'allora Assessore all'Ambiente Pasquale Iuzzolino ed il Direttore Artistico della Compagnia Efesto Theatre di Recanati e di trasformare finalmente quell'idea in progetto.
Un progetto culturale di ampio respiro, che ho voluto chiamare “Lu cuntu ri Atena nosta” per un dovuto riconoscimento all'impegno di quei giovani che negli anni 70 e al loro progetto indubbiamente innovativo e mai più ripreso da altri.
Tornando al progetto che mi vede impegnato insieme all'attuale Sindaco Pasquale Iuzzolino e al citato Vincenzo Massetti, questo prevede l'individuazione di 5 episodi salienti del nostro passato, la restituzione di questi al giusto contesto storico eventualmente smarrito ed infine, la loro condivisione con la cittadinanza in modo insolito ma non del tutto nuovo e cioè attraverso la messa in scena teatrale. La collaborazione con Efesto Theatre ci ha permesso di non ridurre la condivisione del “fatto” al solito convegno, comunicazione tendenzialmente tediosa a cui parteciperebbero i soliti (pochi) noti, ma di proporla attraverso quella sicuramente più immediata e più “leggera” della messa in scena teatrale.
Un'operazione dall'alto valore culturale perché importante nei contenuti, di innegabile interesse comune e fantasiosa nella rappresentazione.
Sono da sempre convinto che la cultura, per raggiungere il suo scopo, debba essere bagaglio di tutti. I tempi della “stregoneria “legata alle ricerche di archivio ad appannaggio di pochi colti, è finito perché oggi, per fortuna, molti hanno una preparazione che va oltre il semplice saper leggere, scrivere e far di conto.
Tornando al progetto, raccoglierà sotto il nome “Lu cuntu ri Atina nosta”, gli eventi della nostra storia e tradizione che ho individuato e che nei prossimi cinque anni racconteranno a noi stessi e agli altri in pubblica piazza, spaziando dal mito (Atteone) al fatto storico controverso (il sogno premonitore di Cicerone), dalla memoria popolare all'evento certo (le invasioni barbariche, i fatti del maggio 1648 ed il terremoto del 1857), sono i seguenti:

1. Il mito di Atteone (24 Agosto 2013);
2. Il sogno premonitore di Cicerone (presumibilmente nel 2014);
3. Le invasioni barbariche del Medioevo (presumibilmente nel 2015);
4. La rivolta contro i Caracciolo del 1647-48 (presumibilmente nel 2016) :
5. Il terremoto del 1857 nel racconto di Mallet e di don Vincenzo Giachetti (presumibilmente nel 2017).

E' intenzione del Sindaco Iuzzolino e di tutta l'Amministrazione, individuare in questo progetto che potremmo definire di “politica culturale”, un appuntamento da riproporre ogni anno nella stessa data, affidandone la gestione alla Pro Loco con la collaborazione del sottoscritto.
La messa in scena dell'episodio ricostruito sarà invece affidata già a partire da questo anno, al bravissimo Vincenzo Massetti e alla sua Compagnia Efesto Theatre.
Altro aspetto interessante del progetto, il coinvolgimento della popolazione che potrà liberamente partecipare al corteo in costume medievale e vivere così l'evento in prima persona come figuranti. Ancora più interessante la possibilità che si vuole dare ai giovani che ne faranno richiesta di partecipare, attivamente allo spettacolo, previa un'adeguata preparazione acquisita alla “scuola di teatro e movimento sui trampoli” in corsi tenuti dagli artisti di Efesto Theatre finalizzati a creare lavoro nel mondo dello spettacolo.
Quest'anno abbiamo iniziato tra mille difficoltà e pochissimo tempo a disposizione. In soli 10 giorni con Vincenzo Massetti, siamo stati in grado di mettere in scena il mito di Atteone, personaggio legato agli atinati dal presunto ritrovamento nei ruderi dell'anfiteatro, di “un marmo” rappresentante Atteone tramutato in cervo. Questo ritrovamento, da cui deriverebbe lo stemma di Atena e di cui parlano l'Albirosa ed il Curcio-Robertini, il Dott. Michele La Cava lo nega fortemente, tanto da asserire a sua volta: “Con buona pace di stessi autori, questo marmo non si è mai trovato” (Dott. Michele La Cava in Istoria di Atena Lucana pag. 60). Sempre nel suo testo troviamo inoltre la descrizione dello stemma di Atena (op. cit. pag. 59), rappresentato da uno scudo al cui interno è raffigurato un cervo ferito con in bocca una striscia riportanti le parole di Ovidio: “Acteon ego sum, Dominum cognoscite vestrum”. Lo stesso La Cava, riferisce poi che lo stemma è molto antico, sebbene il “marmo” ubicato in piazza riporti però la data 1739. Se lo stemma in piazza è quindi relativamente recente, è da credere che la Cava abbia rinvenuto almeno un riferimento ad Atteone in qualche documento del passato.
Il Mandelli inoltre, (sempre nella citata opera del Dott. La Cava pag. 60) riporta la credenza delle genti del paese che il colle di Atena fosse il luogo in cui Atteone fu sbranato dai suoi cani, dopo la metamorfosi voluta da Diana.
Non c'è però da stupirsi di questo, in quanto ancora oggi il mito di Atteone, con molta ingenuità viene confuso da alcuni con una leggenda locale narrata come un evento fantastico ma possibile, tanto che in chiusura del racconto può capitare di sentir esclamare dal narratore di turno: “ca va trova si po' è succiesu veramenti” (letteralmente: “che poi, chissà se è veramente successo”).
Questa l'ennesima prova dei danni derivati da una gestione “allegra” della nostra storia e da una manipolazione pericolosa della nostra memoria, che è sempre più causa di un'innegabile perdita d'identità e di importanti valori culturali a cui da anni non si sta dando più il giusto peso.
O meglio: quello che io ritengo sia il giusto peso da dare al nostro patrimonio immateriale e che tento giorno per giorno di trasmettere ai giovani, con la dovuta umiltà ma con altrettanta fermezza.

A chiusura di questa breve descrizione del programma concordato dal sottoscritto (per quanto mi riguarda, sia ben chiaro che è in forma totalmente gratuita e quindi per il solo amore per la cultura), il bravo Vincenzo Massetti e l'Amministrazione di Atena Lucana, attraverso il Sindaco Pasquale Iuzzolino, voglio chiedere scusa per l'estrema sintesi cui sono stato costretto nella descrizione del progetto e di eventuali lapsus contenuti nelle mie dichiarazioni nelle interviste alle TV locali. Chi ha avuto a che fare con le dirette sa bene che i tempi delle Tv non sono certo quelli dilatati dei convegni e che, sebbene si abbia la ferma intenzione di dire tutto e bene, difficilmente si riesce a sintetizzare al meglio nei tempi concessi. A questo si aggiunga il poco tempo a disposizione non solo per stilare un documento curato da fornire gli organi di stampa, ma anche la stanchezza mentale causata dalla febbrile attività di questi ultimi giorni. Credo però che il risultato ottenuto da tutto il gruppo, testimoniato dalla grande affluenza di pubblico, faccia perdonare ampiamente le piccole sbavature mie e degli altri organizzatori. 
Va precisato almeno in questa sede in modo più chiaro che l'evento legato alla manifestazione "i mangia signuri ri Atena" alla sua seconda edizione comprende la sfilata in costume e i giochi, aspetto organizzato e curato dalla Pro Loco, mentre la rappresentazione teatrale è frutto della collaborazione tra il sottoscritto e Vincenzo Massetti ed infine, i fuochi pirotecnici dal castello a chiusura della serata sono stati invece curati dal Sindaco Pasquale Iuzzolino. Questi diversi momenti della manifestazione del 2013 saranno la struttura della stessa così come verrà riproposta nei prossimi 5 anni  in quel più ampio progetto culturale che ho proposto all'Amministrazione da tempo a cui si è dato il nome: "Lu cuntu ri Atena nosta". 

