lunedì 28 gennaio 2013

Una leggenda mari e monti

"Se abbiamo bisogno di leggende, che queste leggende abbiano almeno l'emblema della verità! 
Mi piacciono le favole dei filosofi, rido di quelle dei bambini, odio quelle degli impostori"
Voltaire

Altro argomento della storia di Atena ammantato di leggenda ma tramandato da alcuni come verosimile (se non addirittura come vero) ancora ai giorni nostri, è quello della torre fatta costruire da Roberto figlio di Luigi Sanseverino, nel XIV secolo, di cui parla lo storico Paolo Eterni, poi ripreso da vari altri autori nel corso degli anni a seguire, con troppa leggerezza.
Avevo già chiarito in un breve intervento la mia posizione in merito qualche tempo fa, in occasione di un mio precedente scritto sull'altra leggenda di Atena Lucana dura a morire e cioè quella dei “mangia signori” e in quel caso, citando la suddetta torre, la definii leggendaria proprio in relazione alla sua supposta smisurata altezza .
Purtroppo non sono soltanto gli atinati a credere ancora che potesse esistere una torre di così eccezionali dimensioni, ma molti autori del passato, alcuni anche piuttosto accreditati ed è proprio questo aspetto che mi spinge a chiarire in modo più dettagliato cosa renda la sua smisurata altezza, così come descritta, una fandonia.
In “Storia e produzione figurativa nel territorio del Vallo”di Antonio Braca sul quarto volume de “La storia del Vallo di Diano” e a pagina 248, a proposito di Atena, si legge: “[...] La posizione strategica dell'altura è alla base anche della morfologia urbana tipicamente medievale. Essa infatti nasce e si sviluppa con un sistema di anelli ellittici concentrici che hanno come centro il castello […] Molto probabilmente esso era parte integrante di un sistema difensivo più ampio e strategico che individua nel Vallo una posizione geografica di primaria importanza per la difesa di Salerno e della stessa Napoli. In questo contesto assume notevole valore la notizia riportata da Paolo Eterni, che ad una prima lettura potrebbe anche apparire esagerata. Lo storico del Vallo, nella sua descrizione del XVII secolo, riporta che il castello era munito di un'altissima torre dalla quale era possibile vedere non solo l'intero Vallo ma anche Salerno ed il mare [...]”. Nella nota: "P. Eterni in S. Macchiaroli, Diano e l'omonima sua valle. Ricerche storico archeologiche, Napoli 1868, ristampa Teggiano 1195, p.38
Anche in un testo recente si riporta quindi la notizia  che non viene smentita ma al contrario, in qualche misura accreditata, asserendo “ In questo contesto assume notevole valore la notizia riportata da Paolo Eterni, che ad una prima lettura potrebbe anche apparire esagerata”.
Che la torre di Atena dovesse essere alta e posizionata in un luogo alto perché senza alcun dubbio facente parte di un sistema di segnalazione visiva con altre postazioni collocate strategicamente su alture in contatto visivo tra di loro, non è in discussione. Quello che è invece rischia di dare credibilità una notizia che a me appare esagerata non solo alla prima ma anche alle successive letture, è che da questa torre si potesse addirittura vedere la marina di Salerno, tanto era alta.
Del resto Antonio Braca non è il primo e purtroppo nemmeno l'ultimo dei tanti che hanno creduto e che ancora oggi credono a quanto asserito da Paolo Eterni La notizia tra l'altro era stata già da tempo messa in dubbio in modo secco e perentorio dallo stesso Michele La Cava. a pagina 63 del suo testo “Istoria di Atena Lucana”, in cui lo stesso scrive: “A luigi Sanseverino succedette Roberto suo figlio, il quale fece edificare in Atena una torre altissima”. E al fondo della stessa pagine, alla nota 1 precisa: “.Alla quale si annette la favola riportata da varii scrittori, che dai merli di questa torre si fosse veduto il mare del golfo di Salerno. Quantunque sia stata l'elevazione di questa torre, giammai dalla sua cima poteva vedersi la marina di Salerno.”