Tornando alla suddetta manifestazione, non si deve quindi confondere l'aspetto della ricostruzione della nostra tradizione e della nostra storia e che è stata demandato alla sola messa in scena dalla Compagnia di Vincenzo Massetti, con la sfilata in costume e i giochi tra "contrade", che  nulla hanno a che vedere invece con la nostra storia e ancor meno con la nostra tradizione. Come ho avuto modo di dire proprio in un'intervista rilasciata qualche giorno fa ad una Tv locale, dire che gli atinati si siano macchiati della colpa di aver  mangiato un essere umano in passato, è una cosa altrettanto ridicola delle accuse mosse in altri tempi ai comunisti di mangiare i bambini. Quel "mangia signori" infatti, come ho ampiamente dimostrato con le mie ricerche, è da assimilare in altro contesto storico e geografico, a "mangia preti", poiché il senso del nomignolo che ci venne affibbiato dagli abitanti dei paesi limitrofi, era il voler sottolineare l'avversione dei miei compaesani ad accettare di buon grado le angherie e i soprusi dei signorotti del tempo. Il tempo poi non è il medioevo, ma il biennio 1647-1648, periodo che si innesta nel contesto della rivoluzione di Tommaso Aniello (Masaniello). Anche questa seconda edizione della rievocazione storica quindi muove non dalla leggenda popolare e perciò dalla tradizione, ma dalla leggenda metropolitana cosa facilmente verificabile da tutti, in quanto in nessun documento più o meno antico, conservato negli archivi di Atena o altrove, compare mai un benché minimo cenno a questo evento che, ribadisco ancora una volta, è frutto della fantasia di un gruppo di giovani degli anni 70. 

D'altra parte mi rendo conto delle esigenze dello "spettacolo". Se tentassi di intrattenere una platea con la storia della costruzione del castello di Atena, avrei un certo numero di astanti e, tra questi, un numero ancora più ridotto di persone interessate alle mie parole. Se invece m'inventassi di sana pianta una storia di fantasmi senza testa che si aggirano sugli spalti nelle notti di luna piena, sono altrettanto sicuro che gli interessati alle mie scempiaggini sarebbero molti di più. Questa l'unica giustificazione alla scelta, per il secondo anno, di voler puntare sull'aspetto grottesco invece che sulla ricostruzione storica.

La mia speranza è che il prossimo anno avremo più tempo a disposizione così da poter finalmente dare un'impronta diversa alla manifestazione, facendo sì che la "festa" possa finalmente coincidere e trovare una sua giusta dimensione. nella sfera della cultura. Con più tempo a  disposizione ed il rispetto dell'Amministrazione dell'impegno preso a recuperare seriamente la nostra storia e le nostre vere tradizioni,  avremo modo di organizzare l'evento con maggiore cura, ma. soprattutto (spero) con la partecipazione di tutta la cittadinanza, perché di tutti gli atinati sono la propria storia e le proprie tradizioni.


domenica 10 febbraio 2013

Dello scomparso Palazzo Marino ed altre doverose precisazioni

Nel 2004 esce, a cura di G. Ferrari e per la SGA Editore, il libro "Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857. L'opera di Robert Mallet nel contesto scientifico e ambientale attuale del Vallo di Diano", a cui sono allegate alcune mappe delle aree interessate dall'evento sismico ed un DVD.
Il libro riporta le testimonianze di questo ingegnere irlandese dell'ottocento, raccolte da lui stesso durante il viaggio nelle aree colpite dal disastroso sisma del 1857 ed intrapreso su incarico della Royal Society of London, allo scopo di studiare e capire gli effetti dei terremoti e migliorare le conoscenze dell'epoca sulla sismologia.
L'opera, sebbene datata, è ancora oggi di grande interesse non solo per gli "addetti ai lavori", ma anche per chi non ha una preparazione tecnica, perché è indubbio il fascino che le vecchie foto esercitano, spingendo bene o male tutti a cimentarsi nel riconoscimento di persone e luoghi lontani nel tempo. Fascino che l'opera del Mallet conserva inalterata nel tempo e che esercita anche sulle nuove generazioni, perché tante sono le foto dei paesi colpiti scattate dal fotografo francese Alphonse Bernoud che lo accompagnava nella spedizione ed altrettanti i disegni dello stesso Mallet a commento del suo diario di viaggio.
Opera pregevole dicevo e descrizione abbastanza precisa ed accurata, almeno per quei luoghi che mi sono familiari perché li studio da tanti anni, fin dai tempi in cui si demoliva e s'interveniva senza alcun rispetto delle preesistenze e senza troppi ripensamenti, tempi in cui si era ben lontani dall'idea (non che oggi sia molto cambiato il modo di pensare) che ci fosse qualcosa da preservare e conservare. Luoghi che ricordo una volta pieni di vita e che oggi sono quasi totalmente disabitati e in cui da tempo mi aggiro come un fantasma, talvolta da solo, altre volte con amici e compagni di studi, ad osservare, prendere appunti, fotografare, misurare, ricostruire idealmente quello che poteva essere. Pochi interessati quelli che ormai da un anno stanno condividendo con me questa esperienza e le conoscenze legate al nostro diverso corso di studi, ben consapevoli che il lavoro di ricerca è un lavoro serio, lungo, faticoso e parecchio costoso. Ci confortano però i risultati, perché più andiamo avanti, più scopriamo cose nuove e ci accorgiamo che poche sono le certezze e tanti i dubbi sulla storia di una bellissima realtà mai veramente conosciuta e perciò talvolta descritta con qualche imprecisione più o meno grave.
Il centro storico di Atena oggi ha difficoltà a raccontarsi e a noi che gli chiediamo informazioni risponde come un amico confuso perché non ricorda più chi è. Sempre più evidente ci appare invece la drammaticità di quella inutile e lontana richiesta di aiuto della scomparsa e compianta Dottoressa Elena D'Alto, agli Enti ed ai suoi concittadini, in un libro di ampio respiro sulla nostra storia, ultimo di una trilogia che inizia con La Cava e che arriva a lei passando per Curto. Questi, ancora oggi, gli unici testi che pur con qualche incertezza o piccole imprecisioni, si possono ritenere attendibili, insieme a pochi documenti antichi e rare fotografie d'epoca sopravvissute al disinteresse di troppi. Altrettanto utili, anche i ricordi degli ormai pochi testimoni diretti di certi cambiamenti.
Al di fuori di questo: antichi palazzi “perduti”, ricostruzioni di castelli del tutto improbabili e cannibali laureati che non sono buoni nemmeno per farci una sagra. Tutte “verità storiche”che hanno però, in un modo o nell'altro, trovato l'avallo di chi invece doveva verificare l'attendibilità del dato e fermare la diffusione di falsi storici e leggende metropolitane.
Alcune di queste imprecisioni sono rinvenibili ad esempio nella parte scritta da autori locali a completamento del citato volume sul viaggio di Mallet, notizie che, insieme ad una bibliografia non accreditata, hanno goduto della credibilità a loro estesa, per una sorta di proprietà transitiva, dalla condivisione della fortuna di un testo di grande notorietà ed attendibilità storica.
Altro documento ufficiale, più o meno coevo alla pubblicazione del citato volume di Mallet e che ha contribuito alla diffusione di informazioni storiche errate, è il totem antistante il mercato coperto, un elemento di arredo urbano la cui funzione, sotto l'egida di Enti quali la Comunità Montana, la Pro Loco ed il Comune, è far conoscere palazzi, piazze e monumenti locali. Le errate informazioni si sono diffuse negli anni senza smentite e oggi le ritroviamo, oltre che nel citato testo di Mallet, su vari siti internet, soprattutto legati alla pubblicità di alberghi e ristoranti, per rendere più accattivanti pacchetti turistici con iniziative “culturali” varie.


Il totem di Atena Lucana

Dettaglio del totem di Atena Lucana


Purtroppo a nulla sono valse le mie tempestive segnalazioni a riguardo ed ai rischi connessi alla loro diffusione; così come per il libro di Mallet, la “cornice” era troppo costosa perché si potesse pensare di sostituire la “tela” e si è finito per ufficializzare un falso storico, perché in un contenitore molto costoso.
In questo contesto, ricostruire la storia di un luogo non significa solo cercarne le tracce e scriverne, ma anche riscrivere il già detto, perché si rende necessario prima ripulire il racconto del passato dalla parte posticcia, così come a volte è stato necessario liberare una facciata da quegli intonaci inopportuni che hanno nascosto le epigrafi murate nell'edificio. 
Inutile precisare ancora una volta che a monte di questo, come degli altri miei scritti, non è la polemica sterile, ma la speranza di restituire alcuni episodi ed edifici di Atena alla verità storica.
A distanza di anni ancora cerco quello che è stato colpevolmente dimenticato e malamente riscritto, con la speranza che possano invogliare le nuove generazioni alla ricerca della nostra identità.



Palazzo Marino, come si presentava alla fine degli anni 70. 
A destra, ad angolo, il prospetto orientale di Palazzo Pessolano Filos, già rimaneggiato


Palazzo Marino

Possiamo riassumere in queste poche note la sua storia: è ubicato nello slargo di Via Borgo Braida (detta anche Via Umberto I), di fronte “alle case dei Mango” e contiguo a Palazzo Pessolano (in seguito Pessolano-Filos), donato qualche decennio fa alla Congregazione delle Suore Ancelle dell'Immacolata.  

Fu costruito da Don Severiano Marino, Abate e membro del capitolo di Santa Maria Maggiore,  nell'ultimo trentennio del 1700, come testimonia la data 1781 riportata nella chiave di volta del portale, in cui si legge chiaramente: << DSEV. AB. MAR F.F. A.D. 1781>>.

La chiave di volta ed il gancio per lo stemma sull'ingresso più antico di Palazzo Marino
Inequivocabilmente palazzo Marino quindi e non Di Santi, eppure, incomprensibilmente così riportato nei suddetti e recenti documenti ufficiali, correndo il rischio di consegnare alla storia un palazzo Di Santi del tutto inventato e, nel contempo, perdere memoria di uno tra i più antichi e tante volte citato in documenti dell'epoca, come gli Status Animarum (sebbene indirettamente), ma non solo.
Infatti, palazzo Marino o dei Marini[1] è citato in testi a carattere storico, redatti da vari autori, a proposito del ritrovamento dei ruderi di un presunto anfiteatro (o teatro, secondo altri autori), in occasione di lavori stradali che a fine ottocento hanno interessato via Borgo Braida.
L'anfiteatro viene ubicato nello slargo antistante palazzo Marino in:

"Istoria di Atena Lucana" -1893 – pubblicazione del Dott. Michele La Cava
nota 2 a pag. 50 
pag 73
pag. 92)

Notizie storiche sulla destrutta città di Atinum Lucana dai tempi incerti fino al secolo XIX” - 1901 – pubblicazione dell'Avv. G. B. Curto
pag. 40
pag. 91

Tornando alla storia del palazzo, l'abate Severiano, costruttore dello stesso, lasciò l'edificio in eredità ai figli del già defunto fratello Elia. 
A questo punto, senza dilungarci ulteriormente in questioni genealogiche, che saranno trattate altrove e a tempo debito, possiamo desumere che vari decenni più tardi, dagli eredi di Elia, il palazzo sia stato acquistato da Luigi Di Santi, padre di Vincenzo, Giuseppe, Basilio ed Amelia o forse dai tre fratelli insieme.
Nel corso degli anni, le parti di questo edificio di proprietà di Vincenzo, Giuseppe, Serafino e Reginalda, ma non quella di proprietà di Basilio, saranno in parte ereditate e per il resto acquisite dal Dott. Ettore di Santi, di cui i suddetti erano rispettivamente: padre, zio,  fratello e sorella[2]. Alla morte del Dott. Ettore Di Santi, avvenuta nella prima metà degli anni '70, la parte di palazzo Marino di sua proprietà passerà ai di lui 3 figli: Luigi, Concetta (poi Castellano) e Antonietta (poi Vitiello).
Ultima informazione di interesse storico riguarda lo stemma araldico che domina il portale di questa parte dell'edificio, trafugato pochi anni dopo l'evento sismico del 1980. La chiave di volta del portale a destra, quella appunto sormontata dallo stemma, ha una terminazione a punta, presente anche in altri portali di palazzi di Atena privi dello stemma di famiglia. Spiegazione plausibile a giustificare la terminazione a punta invece di una “a cuscino” potrebbe essere il diritto a fregiarsi dello stemma araldico non coevo alla sua realizzazione, in quanto riconosciuto a Don Francesco Marino, decurione e sindaco dell'università di Atena, nipote di Severiano Marino.
Questo per quanto riguarda i passaggi di proprietà dell'ultimo piano e dell'ala destra del fabbricato, quindi della parte adiacente il Palazzo Pessolano-Filos che, come già accennato, è attualmente sede dell'Istituto delle Suore Ancelle dell'Immacolata.
La parte sinistra di Palazzo Marino, come si vede nella foto, in origine leggermente più bassa di quella appena descritta (per i motivi che diremo in un lavoro in fase di realizzazione e che ne traccerà tutta la vera storia), ad esclusione dell'ultimo piano, era stata ereditata dal dott. Basilio. Il portale da cui oggi vi si accede è più semplice ed in chiave è privo delle cifre o di altri riferimenti ai Marino e questo credo possa legittimamente far sorgere il dubbio che il portale, così come oggi lo vediamo e che porta la data 1920 in numeri romani, non sia coevo alla realizzazione dell'edificio stesso.  Anche questo aspetto sarà dettagliatamente trattato nel suddetto lavoro in fase di ultimazione.

Ingresso alla parte di proprietà degli eredi di Lopardo Angelo

L'unicità originaria dell'edificio però non è assolutamente in discussione, per una serie di lecite considerazioni di varia natura e che sono:

  • di ordine stilistico: impaginazione della facciata con allineamento delle aperture che restituiscono il classico vuoto su vuoto e pieno su pieno, l'identica scelta stilistica per i davanzali delle finestre del piano nobile;
  • di ordine strutturale: orditura dei solai e i muri di diverso spessore a seconda della funzione;
  • di ordine distributivo: continuità strutturali interrotte che suggeriscono le aree dei nuovi interventi distributivi;
  • perché testimoniato da varie servitù riportate negli atti notarili in seguito citati. 