Gli scrittori a cui si riferisce li riporta alla fine del suo testo al CAPO VII che ha per titolo “Autori che parlano di Atena”.
Riporto fedelmente, limitandomi soltanto ai passi concernenti la torre, quanto contenuto nel testo citato. 
Mandelli – Lucania, ms.- Atena Metropoli degli Atenati Vol. 2 pag. 275 “[…] Il sito è intorno ad una collina, che sopra delle altre, le quali sorgono dalla valle, alquanto si innalza; nella di cui più alta cima fu edificato un castello, hora diruto. Eravi nel mezzo un'alta torre, dalla quale si discopriva, come dicesi, il mar tirreno, quinci lontano intorno a...miglia: [...]
Troyli – Istoria Generale del Reame di Napoli, Tomo 1°, parte 2, pag 163 “[…] Si pregiava aver nel mezzo, qual corredata, ed inespugnabile fortezza una superbissima Torre, che ben meritava d'annoverarsi fra le prima d'Italia, perciocché dalla vetta di essa si vedva il mare avanti la città di Salerno. Ciò sembra un'iperbole; ma se prestar fede si vuole credenza a Paolo Eterni, scrittore oltramondano non già, ma di questa nostra Comarca, che vivea nel tempo appunto, che Giambattista Caracciolo, morto nell'anno 1620, Feudatario di un tal borgo, e padre di Giuseppe primo signore di Atena, la ispianò, per fare altri suoi edifizii [...]
Giuseppe Albi-Rosa – L'osservatorio degli Alburni sulla valle di Diano, ossia descrizione istorico-topografica della medesima.”[...]Passato poi tal pese sotto il feudalesimo, la famiglia Sanseverino è stata una delle più nobili dominatrici di esso, ed i Sanseverini furono, che v'ingrandirono un'antichissima Rocca, al mezzo della quale si scorgeva una delle più sontuose torri di Italia. L'altezza di questa torre era smisurata, talché dalla sommità osservavasi la marina di Salerno, 44 miglia distante […] Segue nota (1) ”di questa torre ne fa chiara menzione l'Eterni, il quale ai tempi suoi, la vidde diroccare da un Principe di Atena, che pensò di ingrandirvi l'attuale palazzo del Castello col materiale della demolita fortezza.
Macchiatoli – Diano e l'omonima sua valle - “[…] (Omettiamo di riportare quello che l'Eterni dice dell'alta Torre di Atena) […] In mezzo ad essa, nel luogo detto ancora oggidì castello, s'innalzava una grande torre, che ritenevasi per una delle più belle d'Italia”.
Del resto un chiaro riferimento lo troviamo anche in G. B. Curto nel suo Notizie Storiche sulla distrutta città di Atinum Lucana dai tempi incerti fino al secolo XIX dice a pag. 32 “Se non che, durante il medioevo, e quando sursero le famiglia baronali, la Sanseverino che dominò in Atena, cercò di abbattere la rocca quadrata, riducendola a Castello, in mezzo al quale altissima torre rotonda essa famiglia fece costruire, ora distrutta dal tremuoto, rimandodovi le sole vestigia del castello, ridotto ad abitazione.
Quello che appare evidente fin da subito è che tutti gli autori citati riportano quello che solo lo storico Paolo Eterni ha visto o meglio, dice di aver visto.
Oltre agli autori precedentemente citati,
in http://www.icastelli.it/castle-1237560287-castello_di_atena_lucana-it.php
troviamo quanto segue: Nel 1339 Luigi Sanseverino e quindi suo figlio Roberto che fece edificare una torre altissima che secondo la quale si intravedeva la marina di Salerno. Di questo non ne siamo certi ma sta il fatto che di sicuro sia esistita, ne parla anche lo storiografo sanrufese Paolo Eterni, che la vide demolire per opera di Gianbattista Caracciolo per la costruzione dei suoi edifici. Altissima e cilindrica, svettante su Atena per ben 200 anni, è rimasta nei documenti scritti, perduta nel ricordo popolare.”
Le poche notizie reperibili sullo storico
in http://it.wikipedia.org/wiki/San_Pietro_al_Tanagro 
concordano nel dire che Paolo Eterni fosse di San Rufo e del XVII mentre la costruzione di Palazzo Caracciolo (che, detto per inciso è nell'attuale Piazza Vittorio Emanuele e non all'interno delle mura del castello, come erroneamente riportato da Giuseppe Albi Rosa) risale alla fine del XVI secolo, come riportato anche
in http://www.icastelli.it/castle-1237560287-castello_di_atena_lucana-it.php 
Qui si legge: “Nel 1576 prendono possesso della terra di Atena i Caracciolo, marchesi di Brienza, che otterranno nel 1639 il titolo di principe sobra la tierra de Atina. I Caracciolo resteranno principi di Atena fino all'abolizione della feudalità e l'ultima esponente, la principessa Giulia Caracciolo donerà al nipote Luigi Barraco il palazzo costruito dal suo avo Giambattista nel XVI secolo.”
Considerando la particolare gravità dell'evento sismico del 1561 conosciuto, sebbene impropriamente, come “Terremoto del Vallo di Diano” (riportato in M.Bonito - Terra Tremante. Arnaldo Forni Editore-Ristampa anastatica 1980 dell’edizione originale, Napoli , 1691.), credo sia lecito supporre che lo smantellamento del castello operato dal Caracciolo, torre compresa, sia stato più verosimilmente un recuperare e ricollocare opportunamente e diligentemente materiale di un'opera di difesa ormai obsoleta in un luogo ormai inutilmente inaccessibile e, con molta probabilità, già diroccata o comunque seriamente compromessa nella sua stabilità. 
Le notizie fornitemi da Francesco Magnanti riguardo alla venuta alla luce del testo «Descrizione della Valle di Diana, e Castelle ivi poste e loro Signori» di Paolo Eterni, tradotto dal professore Vittorio Bracco come riportato anche in:
http://www.centrostudivallodidiano.it/ViewCategory.aspxcatid=1fe2d72e96d74da5bc79538421d624fc fanno poi risalire la sua scrittura a non prima del 1606, quindi almeno 25 anni dopo il termine dei lavori di costruzione del palazzo, un lasso di tempo abbastanza lungo (e ancor di più 1561-1606) da farmi venire qualche dubbio sulla reale possibilità che l'Eterni abbia visto la torre in tutta la sua altezza. 
Non è questo però il dato storico che vale la pena confutare, bensì quello riguardante l'effettiva altezza della suddetta torre e se fosse mai possibile che dalla sommità osservavasi la marina di Salerno, 44 miglia distante”.
Innanzitutto cominciamo col dire che la distanza in linea d'aria tra Atena Lucana e la zona Salerno- Vietri, calcolata con l'ausilio di un apposito software, risulta essere di circa 71 chilometri, lunghezza che conferma quelle 44 miglia riportate nei testi citati. Infatti, se dividiamo la distanza di 71 chilometri ottenuta con il software per la lunghezza del miglio internazionale, che equivale a 1,609344 chilometri, otteniamo che a separare Atena Lucana dalla marina di Salerno è appunto una distanza di 44,1173546488507 miglia.
Alla luce di questi dati credo sia quantomeno naturale dubitare che, anche potendosi scorgere la marina di Salerno dall'alto di questa torre, ci potesse essere stata la possibilità, ad occhio nudo o con l'ausilio di un qualsiasi strumento ottico conosciuto a quell'epoca, di distinguerla ed identificarla come tale.
Al di là di queste considerazioni sulla possibilità di distinguere chiaramente un oggetto in rapporto alla distanza che lo separa dall'osservatore, considerazioni valide solo quando la visuale non è impedita da alcun ostacolo, è necessario fare altre e ben più scientifiche considerazioni. Tenterò di rendere di più immediata la comprensione dei passaggi del mio ragionamento anche attraverso l'ausilio di alcune immagini e qualche dato altimetrico.
In questa prima immagine si vede una retta che congiunge Atena Lucana a Salerno. In basso a sinistra dell'immagine si legge la distanza in linea d'aria tra i due suddetti punti e che risulta essere pari  a 71 chilometri, ovvero 44 miglia. In questa immagine si vede anche come tale direttrice tra Atena Lucana e la marina di Salerno passi tra i comuni di Castelcivita e Postiglione e come quest'ultimo comune ne sia quasi lambito.