Possiamo quindi dedurre che nel 1920, il dott. Basilio, nell'intento di dare indipendenza alla propria abitazione, abbia realizzato sul fronte principale un nuovo ingresso al piano nobile, forse semplicemente ampliando un preesistente ingresso alle pertinenze occupanti il piano terra dell'intero palazzo o, coerentemente con la terminazione destra, con la sostituzione di una delle finestre "ad oblò", tipiche dei locali adibiti a magazzini. A conforto della mia ultima ipotesi di ricostruzione, l'adiacente pertinenza appartenente tuttora all'altra proprietà, in origine finestra di magazzino, trasformata negli anni 60 in porta metallica di accesso al garage, dalla famiglia Di Santi. Se non vi fosse stata altra apertura sul fronte, il fabbricato, in cui si è avuto cura anche dei davanzali delle finestre al primo piano, sarebbe stato privato di quell'eleganza d'insieme, data appunto dalla citata sovrapposizione del “vuoto su vuoto e pieno su pieno”.  In sintesi, finestra o ingresso ai magazzini che fosse, dobbiamo ammettere necessariamente la presenza di un ulteriore vuoto, anche lì dove nel 1920 verrà realizzato l'ingresso al piano nobile della proprietà del dott. Basilio.
Contemporanea ritengo, per i suddetti motivi, la realizzazione di due nuovi setti murari ad angolo, che gli permettevano di separare in nuovo ingresso al piano nobile, dalle pertinenze al piano terra e anche di una nuova rampa della scala interna, che gli garantiva l'indipendenza dell'accesso dal nuovo ingresso all'alloggio al primo piano. Precedentemente alla realizzazione di queste opere, il dott. Basilio poteva raggiungere i suoi alloggi al primo piano dalla scala presente nell'unico originario ingresso al fabbricato e cioè quello risalente alla costruzione del palazzo e sormontato dal cartiglio. L'alternativa, molto meno elegante e non attuabile dalla piazzetta era quella di accedervi mediante la scomoda scala di comunicazione interna ai magazzini di via Stretta Della Croce. Una volta realizzato l'ingresso indipendente, l'ormai inutile apertura che dalla scala dell'atrio illuminato dal lucernario introduceva all'ala di Basilio e di cui vi è ancora chiara traccia nel mio studio, fu murata, sperando di fatto i due corpi al primo piano ma conservando, tramite i magazzini comuni, la loro unione al piano terra. Tale separazione definitiva fu poi operata da Angelo Lopardo, lasciando sopravvivere, tra le servitù che legavano le ormai diverse proprietà:

  • La finestra al primo piano, che grazie al lucernario che illuminava l'originario ingresso, illuminava anche il nuovo vano scalo di Basilio.
  • Il pozzo di uso comune, al piano terra in quell'area oggetto della suddetta separazione.
  • Lo scarico in una fossa settica comune ubicata nell'orto retrostante il fabbricato, negli anni spostata di qualche metro ed ampliata, per le mutate esigenze sopravvenute ed in cui hanno confluito gli scoli di bagni, cucine, stalle, magazzini, ecc., fin ben oltre la realizzazione della rete fognaria al Borgo, risalente agli anni 70 inoltrati.

Il piano terra, come già accennato, era sede di ampie pertinenze, che Vincenzo Di Santi, fratello di Basilio, pensò di utilizzare come "ammasso", cioè come magazzino per la raccolta di prodotti agricoli. Un ingresso ai magazzini ancora riconoscibile, era ubicato sul fronte orientale, nel piccolo slargo di Via Stretta della Croce, molto più ampio all'epoca della realizzazione del palazzo, in quanto non esisteva nemmeno l'adiacente frantoio della famiglia Pessolano Filos, ultimato nei primi dell'ottocento. Ha in chiave la cifra “M”, che allude chiaramente ai Marino ed è sormontato anche stavolta dalla classica apertura di areazione ed illuminazione dei magazzini, come meglio si dirà in seguito. 

A destra, l'ingresso ai magazzini di palazzo Marino in Via Stretta Della Croce e, nascosta alla vista dal muro a sinistra della finestra a piano terra, l'originario ingresso al frantoio dei Pessolano-Filos.

Dettaglio del portale, con  la cifra "M" in chiave

Tornando all'ingresso principale all'abitazione di Basilio, sempre in chiave, al di sopra della menzionata data in numeri romani, è presente un'incisione purtroppo non molto leggibile ma in cui credo di poter identificare un caduceo, simbolo che richiama alla professione medica, effettivamente esercitata da Basilio. Nella composizione sono chiaramente riconoscibili un serpente ed un bastone mentre, la parte meno leggibile, sembra rappresentare la coppa di re Guda o forse il copricapo alato e capovolto di Hermes.
Il 24 Ottobre 1931, la signora Zoe Cappelli fu Enrico, vedova del Dott. Basilio Di Santi, nello studio del notaio Giuseppe Coiro di Felice, residente in San Pietro al Tanagro, vende la parte di edificio di sua proprietà a Giovannina Scotese, moglie e procuratrice di Lopardo Angelo di Antonio, all'epoca residente in Montevideo per ragioni di lavoro.
Lo stesso fu, all'inizio degli anni 80, ereditato dalla signora Gentile Ermelinda (mia madre), attuale proprietaria.


Dettaglio della chiave di volta con il Caduceo e la data MCMXX

In chiusura, una breve ma interessante divagazione.
L'ingresso ai magazzini dell'ammasso dal piccolo slargo di Via stretta della Croce, così come quelli nel prospetto principale su via Borgo Braida, sono denunciati, oltre che da dagli anelli in pietra dove venivano legate le bestie da soma, anche da piccole aperture protette da inferriate e poste ad un altezza tale da consentire una buona illuminazione e areazione dei locali ma, anche per questioni di sicurezza, non un affaccio. Sul fronte del Borgo, a poca distanza dall'ingresso dell'abitazione della Sign. Gentile Ermelinda, l'anello per le bestie da soma è metallico ed è cementato nella bocca di in un elegante volto in pietra. Sempre davanti l'ingresso principale (rimosse negli anni 70), due elaborate colonne cilindriche in calcare, simili a quelle ancora presenti all'ingresso dell'adiacente edificio religioso. Con lo stesso affaccio su via Stretta Della Croce del prospetto orientale del palazzo Marino, vi era anche l'ingresso ad un frantoio di proprietà dei Pessolano Filos (anche questo, da qualche anno, di proprietà della signora Ermelinda Gentile), il cui portale in pietra, occultato alla vista dalla strada da abusi edilizi risalenti agli anni 70, poi sanati con la 47/80, porta scolpita in chiave la data 1801. La sua fattura è identica a quella dell'adiacente ingresso all'ammasso, così come le aperture di aeroilluminazione sono identiche a quelle prima descritte e che ritroviamo non solo ad illuminare ed areare i magazzini di palazzo Marino , ma anche di quelli dell'adiacente Palazzo Pessolano-Filos , ora sede dell'istituto religioso (modificate da lavori di ammodernamento negli anni 90), di quelli dell'abitazione attualmente di proprietà della famiglia Mango e, ancora, quasi in Piazza Vittorio Emanuele, ad illuminare ed areare quelli dell'abitazione più vecchia dei Pessolano- Filos (in origine palazzo Cimino) e del Palazzo Curto/D'alto. La stessa tipologia è poi rinvenibile in molti palazzi storici dentro le mura medievali. Questo ripetersi di scelte formali per le aperture, credo siano la dimostrazione di una coerenza stilistica protrattasi per almeno un cinquantennio e di cui si parlerà diffusamente in un lavoro sui palazzi ed i portali del nostro comune. 

Tutto questo, sempre nella speranza di essere stato di essere stato utile all'università di Atena Lucana.


Note:

  1. In La cava si ritrova ubicato in Via Borgo Braida, invece di palazzo Marino, "casa De Marino" o anche come "abitazione del signor Marini", per indicare "dei Marino", "di proprietà dei Marino". Nel secondo caso trattasi, ovviamente, di improprio uso al plurale del cognome.
  2. Giuseppe Di Santi, alienata la sua parte, abiterà un palazzo ottocentesco ubicato a ridosso del tratto a sud della cinta muraria medievale. Per completezza d'informazione, c'è da dire ancora che al tempo risiedeva in Palazzo Marino, pur non essendo proprietaria di alcuna parte dell'immobile, anche la signora Amelia, zia di Ettore di Santi e che sarà la madre dell'Arciprete Don Giuseppe Gallo.