In questa seconda immagine si vedono poi in dettaglio le altezze dei Monti Alburni compresi tra i suddetti comuni e, così come evidenziate dai cerchi rossi, come queste montagne sembrino formare una “barriera” naturale continua tra le località suddette di Castelcivita e Postiglione. Proprio in prossimità di quest'ultimo comune abbiamo le vette più alte e quindi possiamo concludere, con buona approssimazione, che la direttrice tra il castello di Atena e la marina di Salerno, intercetta altitudini intorno ai 1400 metri.


In quest'ultima immagine, ho schematizzato al CAD i dati ottenuti dalla ricerca sul territorio e, sulla scorta di questo schema, ho fatto alcune considerazioni che ritengo di una certa importanza, se non altro per chiarire una volta per tutte la veridicità di quanto detto dai vari autori del passato e fino ai giorni nostri, sull'altissima torre fatta costruire dai Sanseverino. 


  • L'altezza del sito del castello di Atena è di circa 660 metri sul livello del mare (dato reperito dall'aerofotogrammetria del 2004);
  • L'altezza dell'ostacolo visivo, la cima delle montagne, è intorno ai 1400 metri (dato reperito da Google maps)
  • La distanza tra la marina di Salerno (posta a sinistra dello schema ad altitudine zero) ed Atena Lucana (altezza castello posta a destra dello schema, pari a metri 660) è, come già detto, di complessivi 71 chilometri, così divisi: distanza tra Atena e i rilievi montuosi pari a Km 21 e distanza tra i suddetti rilievi e la marina di Salerno, Km 50 (distanza ricavata da Google maps)
Il primo dato su cui bisogna riflettere è la differenza di altitudine tra il sito del castello di Atena, nella sua parte più alta e l'ostacolo rappresentato dalle cime della catena montuosa, ubicate a 21 chilometri da questo ed alte non meno di 1400 metri lungo la direttrice tracciata tra i punti A (Atena Lucana) e B (Salerno). Un osservatore posto ad un'altezza pari a quella dell'oggetto, ovviamente opaco, che gli impedisce la visuale, può vedere oltre l'ostacolo soltanto tutto ciò che è posto in linea retta oltre l'ostacolo e, inutile precisarlo, quello che è posizionato più in alto dell'ostacolo stesso. Quello che invece è posizionato in basso, oltre l'ostacolo rappresentato dalla montagna, è nascosto alla vista dell'osservatore stesso poiché  non è possibile guardarvi attraverso.
In sintesi, un osservatore dalla cima della torre di Atena, anche ammettendo per la stessa l'altezza impossibile di 740 metri (1400-660=740), avrebbe in ogni caso potuto vedere soltanto l'orizzonte oltre gli ostacoli situati tra lui e la marina di Salerno, rappresentati appunto dalle vette degli Alburni. Non avrebbe invece potuto vedere un sito sul mare ubicato 1400 metri più in basso delle vette e ad  "appena" 50 chilometri oltre le montagne.
Per semplificare il concetto, nello schema ho collegato idealmente un punto qualsiasi dello specchio d'acqua antistante Salerno, con una cima degli alburni alta 1400 metri, per poi intercettare con il tratteggio, la verticale che parte dal sito del castello di Atena Lucana.
L'altezza dal suolo del punto d'incontro delle 2 rette è di 1990 metri.
Questa l'altezza minima a cui dovrebbe trovarsi in Atena Lucana, un ipotetico osservatore (con una vista da falchetto), per vedere la marina di Salerno. Sottraendo all'altezza del punto d'intersezione suddetto, quella del sito del castello, otteniamo un'altezza della torre "vista" da Paolo Eterni, non inferiore a 1330 metri, in quanto 1990-660=1330.  
Trovo il dato tanto ridicolo quanto non degno di ulteriori commenti, soprattutto tenendo conto che a quei tempi non era stato ancora inventato né l'ascensore, né il citofono e che non doveva certo avere vita facile la vedetta assegnata alla postazione, il cui compito era principalmente avvertire dell'avvicinarsi di un pericolo. 
Mi dilungo però a riportare, in chiusura, i seguenti dati, realmente attendibili:

  • l'edificio storico più alto, che è il Torrazzo di Cremona, terminato nel 1309 è alto poco più di 112 metri ed ha 502 gradini; 
  • l'edificio attualmente più alto del mondo (costruito non certo con calce e mattoni o pietra) è il Burj Khalifa, un grattacielo terminato nel 2010 a Dubai, negli Emirati Arabi, alto “appena” 828 metri.

Sebbene sia lungi da me l'intenzione di voler screditare o mettere in dubbio minimamente le capacità o la preparazione di questi studiosi in materia più loro che mia, è nondimeno opportuno evidenziare il rischio che si corre a dar credito senza discernimento e a fare da cassa di risonanza con troppa leggerezza a talune notizie "storiche". Nel caso della notizia data da Paolo Eterni, l'averla riportata in vari testi e da vari autori senza alcun discernimento (fatta eccezione per il solo La Cava), ha ovviamente concorso a diffondere, soprattutto tra il popolo atinate, un ulteriore falso storico.

Tutto questo, sempre nella speranza di essere stato di qualche aiuto all'università di Atena.


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giovedì 24 gennaio 2013

Un Piano per non dimenticare

Dove vien meno l'interesse, vien meno anche la memoria.
Johann Wolfgang Goethe

Elemento lapideo dell'antica pavimentazione di un vicolo del centro storico di Atena Lucana, rimosso dalla sua sede originaria perché sostituito con gradino in cemento e che, ovviamente, andrà perduto così come gli altri che facevano parte della stessa opera.

E' vitale riconoscere al Piano del Colore (a cui si associa talvolta anche il Piano del Decoro Urbano) e agli studi sulla Toponomastica un'importanza fondamentale, in quanto hanno come obiettivo comune il recupero dell'identità storica e culturale dell'intero territorio comunale, nel caso del Piani, anche attraverso la riqualificazione dell’ambiente costruito.
Il Piano del Colore e quello del Decoro Urbano sono infatti entrambi strumenti che scaturiscono da uno studio il cui scopo è individuare norme tese al recupero dell’immagine della città nel suo complesso, nonché del suo territorio e della sua identità storica e culturale.
Dopo la tabula rasa effettuata con le riparazioni attuate in seguito al Sisma 1980 caratterizzate anche da un uso spropositato dell'intonaco sulle facciate, non solo a coperture di tessiture murarie e rifiniture importanti come documenti storici, ma anche a copertura di epigrafi, steli funerarie, e quant'altro, trovare oggi una regola per decidere in modo serio sul colore da applicare ai fabbricati è quasi impossibile. Specie nella consapevolezza che queste indicazioni debbano essere uno degli elementi costitutivi dell’immagine paesistica dei luoghi, importante strumento di riqualificazione e non un elemento scelto a discrezione del proprietario o del tecnico o permesso dall'ignavia e dal disinteresse delle autorità o degli organi di controllo competenti.
Dare indicazioni riguardo alle tinte da applicare, ai materiali, alle tipologie da utilizzarsi per tutti gli elementi, siano essi funzionali, decorativi o tecnologici (infissi, tabelle, ringhiere, coperture, ecc.) e che riguardano le sistemazioni esterne degli edifici è, non da oggi, tanto urgente quanto non più procrastinabile.
Sia quindi chiaro, per quelli che ancora non sono in grado di distinguere quello che è compito dell'Architettura da quello che concerne la pittura, che le indicazioni fornite nel Piano del Colore hanno lo scopo di tutelare da un lato l’identità storica del fabbricato e dall’altro la percezione visiva del contesto come armonico insieme dell'ambiente costruito e naturale.
Nel caso di Atena, non mi stancherò mai di dirlo, questa identità abbiamo cominciato a perderla trent'anni fa e ancora non abbiamo trovato né la capacità, né la voglia fare qualcosa per recuperarla, che vada oltre l'enunciazione di buoni propositi.
Tornando alla toponomastica, essa rappresenta l'insieme dei nomi delle entità geografiche e lo studio delle stesse attraverso discipline specifiche, come la storia e la linguistica. Concerne la toponomastica, quindi, in primo luogo il censimento dei toponimi del territorio che però non si ferma necessariamente a quelli ancora reperibili sulle cartografie in uso, ma può estendersi anche alla consultazione di registri storici e antiche planimetrie o anche, quando ancora possibile, della memoria degli anziani. In questo caso però è maggiore il rischio di ottenere non il nome originario in una lingua antica, magari di un popolo che ha dominato o anche solo stanziato per qualche tempo nell'area, ma talvolta una sua storpiatura dialettale.
In questo caso si parla di toponomastica storica che ancor più di quella che potremmo definire “generale”, cerca di collegare il toponimo del luogo con l'individuazione del suo originario significato: pizzoddi, aria favata, ruddu, siddittu, 'a rinazza, macirrina, , nel parlato hanno preso il posto di Pezzolle, Aia favata, Rullo, Sellitto, Arenaccia, Macerrina, ad esempio.
Alla luce di ciò, è evidente che non è sempre facile collegare il nome al luogo e talvolta ancor meno collegare il nome al suo significato, poiché spesso queste storpiature dialettali tendono a cambiare il toponimo fin quasi a renderlo irriconoscibile. In questo caso la ricerca storica dei toponimi non più in uso da tempo e quindi dimenticati anche dalla tradizione orale, effettuata da catasti storici, archivi parrocchiali e comunali o anche attraverso diari o atti notarili non sono sufficienti a ricollegare il luogo e il suo antico toponimo.
Fare delle supposizione è tanto lecito quanto arrischiato e questo anche quando l'evidenza sembra lampante. Nella sfera della congettura, seppur confortata dalla logica e dal ritrovamento storico, va anche quanto riporto di seguito, in parte già pubblicato sul mio profilo Fb e che rappresenta solo un assaggio degli studi sui toponimi e tanto altro, iniziati con l'intento di recuperare il recuperabile della nostra storia.

Macerrina:
(Credo in origine macerina, pl. macerine e macherina in Regesti della Certosa di Padula -dal 1070 al 1400- al numero 933)
Vi sono degli scavi più o meno profondi fatti nel terreno, in collina ove son delle polle, o scaturigini d'acqua, e nelle pianura nei campi situati in vicinanza degli argini dei fiumi, e queste pozze son dette macerine, per l'uso a cui le destinano. Distendono, e ricoprono con un primo strato di manne (mazzi di canapa o lino n.d.r.) il fondo della macerina, dopo con un secondo, e così di seguito fino a che la macerina stessa è ripiena di canapa, e se l'ultimo strato di essa non fosse ricoperta bene dall'acqua, lo caricano con pietre, onde compressa da questo peso, venga ad esser dominata tutta dal liquido".
Non a caso la Macerrina è un'area pianeggiante compresa tra il fiume Tanagro e la Ferrovia Sicignano-Lagonegro ed è quindi quanto meno probabile che in questo luogo fossero presenti le apposite fosse realizzate per la macerazione di questi mazzi di canapa per ottenere la separazione delle fibre dal fusto.
Del resto la coltivazione di canapa nel Vallo di Diano è documentata e al museo di Teggiano è conservato un antico telaio per tessere la tela, insieme ad una gramola per la canapa, ai dipanatoi, ai filatoi ed altri attrezzi della vita contadina.
Anche sul sito del comune di Polla si fa riferimento a questa coltivazione attuata in località Fontana del Praticello. In proposito si legge: “Questa fontana raccoglie le acque che defluiscono dalla Foresta, attraverso un vallone. Nel corso del 1890 il Comune deliberò la costruzione, sul posto, di un abbeveratoio così grande da servire per bagno delle pecore prima della tosa e di una vasca da servire alla macerazione del lino e della canapa, nonché di un lavatoio. Oggi sul posto c'è una nuova vasca, costruita da qualche anno per comodità dei contadini. Le acque, uscite da essa, raggiungono il Tanagro che scorre a circa 30 metri più giù.