  • La ricostruzione dell'impianto originale l'ho dedotta dall'osservazione diretta dell'edificio e da considerazioni di carattere stilistico, distributivo e strutturale.
  • La ricostruzione del passaggio dell'immobile dagli eredi dei Marino alla famiglia Di Santi, è stata possibile grazie alle informazioni fornitemi dalla signora Gentile Ermelinda, erede diretta di Scotese Giovanna e Lopardo Angelo.
  • La ricostruzione del passaggio dell'immobile dagli eredi di Basilio Di Santi a Scotese Giovanna e Lopardo Angelo è stata possibile grazie alla lettura degli atti notarili e dalle informazioni fornitemi dalla suddetta signora Gentile Ermelinda.
  • La ricostruzione della genealogia della famiglia Marino e dei passaggi del palazzo tra i vari eredi della famiglia, è stata possibile grazie alle notizie di archivio fornitemi dall'amico Francesco Magnanti e da successivi studi di approfondimento fatti dal sottoscritto. 




La salita del petto con la sua diramazione sinistra, verso Porta D'Aquila e destra, verso Porta Piccola


Porta D'Aquila:

Era l'ingresso all'abitato attraverso la diramazione sinistra (per chi sale dalla valle) della “via del petto”, un antico percorso che si staccava dalla Via Annia o Popilia (cfr Prof. V. Bracco in "Storia del Vallo di Diano Vol. I - Laveglia), la consolare romana che da Capua conduceva a Reggio attraversando longitudinalmente la Valle e risaliva la collina, poco più che una mulattiera, per permettere l'entrata nel nucleo abitato intra moenia, attraverso Porta D'Aquila. La diramazione destra conduceva invece alle altre due porte di accesso all'abitato: Porta Piccola, che era rivolta verso mezzogiorno e Porta della Piazza o Porta di Roma, rivolta circa ad est.
Porta d'Aquila, come la scomparsa Porta Piccola, è rivolta verso il Vallo di Diano e verso gli Alburni, la catena montuosa che lo divide dal Cilento. Il Cilento che affaccia sul mar Tirreno, il nostro mare ad ovest. Porta D'Aquila, che guarda in direzione del mare, di conseguenza guarda ad ovest (per la precisione a nord-ovest) e non già ad est.
Del resto, ogni atinate sa per esperienza diretta che il sole tramonta alle spalle degli Alburni in direzione di San'Arsenio e che, inequivocabilmente, quello è  l'occidente, e sa che sorge tra il comune di Brienza e quello di Sala Consilina, che sono ovviamente tra nord-est e sud-est o, se si preferisce, verso oriente.
L'erronea posizione di Porta d'Aquila rispetto ai punti cardinali è riportata nel discutibile contributo atinate alla ristampa del libro di Mallet, in cui si legge: “[...] mentre la Porta d'Aquila, posta nel lato orientale del nucleo storico, di origine medievale, immette nel primo girone ellittico del centro storico.”

L'abitato contenuto all'interno delle mura del XIV sec.
La freccia indica la posizione di Porta D'Aquila.

Eppure,  già in G. B. Curto, Capo VI – Epoca Presente - pag. 72 poteva rinvenirsi: “L'Atena medioevale, occorre ripeterlo, forse occupa il sito dell'antica Acropoli ed aveva mura e torri con tre porte: porta della piazza a sud est, porta piccola al sud ovest, e porta dell'aquila al nord ovest [...]”. 
Anche a non voler dare alcun credito all'antica esistenza di una Via Aquilia http://www.centrostudivallodidiano.it/ViewDocument.aspx?catid=6ff59741ea044a89bfd61b78cf1890aa&docid=b805ab16eb994b868a48f943e62c1c3d
invece che Annia o Popilia, come asserito da altri studiosi (come ad es. il già citato prof. V. Bracco), altra interessante ipotesi sull'origine del nome dell'antica porta è emerso durante una ricerca d'archivio condotta dall'amico F. Magnanti, nel corso dei nostri studi sul sito di Atena Lucana. Nell'occasione fu da lui rinvenuto un documento in cui si faceva riferimento ad un'abitazione e di una sua "porta ad Aquilonem", poi chiusa.
Da qui la sua ipotesi, per me logica, di poter ricondurre il nome dell'attuale Porta d'Aquila alla sua posizione rispetto al punto da cui soffia il vento di Tramontana, chiamato appunto Aquilone. Plausibile infatti, far risalire il nome della porta ad un originario "Porta ad Aquilonem" o forse, come nel caso del circuito murario a Firenze: "Porta contra Aquilonem".
In ogni caso, del tutto inventato e senza fondamento storico la leggenda metropolitana messa in giro da qualche anno e a scopi puramente commerciali, che vorrebbe far risalire il nome ad una mai documentata e provata presenza di aquile nel Vallone Arenaccio.