Scafa:
(il toponimo ha conservato il suo nome originario)
Dal vocabolario Treccani:
scafa
[scà-fa]
s.f.
ST Presso gli antichi Romani, battello a remi usato nella navigazione fluviale per i collegamenti tra la costa e le navi. Nel Seicento e Settecento, battello leggero, a remi o a vela, al servizio di un'unità maggiore. pegg.
A proposito della scafa di proprietà di Giuseppe Caracciolo ho già avuto modo di parlarne nel mio precedente scritto su “i mangia signuri ri Atena”. Lo riporto per comodità: "L'universitù chiese, segnala il Cassandro, <<che il feudatario [...] non pretenda di riscuotere un fitto annuo di 50 ducati per la scafa che possiede sul fiume pubblico (Chiarisce V. Bracco che in qual tempo non vi era il ponte sul Tanagro che <<da sotto Atena taglia il Vallo e sbocca a San Marzano, per cui si era obbligati a servirsi della "scafa" del principe su cui si pagava il pedaggio, per cui "si aveva un ponte in meno e una speculazione in più>>).
L'area della Scafa è infatti anch'essa dei pressi del Tanagro, sulla sponda opposta a quella nei possedimenti del comune di Sant'Arsenio, di cui fa parte anche la frazione di San Marzano.

Serrone:
(il toponimo ha conservato il suo nome originario)

"Pel fabbricato Atena si può dividere in due parti; una che sta a cavaliere del colle, ed è approssimativamente l'Atena medievale; e l'altra che potrebbe dirsi l'Atena moderna, costituisce il borgo, che dal colle si estende al piano"
da Istoria di Atena Lucana del Dottore Michele La Cava.

"In quanto a quest'ultima (si riferisce ad Atena n.d.r.), per la quale solamente ascriviamo, prescelsero quell'alta collina che guarda a mezzogiorno la valle di Diano, in piedi alla quale collina dovettero essi costruire un grosso muro di cinta alla medesima, del quale si sono trovati gli avanzi alla parte di mezzogiorno, e di ponente sotto Atena, ed in diversi luoghi: al Serrone di San Cipriano per estensione di metri 313; a San Vito in mezzo al Petto per una lunghezza di metri 150; da questo S. Vito al ciglio del Vallone Arenaccia altri metri 350, sempre in pezzi distaccati. Questo muro costituiva una cinta semi-ellissoidale della lunghezza di un 2000 metri: La muraglia era grossa tre metri, composta di massi grossissimi divelti da quel suolo calcareo, e si giudica esserne stata la costruzione della prima epoca pelasgica atteso la rozzezza dei massi, senza arte alcuna di faccettazione, accatastati l'uno sull'altro, e senza cemento."
da Notizie storiche sulla distrutta città di Atinum Lucana dai tempi incerti fino al secolo XIX di Avv. Giov. Battista Curto , Tipografia De Marsico 1901

Del periodo <<Enotrio>> (inizi V e VI sec. a.C.) bisognerebbe orientarsi anche per le mura <<Ciclopiche>> di Atena, , la cinta murale megalitica preromana distanziata dall'acropoli e formata da grossi e rozzi massi accatastati senza cementazione, di cui a fino '800 restavano tracce per più di 800 metri, […] a tratti discontinui su una linea semiellissoidale di circa due chilometrida ovest, porta d'Aquila, ad est, collina del Serrone. Oggi ne è visibile l'unico tratto rimasto […] di circa 100 metri in quanto c'è stata nel '70 la scomparsa di circa 200 metri della cinta sotto materiale di sterro per i lavori della superstrada per Taranto, e nell'82-83 il dissesto del tratto superstite e per i lavori di riforestazione e per il passaggio di un acquedotto. Sarebbe necessario da parte di Enti pubblici e privati l'impegno a collaborare con la Soprintendenza, avvisando in tempo dei lavori programmati e in atto, e sarebbe utile realizzare una stradina di accesso alle mura che, nell'attesa di essere valorizzate, chiedono di restare almeno dove e come sono. […] Ma dove risalivano ad est le possenti mura? Osservando la zona, pur nel dissesto del terreno, si notano tracce di massi del paramento esterno e più labili dall'interno allineati sulla scarpata affacciata sul vallone Caravallo […] e se ne deduce che il circuito murale non doveva dal Serrone << girare bruscamente ad est>> come afferma G. De Henry sulla base di studiosi dell'800, ma continuare verso est per discendere e risalire nel vallone, come ad ovest in quello del Masciaro. La stessa collina del Serrone ha rivelato, dal terreno sconvolto dai lavori, una gran quantità di pietre di grosse , medie, piccole dimensioni e lascia supporre che l'altura, nel suo vertice a montarozzo, ricopra una antica struttura che potrebbe rivelare il corpo stesso della fortificazione. Sarebbero interessanti scavi sistematici nella zona per fare chiarezza sulle mura preromane di Atena e sulla stessa cittadella (enotria?) che probabilmente circuivano. [...]
da Atena antica di Elena D'Alto, Pietro La Veglia Editore 1985

Riporto di seguito l'etimologia del termine borgo ed in particolare trovo interessante:
  1. Borgo che poteva indicare anche "luogo fortificato" e non solo "abitato fuori le mura"
  2. "Gos" il cui significato fondamentale è serrare e quindi chiudere, compito di una cinta muraria a difesa di un luogo. Serrone è il toponimo del luogo in erano state innalzate una parte delle mura ciclopiche.
Risalire alle motivazioni del nome del luogo è importante per capirne la storia, ma mi rendo conto, a distanza di anni e delle tante parole spese su questo argomento, che anche la Dottoressa Elena D'Alto, scomparsa qualche anno fa, è stata già in vita dimenticata, così come i suoi ritrovamenti archeologici, da quegli Enti pubblici e quei privati a cui chiedeva aiuto nel lontano 1985, perché le vestigia della nostra storia non andassero perdute.
Sarei curioso di sapere quanti ragazzi di Atena, conoscono ora l'ubicazione di questi pochi toponimi citati e dei tanti altri ancora oggetto di studio da parte mia e di pochi amici che condividono con me la passione per lo studio della nostra storia. Vorrei sapere poi quanti leggono queste righe con interesse e la dovuta attenzione e quanti tra questi si sentono smuovere qualcosa dentro e vorrebbero dare il loro contributo a queste ricerche, portate avanti prima indipendentemente e da oltre un anno ormai in forma corale, sempre e rigorosamente senza alcun finanziamento o compenso o pubblico riconoscimento, ma solo per amore della propria terra. 
© Arch. Angelo Sangiovanni
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giovedì 3 gennaio 2013

Braida e Gaimari, tracce longobarde in Atena Lucana

La presenza longobarda ad Atena Lucana non è certo una notizia dell'ultima ora.
Secondo alcuni storici la loro presenza prima e le loro progressive conquiste poi nelle regioni centro meridionali dell'Italia, sono state favorite da poco accorte scelte politiche dei bizantini che decisero di affidare loro alcune fortezze, tra cui quella di Benevento. Da questi presidi mossero poi i primi saccheggi che, sotto Arechi, ebbero una decisa evoluzione qualitativa, trasformandosi in campagne militari finalizzate ad una presenza organizzata su un'area piuttosto vasta. Tale espansione, il cui evidente scopo era una loro presenza stabile sul territorio, si appoggiò al reticolo viario di epoca romana ed è perciò plausibile che a questo si debba la loro presenza anche nel territorio del Vallo di Diano.
Sempre secondo fonti storiche piuttosto attendibili, sembra che questi fossero piuttosto numerosi a Padula, Diano (oggi Teggiano) e nella stessa Atena.
Del resto già qualche tempo fa ho avuto modo di spiegare sulla mia pagina Facebook, che il toponimo Braida, indicante nel centro abitato di Atena Lucana l'area tra la cosiddetta Piazza Europa ('mpieri a la Vraria = ai piedi della Braida) e l'area del campo sportivo (la Braida), conservatasi agricola fin quasi alla metà del secolo scorso, deriva da un termine appunto longobardo. Oltre l'area del campo sportivo, in direzione Est, quindi verso il territorio del comune di Sala Consilina (Sala è anch'esso un nome di origine longobarda), il toponimo Braidella indica una zona ancora prevalentemente agricola.
Il toponimo Braida indica inoltre un'altra parte di territorio dal deciso carattere agricolo, urbanizzato in tempi piuttosto recenti e posto a cavallo del confine campano lucano tra la stessa Atena Lucana e Brienza, (i Brarie =  le Braide), tanto che si è soliti distinguere, parlando di questo, tra Braide di Atena e Braide di Brienza.
E infatti, l'etimologia del toponimo Braida deriva dal longobardo breda o braida, termine che significava appunto "pianura" e che era equivalente al latino proedium (podere, prato).
Quello che invece non sapevo ancora e che forse è sconosciuto a gran parte degli atinati è che, tra i cognomi di Atena, è ancora presente almeno un cognome di origine longobarde chiare e illustri.
Rileggendo per motivi di lavoro alcuni testi di storia, scopro che la moglie di Rao, il signore che reggeva intorno al 1100 Atena, era una longobarda di nome Gaitelgrima. Scopro inoltre che nel 1138, Atena è infeudata ad un altro signore anch'egli plausibilmente di origine longobarde, il cui nome è Guaimarius.
Sempre secondo Giovanni Vitolo, "I normanni pertanto dovettero limitarsi ad occupare i castelli strategicamente più importanti (Diano, Sala, Polla), dove fecero entrare i signori longobardi nelle loro clientele vassallatiche, come è dimostrato anche dalla donazione di Asclettino del 1086, alla quale interviene come testimone suo cognato Guaimario, figlio di Pandolfo e nipote di Guaimario IV (V)."