Il portale di Palazzo Spagna,  fine anni '60

Palazzo Spagna

sempre ad integrazione di quanto contenuto nel citato testo di Mallet, la descrizione data da questo edificio storico di Atena Lucana, la cui fama (ovviamente a livello locale) è seconda soltanto a quella di Palazzo Caracciolo, è la seguente: Palazzo Spagna, databile intorno alla fine del Seicento, ha in facciata un bel portone in pietra al centro del quale è posto lo stemma della famiglia […]e ancora “Palazzo Spagna: portale barocco
Una prima precisazione va fatta proprio a riguardo della descrizione poco felice delle componenti architettoniche: i portoni si costruiscono in legno, magari rivestito di metallo, ma mai in pietra altrimenti, a causa del loro eccessivo peso, non potrebbero essere aperti, venendo così meno alla funzione per la quale sono stati realizzati e cioè di ingresso alle abitazioni. Di pietra sono invece i portali e, riguardo a quello di Palazzo Spagna, importante è la datazione stilistica a mio giudizio non corretta, poiché anticipata di un paio di secoli. 
Lo stile Barocco in Architettura cominciò a svilupparsi a partire dal 1630 e non fu subito accolto con favore, specialmente dai fautori di un maggiore purismo stilistico che, tra le pecche di questo linguaggio, principalmente, individuavano proprio la sua mancanza di regolarità conseguente all'uso preponderante di forme dall'andamento sinuoso. Ellissi, spirali ed ogni sorta di costruzione policentrica sostituiscono infatti la razionalità dell'arco a tutto sesto, così come le linee sinuose sostituiscono la linea retta. La meraviglia ottenuta dalla forte teatralità, dalla decorazione eccessiva (talvolta esasperata), dai giochi di ombre negli articolati volumi, dovevano stupire. Riportare in questa sede le motivazioni di tale scelta stilistica sarebbe inutile e forse per alcuni anche noioso e perciò rimando, coloro i quali avessero interesse ad approfondire l'argomento, ai testi di storia dell'Architettura. Basti solo aggiungere che lo stile barocco rappresenta una chiara infrazioni a regole codificate e che tende a negare proprio gli aspetti di equilibrio ed armonia a fondamento dell'architettura classica, per concentrarsi invece sugli effetti formali ottenuti dal contrasto tra norma e deroga.
Osservando il portale di Palazzo Spagna, appare evidente che tali scelte stilistiche non sono invece predominanti nella sua composizione.
Riminiscenza chiaramente barocca sono le volute con angioletti ai lati dei piedritti, che invece si rifanno ad elementi dell'architettura classica (greca e romana), recuperati e riproposti negli stili architettonici successivi, sebbene ogni volta con differenziazioni. Come i suddetti piedritti, riminiscenze dell'Architettura antica sono anche i triglifi, altro elemento decorativo presente già in quella greca e poi ripreso da quella romana e che consistono in un fregio inserito nelle trabeazioni dell'ordine dorico, alternatamente alle metope
Ancora di riminiscenza classica, stavolta tipico dell'Architettura romana, è l'arco a tutto sestoelemento portante fondamentale e di larga diffusione nell'Architettura Romanica, poi abbandonato in favore di quello a sesto rialzato (o ogivale) nell'Architettura gotica, ripreso in quella rinascimentale con la riscoperta dell'architettura classica ed in particolare di quella dell'antica Roma e, di di nuovo “in disgrazia” nel periodo barocco, sarà ancora in auge nell'Architettura neoclassica.
Il barocco, com'è noto, è un movimento che muove dal manierismo, come questo dal rinascimento ed è proprio in questa evoluzione degli stili che è riposta la giusta chiave di lettura del suddetto portale.
Al di sopra della trabeazione appena descritta vi è un arco spezzato, altro elemento architettonico di rilievo nella composizione e che allude a quell'utilizzo tanto raffinato quanto disinvolto degli ordini classici che, come in questo caso, si spinge fino alla negazione della funzione strutturale. Questa tendenza è tipica dell'Architettura manierista, così come venne etichettata la tendenza non solo dell'Architettura ma di tutta l'arte, a partire dalla metà del XVI.
L'invenzione di questo artificio scenografico lo si deve a Michelangelo Buonarroti, uno dei geni dell'architettura italiana che lo utilizzerà la prima volta nella tomba di Lorenzo De Medici a Firenze e poi nel 1560, addirittura racchiuso nel frontone triangolare di Porta Pia a Roma, tanto per citare soltanto due tra gli episodi più noti. Al di sopra dei due mezzi archi ribassati, ancora un richiamo al barocco, dato dalle due "fiaccole".
Presi separatamente, nel portale lapideo di Palazzo Spagna troviamo riferimenti a svariati stili architettonici, ma non bisogna dimenticare che nella metà del 700 l'Architettura approdava ad una sorta di sincretismo il cui risultato fu la mescolanza, in una sola opera, di più linguaggi architettonici. Questo nuovo stile che, così come già l'Architettura del Rinascimento, guardava ancora una volta al passato, fu denominato neoclassicismo e rappresentò un fenomeno di portata internazionale che trovò la sua massima caratterizzazione nell'eclettismo, un linguaggio che s'impose per tutta la prima metà dell'ottocento. Passando per il neogreco, il neoromanico, il neogotico, il neorinascimentale, il neobarocco, ecc. rappresenterà una sorta di “revivalismo” che sarà abbandonato soltanto a partire dal 1893, quando verrà sostituito dall'Art Nouveau, il primo stile a carattere internazionale, decisamente non storicista.
Una più attenta lettura della composizione sembra escludere quindi che il portale possa essere barocco, mentre le sue inequivocabili allusioni allo stile dorico sembrano identificarlo piuttosto come neoclassico, posticipando di conseguenza la sua datazione stilistica al XIX secolo.
Come ho avuto più volte modo di dire in passato, questi rimandi stilistici sono riconoscibili nel piedritto scanalato che rilegge le forme della colonna dorica, con tanto di allusione al basamento, all'abaco e all'echino.

Del resto, anche senza volersi cimentare in una lettura articolata del portale, le iscrizioni negli stessi basamenti dei piedritti fanno coincidere l'epoca della sua realizzazione con quella in cui in Architettura era in voga proprio lo stile neoclassico. Nel basamento del piedritto di sinistra si legge infatti che il committente dell'opera fu il Canonico Michele Spagna <<DE SPAGNA HOS LAPIDES MICHAEL CONSTRUXIT ET AEDES>> ed in quello di destra la data 1807 e il nome dello scalpellino, tale Francesco Pitetti di Padula <<A. D. 1807. FRANCISCUS PITETTI DE PADULA F. (fecit)>>.


Palazzo Spagna, particolare del portale

Da queste informazioni possiamo dedurre inoltre che il materiale con cui è stato realizzato il portale è il lapideo calcareo che si estrae storicamente nelle cave di Padula, da sempre pietra da costruzione di un certo pregio e perciò utilizzata (così come quella che si estraeva a Teggiano) negli elementi rappresentativi dei maggiori monumenti del Vallo di Diano.
Difficile credere, infine, che un palazzo che si vorrebbe datare alla fine del 600, soltanto duecento anni dopo sia stato completato con il portale.
Una nota a margine: l'effetto prospettico cercato e ben ottenuto dalle scanalature dei piedritti del portale, nella trabeazione e anche nel sottostante arco a tutto sesto, enfatizzati con competenza anche dall'uso di una lavorazione diversa dei lapidei nella signorile scala antistante l'edificio, sono stati purtroppo mortificati da un discutibile intervento urbanistico degli anni 90. Quest'ultimo consiste in un uso massiccio ed ingiustificato di porfido a scaglie, esteso senza soluzione di continuità dalle scale, all'adiacente "muro della salita della piazza". Senso dell'arredo (o piuttosto: dell'orrido) urbano tutto atinate e che (purtroppo) ancora non è passato di moda, come ho già messo in evidenza nella descrizione del più recente intervento alla Schifa. 

Tutto questo, sempre nella speranza di essere stato di essere stato utile all'università di Atena Lucana.

© Arch. Angelo Sangiovanni

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lunedì 28 gennaio 2013

Una leggenda mari e monti

"Se abbiamo bisogno di leggende, che queste leggende abbiano almeno l'emblema della verità! 
Mi piacciono le favole dei filosofi, rido di quelle dei bambini, odio quelle degli impostori"
Voltaire

Altro argomento della storia di Atena ammantato di leggenda ma tramandato da alcuni come verosimile (se non addirittura come vero) ancora ai giorni nostri, è quello della torre fatta costruire da Roberto figlio di Luigi Sanseverino, nel XIV secolo, di cui parla lo storico Paolo Eterni, poi ripreso da vari altri autori nel corso degli anni a seguire, con troppa leggerezza.
Avevo già chiarito in un breve intervento la mia posizione in merito qualche tempo fa, in occasione di un mio precedente scritto sull'altra leggenda di Atena Lucana dura a morire e cioè quella dei “mangia signori” e in quel caso, citando la suddetta torre, la definii leggendaria proprio in relazione alla sua supposta smisurata altezza .
Purtroppo non sono soltanto gli atinati a credere ancora che potesse esistere una torre di così eccezionali dimensioni, ma molti autori del passato, alcuni anche piuttosto accreditati ed è proprio questo aspetto che mi spinge a chiarire in modo più dettagliato cosa renda la sua smisurata altezza, così come descritta, una fandonia.
In “Storia e produzione figurativa nel territorio del Vallo”di Antonio Braca sul quarto volume de “La storia del Vallo di Diano” e a pagina 248, a proposito di Atena, si legge: “[...] La posizione strategica dell'altura è alla base anche della morfologia urbana tipicamente medievale. Essa infatti nasce e si sviluppa con un sistema di anelli ellittici concentrici che hanno come centro il castello […] Molto probabilmente esso era parte integrante di un sistema difensivo più ampio e strategico che individua nel Vallo una posizione geografica di primaria importanza per la difesa di Salerno e della stessa Napoli. In questo contesto assume notevole valore la notizia riportata da Paolo Eterni, che ad una prima lettura potrebbe anche apparire esagerata. Lo storico del Vallo, nella sua descrizione del XVII secolo, riporta che il castello era munito di un'altissima torre dalla quale era possibile vedere non solo l'intero Vallo ma anche Salerno ed il mare [...]”. Nella nota: "P. Eterni in S. Macchiaroli, Diano e l'omonima sua valle. Ricerche storico archeologiche, Napoli 1868, ristampa Teggiano 1195, p.38
Anche in un testo recente si riporta quindi la notizia  che non viene smentita ma al contrario, in qualche misura accreditata, asserendo “ In questo contesto assume notevole valore la notizia riportata da Paolo Eterni, che ad una prima lettura potrebbe anche apparire esagerata”.
Che la torre di Atena dovesse essere alta e posizionata in un luogo alto perché senza alcun dubbio facente parte di un sistema di segnalazione visiva con altre postazioni collocate strategicamente su alture in contatto visivo tra di loro, non è in discussione. Quello che è invece rischia di dare credibilità una notizia che a me appare esagerata non solo alla prima ma anche alle successive letture, è che da questa torre si potesse addirittura vedere la marina di Salerno, tanto era alta.
Del resto Antonio Braca non è il primo e purtroppo nemmeno l'ultimo dei tanti che hanno creduto e che ancora oggi credono a quanto asserito da Paolo Eterni La notizia tra l'altro era stata già da tempo messa in dubbio in modo secco e perentorio dallo stesso Michele La Cava. a pagina 63 del suo testo “Istoria di Atena Lucana”, in cui lo stesso scrive: “A luigi Sanseverino succedette Roberto suo figlio, il quale fece edificare in Atena una torre altissima”. E al fondo della stessa pagine, alla nota 1 precisa: “.Alla quale si annette la favola riportata da varii scrittori, che dai merli di questa torre si fosse veduto il mare del golfo di Salerno. Quantunque sia stata l'elevazione di questa torre, giammai dalla sua cima poteva vedersi la marina di Salerno.”
Gli scrittori a cui si riferisce li riporta alla fine del suo testo al CAPO VII che ha per titolo “Autori che parlano di Atena”.
Riporto fedelmente, limitandomi soltanto ai passi concernenti la torre, quanto contenuto nel testo citato. 
Mandelli – Lucania, ms.- Atena Metropoli degli Atenati Vol. 2 pag. 275 “[…] Il sito è intorno ad una collina, che sopra delle altre, le quali sorgono dalla valle, alquanto si innalza; nella di cui più alta cima fu edificato un castello, hora diruto. Eravi nel mezzo un'alta torre, dalla quale si discopriva, come dicesi, il mar tirreno, quinci lontano intorno a...miglia: [...]
Troyli – Istoria Generale del Reame di Napoli, Tomo 1°, parte 2, pag 163 “[…] Si pregiava aver nel mezzo, qual corredata, ed inespugnabile fortezza una superbissima Torre, che ben meritava d'annoverarsi fra le prima d'Italia, perciocché dalla vetta di essa si vedva il mare avanti la città di Salerno. Ciò sembra un'iperbole; ma se prestar fede si vuole credenza a Paolo Eterni, scrittore oltramondano non già, ma di questa nostra Comarca, che vivea nel tempo appunto, che Giambattista Caracciolo, morto nell'anno 1620, Feudatario di un tal borgo, e padre di Giuseppe primo signore di Atena, la ispianò, per fare altri suoi edifizii [...]
Giuseppe Albi-Rosa – L'osservatorio degli Alburni sulla valle di Diano, ossia descrizione istorico-topografica della medesima.”[...]Passato poi tal pese sotto il feudalesimo, la famiglia Sanseverino è stata una delle più nobili dominatrici di esso, ed i Sanseverini furono, che v'ingrandirono un'antichissima Rocca, al mezzo della quale si scorgeva una delle più sontuose torri di Italia. L'altezza di questa torre era smisurata, talché dalla sommità osservavasi la marina di Salerno, 44 miglia distante […] Segue nota (1) ”di questa torre ne fa chiara menzione l'Eterni, il quale ai tempi suoi, la vidde diroccare da un Principe di Atena, che pensò di ingrandirvi l'attuale palazzo del Castello col materiale della demolita fortezza.
Macchiatoli – Diano e l'omonima sua valle - “[…] (Omettiamo di riportare quello che l'Eterni dice dell'alta Torre di Atena) […] In mezzo ad essa, nel luogo detto ancora oggidì castello, s'innalzava una grande torre, che ritenevasi per una delle più belle d'Italia”.
Del resto un chiaro riferimento lo troviamo anche in G. B. Curto nel suo Notizie Storiche sulla distrutta città di Atinum Lucana dai tempi incerti fino al secolo XIX dice a pag. 32 “Se non che, durante il medioevo, e quando sursero le famiglia baronali, la Sanseverino che dominò in Atena, cercò di abbattere la rocca quadrata, riducendola a Castello, in mezzo al quale altissima torre rotonda essa famiglia fece costruire, ora distrutta dal tremuoto, rimandodovi le sole vestigia del castello, ridotto ad abitazione.
Quello che appare evidente fin da subito è che tutti gli autori citati riportano quello che solo lo storico Paolo Eterni ha visto o meglio, dice di aver visto.
Oltre agli autori precedentemente citati,
in http://www.icastelli.it/castle-1237560287-castello_di_atena_lucana-it.php
troviamo quanto segue: Nel 1339 Luigi Sanseverino e quindi suo figlio Roberto che fece edificare una torre altissima che secondo la quale si intravedeva la marina di Salerno. Di questo non ne siamo certi ma sta il fatto che di sicuro sia esistita, ne parla anche lo storiografo sanrufese Paolo Eterni, che la vide demolire per opera di Gianbattista Caracciolo per la costruzione dei suoi edifici. Altissima e cilindrica, svettante su Atena per ben 200 anni, è rimasta nei documenti scritti, perduta nel ricordo popolare.”
Le poche notizie reperibili sullo storico
in http://it.wikipedia.org/wiki/San_Pietro_al_Tanagro 
concordano nel dire che Paolo Eterni fosse di San Rufo e del XVII mentre la costruzione di Palazzo Caracciolo (che, detto per inciso è nell'attuale Piazza Vittorio Emanuele e non all'interno delle mura del castello, come erroneamente riportato da Giuseppe Albi Rosa) risale alla fine del XVI secolo, come riportato anche
in http://www.icastelli.it/castle-1237560287-castello_di_atena_lucana-it.php 
Qui si legge: “Nel 1576 prendono possesso della terra di Atena i Caracciolo, marchesi di Brienza, che otterranno nel 1639 il titolo di principe sobra la tierra de Atina. I Caracciolo resteranno principi di Atena fino all'abolizione della feudalità e l'ultima esponente, la principessa Giulia Caracciolo donerà al nipote Luigi Barraco il palazzo costruito dal suo avo Giambattista nel XVI secolo.”
Considerando la particolare gravità dell'evento sismico del 1561 conosciuto, sebbene impropriamente, come “Terremoto del Vallo di Diano” (riportato in M.Bonito - Terra Tremante. Arnaldo Forni Editore-Ristampa anastatica 1980 dell’edizione originale, Napoli , 1691.), credo sia lecito supporre che lo smantellamento del castello operato dal Caracciolo, torre compresa, sia stato più verosimilmente un recuperare e ricollocare opportunamente e diligentemente materiale di un'opera di difesa ormai obsoleta in un luogo ormai inutilmente inaccessibile e, con molta probabilità, già diroccata o comunque seriamente compromessa nella sua stabilità. 
Le notizie fornitemi da Francesco Magnanti riguardo alla venuta alla luce del testo «Descrizione della Valle di Diana, e Castelle ivi poste e loro Signori» di Paolo Eterni, tradotto dal professore Vittorio Bracco come riportato anche in:
http://www.centrostudivallodidiano.it/ViewCategory.aspxcatid=1fe2d72e96d74da5bc79538421d624fc fanno poi risalire la sua scrittura a non prima del 1606, quindi almeno 25 anni dopo il termine dei lavori di costruzione del palazzo, un lasso di tempo abbastanza lungo (e ancor di più 1561-1606) da farmi venire qualche dubbio sulla reale possibilità che l'Eterni abbia visto la torre in tutta la sua altezza. 
Non è questo però il dato storico che vale la pena confutare, bensì quello riguardante l'effettiva altezza della suddetta torre e se fosse mai possibile che dalla sommità osservavasi la marina di Salerno, 44 miglia distante”.
Innanzitutto cominciamo col dire che la distanza in linea d'aria tra Atena Lucana e la zona Salerno- Vietri, calcolata con l'ausilio di un apposito software, risulta essere di circa 71 chilometri, lunghezza che conferma quelle 44 miglia riportate nei testi citati. Infatti, se dividiamo la distanza di 71 chilometri ottenuta con il software per la lunghezza del miglio internazionale, che equivale a 1,609344 chilometri, otteniamo che a separare Atena Lucana dalla marina di Salerno è appunto una distanza di 44,1173546488507 miglia.
Alla luce di questi dati credo sia quantomeno naturale dubitare che, anche potendosi scorgere la marina di Salerno dall'alto di questa torre, ci potesse essere stata la possibilità, ad occhio nudo o con l'ausilio di un qualsiasi strumento ottico conosciuto a quell'epoca, di distinguerla ed identificarla come tale.
Al di là di queste considerazioni sulla possibilità di distinguere chiaramente un oggetto in rapporto alla distanza che lo separa dall'osservatore, considerazioni valide solo quando la visuale non è impedita da alcun ostacolo, è necessario fare altre e ben più scientifiche considerazioni. Tenterò di rendere di più immediata la comprensione dei passaggi del mio ragionamento anche attraverso l'ausilio di alcune immagini e qualche dato altimetrico.
In questa prima immagine si vede una retta che congiunge Atena Lucana a Salerno. In basso a sinistra dell'immagine si legge la distanza in linea d'aria tra i due suddetti punti e che risulta essere pari  a 71 chilometri, ovvero 44 miglia. In questa immagine si vede anche come tale direttrice tra Atena Lucana e la marina di Salerno passi tra i comuni di Castelcivita e Postiglione e come quest'ultimo comune ne sia quasi lambito.