L'assonanza tra il nome Guaimarius ed in nostro cognome Gaimari è fin troppo evidente per non approfondire la notizia.
Un'antica citazione della famiglia Guaimario si ha in occasione della visita alla parrocchiale di Atena risalente al 3 Giugno 1606 di tale Monsignor Morello,
Riassumo qui pochi passaggi salienti dei risultati della mia ricerca e incollo alla fine del post alcuni link utili a chi, magari con la possibilità di accedere ad archivi storici, voglia approfondire l'argomento e ha la possibilità  di stabilire, ad esempio, se la famiglia Gaimari è originaria di Atena, ovvero se è tra le famiglie più antiche di Atena e a quando risale la  comparsa di questo cognome per la prima volta.
Io invece chiudo questa breve divagazione strettamente storica e torno a studi su argomenti che mi sono più congeniali, quali la relazione tra eventi storici e naturali e gli effetti di questi sull'architettura locale, poiché tanto si parla su questo argomento senza dire in vero nulla di nuovo, di strettamente e realmente inerente o di veramente interessante.

GUAIMARIO. - Princeps di Salerno, nacque probabilmente verso il 1013 dal principe salernitano Guaimario (III) e dalla seconda moglie Gaitelgrima, figlia di Pandolfo (II) principe di Benevento-Capua; da questo matrimonio nacquero anche Guido, futuro gastaldo di Conza e duca di Sorrento, e Paldolfo, divenuto successivamente dominus di Capaccio.
[...]
Alla morte del padre, avvenuta nel 1027, iniziò il governo autonomo di G. che aveva, probabilmente, solo quattordici anni. Intorno agli anni Trenta si unì in matrimonio con Gemma, figlia di Laidolfo, conte della dinastia capuana; da questa unione nacque una numerosa prole: Giovanni (IV), precocemente associato al padre nel 1037, ma già scomparso nel 1039; Gisulfo (II), che divenne dal 1042 coreggente del Principato; e ancora Pandolfo, Guaimario (V), Landolfo, Guido, un altro Giovanni, Sichelgaita - che avrebbe sposato il normanno Roberto il Guiscardo - Sica e Gaitelgrima.
[...]

Sempre nel 1042 allo stratego e catepano bizantino Giorgio Maniace giunse l'ordine da parte di Michele V Calafato di procedere a una seconda campagna militare contro i musulmani, coinvolgendo in questa azione anche Guaimario.Il comandante bizantino, infatti, prima di intraprendere l'azione, chiese a G. un cospicuo contributo in uomini e mezzi; G. fornì una leva di truppe longobarde - salernitane, ma anche beneventane - condotte da un Arduino proveniente da Milano, secondo quanto riferito da Amato da Montecassino (II, 14, pp. 63 s.). A queste aggiunse un ulteriore corpo di spedizione formato da mercenari normanni 
[...]
Con la morte di G. si chiudeva l'epoca di massima potenza del Principato salernitano. Con lui si assistette a una progressiva, vigorosa ripresa della spinta espansionistica, non disgiunta da una lungimirante abilità politico-diplomatica. 

Cognome GAIMARI

Assolutamente Rarissimo, Parrebbe Del Salernitano, Gaimaro, Ormai Scomparso In Italia, è Sempre Dell'area Napoletano, Salernitana, Dovrebbero Derivare Dal Nome Medioevale Gaimarus Portato Probabilmente Dal Capostipite,
[...]
Ricordiamo Che La Diffusione Di Questo Cognome Nel Salernitano Può Essere Motivata Dal Nome Di Gaimaro Principe Di Salerno Nel XI° Secolo.


Fonti:
http://www.treccani.it/enciclopedia/guaimario_(Dizionario-Biografico)/
http://www.significato.eu/cognome/GAIMARI


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