In questa seconda immagine si vedono poi in dettaglio le altezze dei Monti Alburni compresi tra i suddetti comuni e, così come evidenziate dai cerchi rossi, come queste montagne sembrino formare una “barriera” naturale continua tra le località suddette di Castelcivita e Postiglione. Proprio in prossimità di quest'ultimo comune abbiamo le vette più alte e quindi possiamo concludere, con buona approssimazione, che la direttrice tra il castello di Atena e la marina di Salerno, intercetta altitudini intorno ai 1400 metri.


In quest'ultima immagine, ho schematizzato al CAD i dati ottenuti dalla ricerca sul territorio e, sulla scorta di questo schema, ho fatto alcune considerazioni che ritengo di una certa importanza, se non altro per chiarire una volta per tutte la veridicità di quanto detto dai vari autori del passato e fino ai giorni nostri, sull'altissima torre fatta costruire dai Sanseverino. 


  • L'altezza del sito del castello di Atena è di circa 660 metri sul livello del mare (dato reperito dall'aerofotogrammetria del 2004);
  • L'altezza dell'ostacolo visivo, la cima delle montagne, è intorno ai 1400 metri (dato reperito da Google maps)
  • La distanza tra la marina di Salerno (posta a sinistra dello schema ad altitudine zero) ed Atena Lucana (altezza castello posta a destra dello schema, pari a metri 660) è, come già detto, di complessivi 71 chilometri, così divisi: distanza tra Atena e i rilievi montuosi pari a Km 21 e distanza tra i suddetti rilievi e la marina di Salerno, Km 50 (distanza ricavata da Google maps)
Il primo dato su cui bisogna riflettere è la differenza di altitudine tra il sito del castello di Atena, nella sua parte più alta e l'ostacolo rappresentato dalle cime della catena montuosa, ubicate a 21 chilometri da questo ed alte non meno di 1400 metri lungo la direttrice tracciata tra i punti A (Atena Lucana) e B (Salerno). Un osservatore posto ad un'altezza pari a quella dell'oggetto, ovviamente opaco, che gli impedisce la visuale, può vedere oltre l'ostacolo soltanto tutto ciò che è posto in linea retta oltre l'ostacolo e, inutile precisarlo, quello che è posizionato più in alto dell'ostacolo stesso. Quello che invece è posizionato in basso, oltre l'ostacolo rappresentato dalla montagna, è nascosto alla vista dell'osservatore stesso poiché  non è possibile guardarvi attraverso.
In sintesi, un osservatore dalla cima della torre di Atena, anche ammettendo per la stessa l'altezza impossibile di 740 metri (1400-660=740), avrebbe in ogni caso potuto vedere soltanto l'orizzonte oltre gli ostacoli situati tra lui e la marina di Salerno, rappresentati appunto dalle vette degli Alburni. Non avrebbe invece potuto vedere un sito sul mare ubicato 1400 metri più in basso delle vette e ad  "appena" 50 chilometri oltre le montagne.
Per semplificare il concetto, nello schema ho collegato idealmente un punto qualsiasi dello specchio d'acqua antistante Salerno, con una cima degli alburni alta 1400 metri, per poi intercettare con il tratteggio, la verticale che parte dal sito del castello di Atena Lucana.
L'altezza dal suolo del punto d'incontro delle 2 rette è di 1990 metri.
Questa l'altezza minima a cui dovrebbe trovarsi in Atena Lucana, un ipotetico osservatore (con una vista da falchetto), per vedere la marina di Salerno. Sottraendo all'altezza del punto d'intersezione suddetto, quella del sito del castello, otteniamo un'altezza della torre "vista" da Paolo Eterni, non inferiore a 1330 metri, in quanto 1990-660=1330.  
Trovo il dato tanto ridicolo quanto non degno di ulteriori commenti, soprattutto tenendo conto che a quei tempi non era stato ancora inventato né l'ascensore, né il citofono e che non doveva certo avere vita facile la vedetta assegnata alla postazione, il cui compito era principalmente avvertire dell'avvicinarsi di un pericolo. 
Mi dilungo però a riportare, in chiusura, i seguenti dati, realmente attendibili:

  • l'edificio storico più alto, che è il Torrazzo di Cremona, terminato nel 1309 è alto poco più di 112 metri ed ha 502 gradini; 
  • l'edificio attualmente più alto del mondo (costruito non certo con calce e mattoni o pietra) è il Burj Khalifa, un grattacielo terminato nel 2010 a Dubai, negli Emirati Arabi, alto “appena” 828 metri.

Sebbene sia lungi da me l'intenzione di voler screditare o mettere in dubbio minimamente le capacità o la preparazione di questi studiosi in materia più loro che mia, è nondimeno opportuno evidenziare il rischio che si corre a dar credito senza discernimento e a fare da cassa di risonanza con troppa leggerezza a talune notizie "storiche". Nel caso della notizia data da Paolo Eterni, l'averla riportata in vari testi e da vari autori senza alcun discernimento (fatta eccezione per il solo La Cava), ha ovviamente concorso a diffondere, soprattutto tra il popolo atinate, un ulteriore falso storico.

Tutto questo, sempre nella speranza di essere stato di qualche aiuto all'università di Atena.


© Arch. Angelo Sangiovanni
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